domenica 30 aprile 2017

Voi siete un miracolo - Leo Buscaglia

Abbiamo paura di vivere la vita, e perciò non facciamo esperienze, non vediamo. 
Non sentiamo. Non rischiamo! 
Non prendiamo a cuore nulla! 
Non viviamo... perché la vita significa essere coinvolti attivamente. 
Vivere significa sporcarvi le mani. 
Vivere significa buttarvi con coraggio. 
Vivere significa cadere e sbattere il muso. 
Vivere significa andare al di là di voi stessi... tra le stelle!
Ma dovete decidere voi, per voi stessi. "Cosa significa per me la vita?" Sono convinto che se ogni giorno dedicassimo a pensare alla vita e a vivere e ad amare lo stesso tempo... no, un quarto del tempo che dedichiamo a preparare i pasti, saremmo incredibili!
Ma la vita ha un modo meraviglioso per risolvere questo problema. 
Per me è sempre affascinante perché, quando la vita non viene vissuta, esplode in noi. E' come cercare di bloccare il coperchio di una pentola che bolle. Succederà qualcosa, ne sono convinto. 
Finirete per piombare nella paura, nella sofferenza, nella solitudine, nella paranoia o nell'apatia. Tutti segni del fatto che non state vivendo! 
Quindi, se avvertite uno di questi sintomi, rimboccatevi le maniche e dite: "Ora devo vivere". Nell'attimo in cui incominciate a lasciarvi coinvolgere nella vita, il vapore fuoriesce, e siete salvi. 
Non è facile: ma la vita ci fa sapere che deve essere vissuta. Meraviglioso!
Perché c'è la morte? Io non so perché c'è la morte. Perché c'è la sofferenza? Vorrei che non ci fosse, ma non so perché c'è. Se passassi la vita a cercare le risposte a questi interrogativi, non vivrei mai.
Però a quelli che vengono da me dico che so qualcosa della vita. 
C'è una cosa chiamata gioia, perché io l'ho provata. 
E c'è una cosa chiamata follia meravigliosa, perché l'ho vissuta. 
E so che c'è una cosa chiamata amore perché ho amato. 
E so che c'è una cosa chiamata estasi perché ho conosciuto l'estasi. 
E so anche - perché ho conosciuto gente che ne ha fatto l'esperienza - che c'è una cosa chiamata rapimento. Oh, mi piace questa parola, "rapimento"! Cercate il rapimento! Mi rifiuto di morire fino a quando non avrò imparato che cos'è!
Perché uno si comporti così, bisogna che faccia molte scelte. Una delle più importanti è "scegliere se stesso".
Scegliete voi stessi.
Finitela di odiarvi. Finitela di buttarvi giù. Abbracciatevi e dite: "Sai, va bene così! Starai perdendo i capelli, ma sei tutto ciò che ho!".
Quando vi riconciliate con le vostre debolezze, ce l'avete fatta! Non sono enormi, sono soltanto una piccola parte di voi.

Dovete scegliere voi stessi. Sono sicuro che coloro che si tolgono la vita, che non vivono, sono soprattutto coloro che non hanno rispetto per se stessi. 
Non so quando è stata l'ultima volta che qualcuno ha detto questo, ma voglio sottolinearlo: Voi siete un miracolo.

- Leo Buscaglia - 
da: "Vivere amare capirsi"



Molti di noi cercano se stessi qui, alla luce. Non troverete quello che cercate. Dovete mettervi carponi dentro, dove qualche volta c'è un buio spaventoso, e scoprire cose meravigliose su voi stessi.

- Leo Buscaglia -



Abbiamo veramente dimenticato che cosa significa donare.
Io ti do amore perché ti amo, non perché mi aspetto che tu ricambi il mio amore.
Se io do aspettandomi qualcosa in cambio, sarò sicuramente infelice.
Quando dite “Buongiorno” a qualcuno lo fate perché volete dirlo, non perché vi attendete in cambio qualcosa.
Se attendete qualcosa in cambio, e gli altri non dicono nulla, allora pensate “Lo sapevo, non dovevo dire buongiorno”.
A volte siamo arrivati a questo punto – dico buongiorno e qualcuno si volta e mi chiede “La conosco?”.
E io rispondo:”No, ma non sarebbe bello se ci conoscessimo?”.
Qualche volta dicono di no.
Ne hanno il diritto.
Ma io ho fatto quello che volevo.
Ho detto buongiorno.
E loro hanno fatto quello che volevano, hanno risposto oppure no.
Se non ci aspettiamo nulla, abbiamo tutto, dice il Buddha.
Amate perché volete amare.
Date perché volete dare.
I fiori sbocciano perché devono, non perché c’è qualcuno a cui piacciono!
Voi vivete e amate perché volete.
Perché dovete.


- Leo Buscaglia -
da: "Vivere amare capirsi"




Buona giornata a tutti. :-)




sabato 29 aprile 2017

Dal «Dialogo della Divina Provvidenza» di santa Caterina da Siena - 29 aprile















O Deità eterna, o eterna Trinità, che, per l’unione con la divina natura, hai fatto tanto valere il sangue dell’Unigenito Figlio! Tu, Trinità eterna, sei come un mare profondo, in cui più cerco e più trovo, e quanto più trovo, più cresce la sete di cercarti. Tu sei insaziabile; e l’anima, saziandosi nel tuo abisso, non si sazia, perché permane nella fame di te, sempre più te brama, o Trinità eterna, desiderando di vederti con la luce della tua luce.
Io ho gustato e veduto con la luce dell’intelletto nella tua luce il tuo abisso, o Trinità eterna, e la bellezza della tua creatura. Per questo, vedendo me in te, ho visto che sono tua immagine per quella intelligenza che mi vien donata della tua potenza, o Padre eterno, e della tua sapienza, che viene appropriata al tuo Unigenito Figlio. Lo Spirito Santo poi, che procede da te e dal tuo Figlio, mi ha dato la volontà con cui posso amarti.
Tu infatti, Trinità eterna, sei creatore e io creatura; e ho conosciuto – perché tu me ne hai data l’intelligenza, quando mi hai ricreata con il sangue del Figlio – che tu sei innamorato della bellezza della tua creatura.
O abisso, o Trinità eterna, o Deità, o mare profondo! E che più potevi dare a me che te medesimo? Tu sei un fuoco che arde sempre e non si consuma. Sei tu che consumi col tuo calore ogni amor proprio dell’anima. Tu sei fuoco che toglie ogni freddezza, e illumini le menti con la tua luce, con quella luce con cui mi hai fatto conoscere la tua verità.
Specchiandomi in questa luce ti conosco come sommo bene, bene sopra ogni bene, bene felice, bene incomprensibile, bene inestimabile. Bellezza sopra ogni bellezza. Sapienza sopra ogni sapienza. Anzi, tu sei la stessa sapienza. Tu cibo degli angeli, che con fuoco d’amore ti sei dato agli uomini.

- Santa Caterina da Siena -
(Cap. 167, Ringraziamento alla Trinità: libero adattamento; cfr. ed. I. Taurisano, Firenze, 1928. II, pp. 586-588)



Io vorrei che l’inferno fosse distrutto, o almeno che nessuna anima, di qui in avanti, vi scendesse. Se, salva l’unione della tua carità, io fossi posta sulla bocca dell’inferno per chiuderla sì che nessuno vi potesse entrare, sarebbe per me cosa graditissima, perché così si salverebbero tutti i miei prossimi.

- Santa Caterina da Siena -















La carità è quel dolce e santo legame, che lega l’anima col suo creatore: ella lega Dio nell’uomo, e l’uomo in Dio.

- Santa Caterina da Siena -



Noi siamo immagine tua, e tu immagine nostra per l`unione che hai stabilito fra te e l`uomo, velando la divinità eterna con la povera nube dell`umanità corrotta di Adamo. Quale il motivo? Certo l`amore. Per questo amore ineffabile ti prego e ti sollecito a usare misericordia alle tue creature.

- Santa Caterina da Siena - 


Santa Caterina da Siena scrivente
sec. XVII (terzo decennio)
Rutilio Manetti, (Siena, 1571-1639)


O Dio, pazzo d'amore!

Non ti bastò incarnarti,

ma volesti anche morire!

Vedo che la tua misericordia

ti costrinse a dare anche di più all'uomo,

lasciandogli te stesso in cibo.

E così noi deboli abbiamo conforto,

e noi ignoranti smemorati

non perdiamo il ricordo dei tuoi benefici.

Ecco, tu dai il tuo cibo ogni giorno all'uomo,

facendoti presente nell'eucaristia

e nel corpo misterioso della tua chiesa.

Chi ha fatto questo ?

La tua misericordia.

- Santa Caterina da Siena -


Buona giornata a tutti. :-)






venerdì 28 aprile 2017

Le opere di misericordia (3) - Anselm Grün

2. Éleos: la parola greca esprime compassione come dedizione emotiva a colui che è in una situazione di bisogno
Éleos non è mai soltanto una disposizione d'animo, ma anche sempre atto compassionevole, una reazione di soccorso allo stato di bisogno di un'altra persona. Nel suo vangelo, Matteo cita due volte la frase del profeta Osea: «Misericordia (éleos) io voglio e non sacrifici» (Mt 9,13 e 12,7). 
Con questa frase Gesù si difende dai farisei che emarginano i peccatori e per cui il precetto del sabato è più importante della fame delle persone. Nelle sue invettive rimprovera ai farisei: «Pagate la decima sulla menta, sull'aneto e sul cumino, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà» (Mt 23,23). 
I discepoli di Gesù non devono nascondersi dietro le leggi e le prescrizioni: il loro comportamento deve essere contrassegnato da una dedizione misericordiosa per gli altri. Se sono misericordiosi, troveranno a loro volta misericordia: così il Maestro ha promesso loro nelle beatitudini (Mt 5,7). 
Il cristiano deve imitare Gesù nella sua dedizione misericordiosa verso i peccatori e gli emarginati. Ma, nella sua pena, può a sua volta rivolgersi a Gesù e confidare nella sua misericordia. 
Il cieco Bartimeo grida due volte: «Gesù, abbi pietà (eléésón) di me!» (Mc 10,47s.). In Matteo questa esclamazione ricorre anche nel caso della donna la cui figlia è malata (Mt 15,22) e del padre il cui figlio è epilettico e cade spesso nel fuoco onell'acqua (Mt 17,15). 
Come padri o come madri spesso ci sentiamo impotenti quando i nostri figli crescono in maniera diversa da come ci saremmo aspettati oppure si ammalano. Allora dobbiamo invocare la pietà di Gesù. 
La chiesa ci ha raccomandato vivamente questa invocazione: in ogni celebrazione eucaristica cantiamo il Kyrie eléison, `Signore, pietà!'. 
E la preghiera di Gesù che la chiesa ortodossa ci consiglia come via di meditazione associa a ogni respiro questa invocazione: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me». Quando Gesù si rivolge pietosamente verso di noi, veniamo guariti e risanati, facciamo l'esperienza della pace interiore. 
E allora diveniamo misericordiosi anche nei confronti di noi stessi, invece di infuriare contro di noi. In particolare per Matteo Gesù è il Redentore misericordioso, che va incontro alle persone con misericordia e agisce su di loro misericordiosamente, perdonando loro i peccati e risanandone le ferite, rendendo loro possibile un nuovo inizio di vita piena. 
Quando Gesù ci incita alla misericordia, noi, come suoi discepoli, dobbiamo anche portare il suo spirito in questo mondo.

3. Oiktírmon, cioè 'compassionevole, che condivide i sentimenti di qualcuno'. Con questa parola greca si esprime soprattutto l'atteggiamento misericordioso. Esso corrisponde a ciò che nel buddhismo è definito compassione. 
L'essere umano ha un senso per l'altro: ne condivide i sentimenti, soffre con lui, si sente solidale con lui. Luca ha visto tale atteggiamento come quello adeguato al cristiano, come quello maggiormente conforme alla natura di Dio: «Siate misericordiosi (lett., compassionevoli), come il Padre vostro è misericordioso (lett., compassionevole)» (Lc 6,36). 
In ciò si esprime la natura dell'essere umano, portato a condividere i sentimenti del prossimo, a mostrarsi misericordioso verso il prossimo. 
E allo stesso tempo con queste parole Luca vorrebbe dirci: se condividiamo misericordiosamente i sentimenti degli altri, facendo come Dio, allora partecipiamo di Dio, comprendiamo chi è Dio, lo Spirito di Dio si è impossessato di noi. 
La parola tedesca barmherzig è una traduzione del latino misericordia e significa: avere un cuore per i miseri, o avere un cuore per quanto c'è di povero e orfano, di misero e debole, in me e negli altri. La misericordia mira soprattutto al cuore.
C'è un bel detto del IV secolo, di Abba Pambone: «Se hai cuore, puoi salvarti» [7]. L'essere umano ottiene salvezza e perfezione, partecipa dell'amore redentore di Gesù Cristo soltanto se ha un cuore per gli altri e se a sua volta dimora nel proprio cuore e non fa tutto soltanto con la ragione o la volontà. Non basta però dimorare nel cuore. Dobbiamo agire - e il Vangelo di Luca torna sempre a dimostrarcelo - anche a partire dal cuore. Per Luca ciò significa soprattutto condividere la nostra vita, i nostri beni e il nostro amore con gli altri.
Nella tradizione si sono sviluppate sette opere di misericordia corporale e sette di misericordia spirituale. 



Ci sono i sette doni dello Spirito santo e i sette sacramenti. Le sette opere di misericordia sono, per così dire, un sacramento dell'agire. 
Attraverso il nostro operato misericordioso questo mondo anela a essere trasformato. L'opera di Gesù vuole proseguire benefica in questo mondo tramite il nostro agire.
Nella descrizione delle opere di misericordia corporale per me è importante sempre vedere già anche l'aspetto spirituale. Persino le condizioni di bisogno fisico - come la fame, la sete e la nudità - hanno sempre già anche una dimensione spirituale. Desidero quindi vedere sempre entrambi gli aspetti: l'agire concreto, come quello che ha presente Gesù in Mt 25, e il significato spirituale di ogni nostro operare concreto. Le sette opere di misericordia spirituale sono nate dall'interpretazione spirituale di quelle di misericordia corporale e traspongono le parole di Gesù nella varietà delle nostre relazioni reciproche.


Perché il mondo sia trasformato
La tradizione cristiana ama il numero quattordici. Sono quattordici le stazioni della Via crucis. E sono quattordici i santi ausiliatori (quel gruppo cioè di santi alla cui intercessione il popolo cristiano si rivolgeva per particolari necessità). 
Il quattordici è un numero che dice guarigione. 
A Babilonia esistevano quattordici divinità guaritrici. 
E per sant'Agostino il numero quattordici rimanda alla morte e alla risurrezione di Gesù, che hanno trasformato e guarito la nostra esistenza. Gesù infatti è morto il quattordici di Nisan [8]. 
Le quattordici opere di misericordia sono espressione della dimensione salvifica della nostra fede. Attraverso queste opere l'amore salvifico e redentore di Gesù Cristo deve riversarsi in questo mondo attraverso di noi. 
La redenzione è avvenuta una volta per tutte in Gesù Cristo. Ma gli autori del Nuovo Testamento sono convinti che la redenzione per mezzo di Gesù Cristo si riversa in questo mondo e vi si riattualizza mediante l'operato dei discepoli di Gesù. 
In particolare l'evangelista Matteo scrive il suo vangelo per la comunità ecclesiale, affinché in essa si faccia visibile e tangibile la salvezza di Gesù Cristo per tutti gli uomini. 
I discepoli di Gesù devono essere il sale della terra e la luce del mondo, di modo che, per mezzo di loro, la luce di Gesù illumini gli esseri umani. 
Quando Gesù fece la sua comparsa in Galilea, per Matteo si avverò la promessa del profeta Isaia: «Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta» (Mt 4,16). La luce che è rifulsa in Gesù deve continuare a splendere in questo mondo per mezzo dei suoi discepoli. Gesù dice ai discepoli:
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. 

Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli (Mt 5,14-16).
Le quattordici opere di misericordia devono far risplendere in questo mondo la luce di Gesù Cristo, affinché gli esseri umani rendano gloria a Dio. 

I cristiani, quindi, non vogliono affermare se stessi con le opere, né davanti a Dio, né davanti agli uomini, ma vogliono adempiere il compito affidato loro da Gesù e portare la sua luce nel mondo.
Nel caso delle quattordici opere di misericordia non si tratta del fatto che possiamo ottenere la salvezza mediante le opere. 

La tradizione cristiana è sempre stata consapevole che la salvezza viene da Gesù Cristo e che siamo giustificati dalla fede. Con Matteo e Giacomo, però, la chiesa si è sempre attenuta alla convinzione che la fede senza le opere non è una vera fede. La fede deve esprimersi anche in un comportamento nuovo. Anche l'apostolo Giacomo, che insiste tanto sulle opere buone, sa che «ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall'alto e discendono dal Padre, creatore della luce» (Gc 1,17). 
Allo stesso tempo, però, esorta i cristiani:
Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi; perché, se uno ascolta la Parola e non la mette in pratica, costui somiglia a un uomo che guarda il proprio volto allo specchio: appena si è guardato, se ne va, e subito dimentica come era. Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla (Gc 1,22-25).
Otteniamo la salvezza per mezzo della fede e non per mezzo delle opere. 

Ma soltanto se la nostra fede si esprime anche nelle opere di misericordia saremo beati. Essere beati non significa ottenere la salvezza, ma essere felici, essere in armonia con se stessi. Non dobbiamo vedere le opere di misericordia in un'ottica moraleggiante.
Mi sta particolarmente a cuore non trasmettere alle lettrici e ai lettori un senso di colpa se non compiono tutte le opere di misericordia. Si tratta piuttosto di indicare una via su come possono esprimere la propria fede e una via lungo la quale trovare la felicità, una via che in fondo fa bene a loro, sulla quale trovano la pace interiore. Giacomo dice qui makdrios, cioè dice 'beato, felice'. È la felicità che in Grecia era riservata agli dèi. 

Le opere di misericordia, nell'ottica di Giacomo, sono una via alla felicità. Non operano qualcosa di buono soltanto in coloro a cui io mostro misericordia, ma donano anche a me la soddisfazione interiore. 
Posso rendermi conto pieno di riconoscenza che attraverso di me una persona ritrova più coraggio di vivere, che il suo percorso torna a condurla nella speranza, nella fiducia, nell'amore e alla felicità.
La misericordia è un tema portante nel Vangelo di Matteo. 

Gesù è il Redentore misericordioso, che agisce misericordiosamente su di noi. Gesù ci insegna come possiamo comportarci misericordiosamente verso noi stessi e come possiamo dimostrare misericordia ad altri. 
Nel suo Discorso sul giudizio finale ci dimostra che veniamo misurati da Dio in base al fatto che abbiamo dato da mangiare agli affamati e da bere agli assetati, che abbiamo accolto i forestieri, vestito gli ignudi, visitato i malati e fatto visita ai prigionieri. 
Oggi abbiamo difficoltà ad accettare l'immagine del giudizio: in passato ha intimorito molte persone. Ma, con le sue parole, Gesù non vuole diffondere paura, bensì esortare alla decisione, all'apertura e alla solidarietà con le persone. Con l'immagine del giudizio vuole rinviarci a Dio, affinché viviamo in maniera giusta e retta.
Le opere di misericordia ci rinviano a Dio e alle persone in cui incontriamo Cristo stesso. Gesù vuole aprirci gli occhi, affinché viviamo qui e ora in modo che il suo Spirito di misericordia ci pervada. Allora ci comportiamo in maniera misericordiosa con noi e con gli altri e, proprio in questo modo, facciamo – come si è espresso Giacomo – l'esperienza di essere felici nel nostro operare giusto: sperimentiamo la felicità rendendo felici altri, comportandoci con bontà verso noi stessi, facendo del bene al prossimo, scoprendo sempre di più il mistero di Gesù Cristo, dimostrando misericordia ai suoi fratelli e sorelle e incontrando in loro Cristo stesso, che è per noi la fonte di ogni salvezza e misericordia.


- Anselm Grün - 
da: "Perchè il mondo sia trasformato - Le sette opere di misericordia", Ed.Queriniana, 2009 




La richiesta di Gesù di dar da mangiare agli affamati è un pungolo anche per la politica: non dà pace ai politici, affinché si impegnino per un'equa distribuzione dei beni.

- Anselm Grün - 
da: "Le Sette Opere di Misericordia" 



Per Gesù la sete è sempre anche un'immagine dell'anelito più profondo dell'essere umano. [...] 
L'acqua che Gesù ci dà da bere è il suo Spirito. 
Vuole diventare dentro di noi una sorgente che zampilla in noi, che ci preserva dall'inaridire interiormente. 

- Anselm Grün - 
da: "Le Sette Opere di Misericordia" 




 Buona giornata a tutti. :-)




giovedì 27 aprile 2017

Fragilità - Kahlil Gibran

Vi è stato detto
che, come una catena, siete fragili
quanto il vostro anello più debole.
Questa è soltanto mezza verità.
Siete anche forti
come il vostro anello più saldo.
Misurarvi dall'azione più modesta
sarebbe come misurare la potenza dell'oceano
dalla fragilità della schiuma.
Giudicarvi dai vostri fallimenti
è come accusare le stagioni
per la loro incostanza.
E voi siete come le stagioni,
e anche se durante il vostro inverno
negate la vostra primavera,
la primavera, che in voi riposa,
sorride nel sonno e non si offende.

- Kahlil Gibran -
da: Il Profeta



La nostra vita acquista significato quando è innanzi tutto risposta viva alla chiamata di Dio. 
Ma come riconoscere una tale chiamata e scoprire ciò che Dio si aspetta da noi? 
Dio si aspetta che siamo un riflesso della sua presenza, portatori di una speranza del Vangelo. 
Chi risponde a questa chiamata non ignora le proprie fragilità, così custodisce nel suo cuore queste parole di Cristo: "Non temere, continua a fidarti!".

Frère Roger -



 Voglio perdonarmi

Voglio perdonarmi:
di inseguire la stella inaccessibile,
di essere fragile,
di aver vergogna del mio dolore,
di accusarmi nella sventura,
di mantenere il desiderio di una perfezione irraggiungibile,
di essermi reso complice del mio persecutore,
di essermi messo fuori del mio cuore,
di aver rimuginato accuse offensive nei miei confronti,
di non essere stato capace di prevedere tutto,
di odiarmi senza compassione,
di sentirmi impotente ad accordare il perdono agli altri.
In breve, voglio perdonarmi di essere umano.

- Jean Monbourquette -
da "Perdonare", Card. Godfried Danneels, Ed. San Paolo


Buona giornata a tutti. :-)

www.leggoerifletto.it

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mercoledì 26 aprile 2017

La formichina innamorata

Il Re Salomone, un giorno, gironzolava per il deserto, quando fu attratto da un formicaio!
Tutte le formiche si precipitarono, a ossequiare le sante impronte, del Re...
Una sola, non si curò, minimamente, della sua presenza!
Continuò, imperturbabile, a lavorare, con invariata alacrità, senza fermarsi un attimo...
Stava ai piedi di una duna di sabbia, e il Re si chinò, su di lei, e chiese:
«Che cosa fai, formichina?».
Senza distrarsi un attimo, dal lavoro, la formica gli rispose:
«Vedi, Re dei Re: un granello, dopo l'altro, io porto, altrove, questa duna!».
«Formichina generosa!», le disse Salomone.
«Non è un lavoro sproporzionato, per le tue forze?
Questa duna è così alta, che neanche riesci a vederne la cima...
Neanche con la longevità di Matusalemme, e la pazienza di Giobbe, potresti sperare, di spostare questa duna!».
«Gran Re!», riprese la formica. «Faccio questo, per l'amore della mia amata!
Questa duna, mi separa, da lei... Niente, e nessuno, mi potrà impedire, di abbatterla!
E, se quest'opera consumerà tutte le mie forze, almeno, morirò, nella misteriosa, e felice, follia, della speranza!».
Così, parlò, la formica innamorata...
In questo modo, il Re Salomone scoprì, sul sentiero del deserto, quanto può essere forte, e coraggioso, l'amore!


«Mettimi, come sigillo, sul tuo cuore: come sigillo, sul tuo braccio;
perché forte, come la morte, è l'amore,

tenace, come gli inferi, è la passione:
le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma del Signore!
Le grandi acque non possono spegnere l'amore, né i fiumi travolgerlo!»
("Cantico dei Cantici").



Non siamo nati per stare soli.
Abbiamo bisogno di comunione, e di condivisione, di regalare il nostro tempo e il nostro ascolto, il nostro sorriso e le nostre braccia. 
Non possiamo rimanere chiusi nel nostro guscio e guardare con occhi assenti tutta la solitudine del mondo.


                                     Annie Louisa Swynnerton (1844-1933) Montagna Mia


Il vento della vita
Come vela che il tempo ha logorato,
anima mia,
ancora tendi a cercare il vento,
che improvviso gonfia di vita
i cuori annoiati, disperati,
poi torna a far sorridere i bimbi,
ad inumidire gli occhi dei vecchi.
Vento leggero che intrecci misteriose melodie,
tra i fragili canneti
e le ombrose foglie degli alberi.
Vento leggero,
annuncio discreto di un passaggio
dalla morte alla vita,
dal buio alla luce,
nel silenzioso cuore della notte.

- Fernando Filanti -




Buona giornata a tutti. :-)





martedì 25 aprile 2017

Decalogo per trattare con un arrogante - Mons. Domenico Sigalini

1. Non ti sentire mai offeso, nessuno può entrare nel sacrario della tua coscienza.
2. Non perdere tempo a rendere pan per focaccia: peggiori tu e spingi l'altro a perseverare.
3. Non compatirlo, ma creagli attorno un contesto disarmante di amicizia.
4. Spesso è maleducazione incosciente la sua: aiutalo a scoprire i sentimenti tenui della vita.
5. Sappi che ogni uomo ha bisogno degli altri per essere felice, ma deve allargare il cuore per far loro spazio.
6. Si è fatto lui centro del mondo: aiutalo a scoprire il vero centro che è Dio.
7. Per valutarsi nella verità di se stesso, ha bisogno di lasciare il suo loculo, nel quale si sente papa, re e profeta.
8. Se comincia a chiedere scusa, anche tra i denti, non lo scoraggiare: è su una buona strada.
9. La buona educazione non è il politicamente corretto, ma il lasciarsi conquistare da un ideale.
10. Conquisti più arroganti con una goccia di miele che con un barile di aceto.

- Mons. Domenico Sigalini -
dal Messagero di Sant'Antonio, marzo 2009



Il maestro disse: Il prodigo è arrogante e l'avaro è meschino. 
È preferibile la meschinità all'arroganza. 

- Confucio - 



Arroganza

Caro Dio,
liberami dal falso orgoglio;
liberami dall'arroganza
che accompagna un'immagine di sé gonfiata.
Preservami dall'alterigia,
da un ego sovraccarico
derivante da un io vuoto.
Fa' che impari a essere soddisfatto di me stesso;
che non senta mai il bisogno
di sminuire qualcuno
per acquisire valore e importanza,
per sentirmi
stimato e degno.

Rabbi Nachman di Brazlav - 


Buona giornata a tutti. :-)







domenica 23 aprile 2017

Le opere di misericordia (2) - Anselm Grün

Resterò fedele alla divisione classica tra le sette opere di misericordia corporale e le sette di misericordia spirituale. 
Vorrei però cercare di descriverle in modo che noi oggi ci sentiamo chiamati in causa.
Nell'apprestarmi a questo compito vedo due difficoltà: l'una è il pericolo di fare della morale. Non intendo presentarmi come il sapientone che fa la predica agli altri perché finalmente compiano queste opere e donino in abbondanza per gli affamati. 
L'altra difficoltà sta nella dimensione politica dell'assistenza. 
Le opere cristiane della misericordia sono soltanto una goccia nel mare? 
Non dobbiamo piuttosto cambiare il mondo a livello politico, affinché non ci siano più né poveri, né ignudi, né senzatetto? 
Il messaggio di Gesù vorrebbe aprirci gli occhi su come far agire in tutto il mondo lo spirito della misericordia e non quello dello sfruttamento, lo spirito del rispetto e non quello del disprezzo. 
Non basta però accollare le opere di misericordia ai soli politici: in quel caso, infatti, avremmo il pretesto di non apportare il nostro contributo a un mondo più umano. 
Per quanto sia importante la visione politica ed economica, non possiamo aspettare a compiere le opere di misericordia finché regnino in tutto il mondo giustizia, pace e benessere. Pur con tutto l'impegno politico, nell'ambiente a noi più prossimo c'è sempre spazio sufficiente per realizzare le opere di misericordia corporale e spirituale.
Con ciò non voglio instillare nei lettori e nelle lettrici un senso di colpa perché fanno troppo poco. 

Desidero soltanto, come fa Gesù nel suo Discorso sul giudizio finale, che apriamo gli occhi per essere pronti, là dove Dio ci tocca, a dimostrare misericordia al fratello o alla sorella, indipendentemente dal fatto che ciò avvenga sul piano corporale o su quello spirituale. 
Dal Discorso di Gesù sul giudizio emerge che egli non fa la morale: egli promette invece una ricca ricompensa a coloro che adempiono queste opere di misericordia. Il paradosso, però, è che queste persone compiono tali opere non perché ricevono una ricompensa, ma perché si lasciano toccare dai bisognosi. Lasciandomi commuovere dal fratello o dalla sorella e lasciandomi ispirare a un'opera di misericordia, sperimento una ricompensa interiore. 
Sento che donando la mia vita si arricchisce, sento che diventa più sana se mi dedico ai malati, sento che copro la mia nudità se vesto gli ignudi. 
Le nostre azioni hanno sempre anche un effetto su noi stessi: le opere di misericordia fanno bene anche a noi. In esse dimostriamo misericordia anche verso noi stessi. Ma non le compiamo per fare qualcosa di buono a noi. 
Le compiamo perché lasciamo che il nostro cuore sia toccato dai poveri, dagli affamati, dai senzatetto, dai malati e dai prigionieri. 
Il paradosso è che, dimenticando noi stessi perché ci apriamo a un'altra persona, anche noi facciamo l'esperienza della realizzazione della nostra esistenza, sperimentiamo una gratitudine interiore per il fatto che una persona dalle spalle curve riparte da noi rialzando la testa e che un ignudo riscopre la dignità regale di cui è rivestito.




2. La misericordia come atteggiamento di fondo
L'atteggiamento di fondo delle quattordici opere è la misericordia. 
Desidero perciò scrivere alcuni pensieri a proposito di tale atteggiamento.
La Bibbia conosce diversi concetti e diverse immagini per la misericordia. All'Antico Testamento sono noti soprattutto due termini per 'misericordia':  hesedh, cioè `bontà', e rahamim, 'pietà'. 

È soprattutto Dio a essere misericordioso. 
La misericordia di Dio, però, esige anche dagli esseri umani che dimostrino misericordia vicendevole. La misericordia, in questo contesto, non è mai soltanto una disposizione dell'animo, interiore, ma è anche sempre un agire, una prassi. La parola ebraica hesedh significa 'gentilezza e bontà'. 
Dio si dimostra misericordioso nei confronti dell'essere umano quando lo tratta in maniera gentile, benevola e pietosa, quando gli perdona le sue colpe. L'altra parola, rahamim, è collegata al termine rehem: 'grembo materno, viscere materne'. 
Come una madre si dedica al bambino che tiene in grembo, così Dio si rivolge a noi uomini in modo materno. Dio, come una madre, tratta con tenerezza l'essere umano che, per così dire, tiene in grembo. Qui la misericordia è l'affetto, ovvero il chinarsi di uno che sta in alto nella scala gerarchica verso il più piccolo. 
Dio non giudica, ma ritiene l'essere umano in grado di svilupparsi sempre di più, così come fa un bambino, fino a diventare la persona che deve essere secondo quanto immaginato da Dio stesso.
Questo atteggiamento viene descritto così soprattutto a proposito di Dio nei confronti dell'uomo e quasi mai a proposito degli esseri umani nelle relazioni tra di loro. 

La pietà dell'essere umano nei confronti di un suo simile è espressa di preferenza con il termine hanan, che compare anche in alcuni nomi di persona, come Anna o Giovanni. La misericordia dell'uomo si dimostra nelle sue premure verso i poveri e i miseri, ma anche nei confronti del bestiame. Davide si dimostra misericordioso nei confronti di Saul non sfruttando il proprio potere, ma risparmiandolo.
Alcuni ritengono che l'Antico Testamento descriva Dio soprattutto come giudice. In tal modo, però, si interpreta l'Antico Testamento in maniera parziale. Anche nell'Antico Testamento Dio è già sempre il misericordioso: la misericordia è la sua natura. Gesù ha collocato questo messaggio della misericordia di Dio al centro della sua predicazione. 

E, a sua volta, ha agito in maniera misericordiosa nei confronti degli uomini. Proprio Matteo, che descrive Gesù sullo sfondo della teologia ebraica, lo ha descritto come il Redentore misericordioso. Comunque tutti i vangeli riferiscono dell'operato misericordioso di Gesù. 
Il greco del Nuovo Testamento usa tre parole diverse per esprimere questo 'essere misericordioso':



1. Splanchnìzomai, ossia 'essere toccato nelle viscere'. 
Questo termine viene utilizzato soprattutto a proposito di Dio e di Gesù. 
Per i greci le viscere sono il luogo dei sentimenti vulnerabili. Il Dio misericordioso lascia entrare gli esseri umani in se stesso, nel proprio cuore, nelle proprie viscere. Nella sua umanità vulnerabile Gesù si apre agli uomini: si lascia ferire per guarirne le ferite. 
Nei vangeli questo termine è noto soltanto ai sinottici. 
La parola, però, è utilizzata tre volte nelle parabole di Gesù. Colui a cui Dio ha perdonato ogni peccato dev'essere a sua volta misericordioso nei confronti dell'altro servo, invece di esigere spietatamente da lui il suo debito (Mt 18,27).
Il samaritano si dimostra misericordioso nei confronti dell'uomo incappato nei briganti: si apre a colui che giace mezzo morto sul ciglio della strada e ha compassione di lui (Lc 10,33). 

Lo lascia entrare in sé, mentre il sacerdote e il levita si chiudono e passano oltre. E Dio come padre misericordioso ha compassione del figlio prodigo (Lc 15,20). 
Nei racconti di miracoli, invece, la parola è usata nove volte. 
Gesù ha compassione del lebbroso: apre il suo cuore a colui che si sente rifiutato ed emarginato da tutti (Mc 1,41). 
In Matteo questa parola compare tre volte, non nei confronti di singoli individui, bensì nei confronti della folla che ha fame, è ferita, anela alla salvezza e non ha orientamento. «Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore» (Mt 9,36). 
Poiché Gesù si fa commuovere dal dolore e dallo smarrimento e dalla loro stanchezza, guarisce i malati, annuncia il proprio messaggio, dà loro da mangiare (Mt 14,14 e 15,32) e invia loro i suoi discepoli. 
Il Discorso missionario, in Matteo, segue direttamente l'osservazione secondo cui Gesù prova compassione per le folle. Secondo me ciò significa che Gesù ci rende messaggeri della sua misericordia. 
Siamo inviati alle persone che sono stanche ed esauste, che sono ferite e confuse. Come Gesù, dobbiamo volgerci misericordiosamente agli altri, condividerne i sentimenti, aprire a loro il nostro cuore e compiere nei loro confronti ciò che ha fatto Gesù.

(continua)
- Anselm Grün - 

da: "Perchè il mondo sia trasformato-Le sette opere di misericordia", Ed. Queriniana, 2009 



Buona giornata a tutti. :-)