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giovedì 1 giugno 2017

da: "50 angeli per l'anima" - Anselm Grün

Molti artisti hanno raffigurato gli angeli dotati di ali, dando forma concreta a un elemento essenziale: gli angeli ci rendono la vita più lieve. 
Nella vita ci sono innumerevoli situazioni che in un primo momento ci appaiono difficili. Proviamo una sorta di resistenza interiore, ci sentiamo abbattuti, spossati, schiacciati. In questi momenti avremmo bisogno di un angelo che metta le ali alla nostra anima, per prendere le cose con più leggerezza, per considerarle da una prospettiva diversa, magari per vederle in una luce tutta nuova.
Nelle situazioni che ci mettono a dura prova, è bene non impuntarsi sui problemi, non affaticarsi a cercare a tutti i costi una soluzione. 
Dovremmo semplicemente volgere lo sguardo sull'angelo che è già accanto a noi e prestare ascolto all'impulso che percepiamo nel nostro cuore. 
L'angelo affronta ogni cosa con semplicità, invitando anche noi a non prendercela troppo, a non sobbarcarci carichi eccessivamente pesanti. 
Perché altrimenti rischiamo di crollare sotto il peso che grava sulle nostre spalle.
Gli angeli hanno in sé un che di lieve, di leggero. Anche in questo caso ci vengono in aiuto gli artisti: gli angeli natalizi, che spesso sono disegnati con fattezze infantili, ci vogliono invitare a non prenderci troppo sul serio, a diventare semplici e spensierati come bambini. 
Vogliono mostrarci la leggerezza dell'esistenza e invitarci ad abbandonarci a tale leggerezza.
Ci sono tantissimi angeli che ci esortano a trasformare quello che ci capita ogni giorno. 
Ecco l'angelo della semplicità, che ci invita a vivere in maniera semplice. 
Ecco l'angelo del gustare, che ci libera dalla costrizione di dover sempre dimostrare qualcosa agli altri. 
E poi c'è l'angelo del rallentare, che ci trascina via dalla pressione costante a cui siamo sottoposti, via dalla frenesia della vita quotidiana, regalando alla nostra vita un ritmo più lento.
Gli angeli non fanno alcun appello moralistico alla nostra volontà, non esigono assolutamente che facciamo qualcosa di troppo difficile, semplicemente sono già lì, accanto a noi. 
Gli angeli, infatti, si trovano già in noi, in fondo al cuore. Ci mettono in contatto con le capacità che sono già insite nel nostro animo, ma che sono seppellite sotto l'ansia da prestazione che ci opprime. 
L'angelo della semplicità non cerca neanche di contrastare lo stress a cui siamo sottoposti, tentando di giungere alle capacità già insite nel nostro animo. 
Si limita a osservare il carico pesante che grava su di noi, per poi sollevarlo come se si trattasse di un gioco, con leggerezza e senso dell'umorismo. 
Fa buon uso delle sue ali e fa volare in alto tutto ciò che pesa, rendendolo lieve lieve e innalzandolo al di sopra della vita quotidiana, affinché non gravi più sulle nostre spalle.
Conosco un gran numero di persone che vivono con difficoltà, schiacciate sotto pesi diversi. Lasciati semplicemente contagiare dalla leggerezza degli angeli, che punta a salire su in alto, verso il cielo. 
Fidati degli angeli, vedrai che prenderanno anche te sotto le loro ali e ti proteggeranno, mettendo le ali alla tua anima con la forza della speranza e il sentimento della libertà. 
Un'anima dotata di ali vive più facilmente. 
Riesce sempre a volar via da situazioni sgradevoli, osservandole dall'alto, da una prospettiva superiore, considerandole con senso dell'umorismo e rendendoci capaci di affrontarle con leggerezza. 

Ti auguro dunque che anche tu, come papa Giovanni XXIII, possa dire: "Giovanni, non prenderti troppo sul serio!" La tua anima ha le ali. Fidati di queste ali. Ti trasporteranno attraverso la vita con leggerezza.

- Anselm Grün -


Racconta una antica leggenda che un bambino che stava per nascere disse a Dio:
- Mi dicono che mi stai per mandare sulla terra però come vivrò così piccino e indifeso come sono?
- Tra molti angeli ne ho scelto uno per te, che ti sta aspettando e avrà cura di te.
- Però dimmi: qui nel cielo non faccio altro che cantare e sorridere; questo basta per essere felice.
- Il tuo angelo ti canterà, ti sorriderà tutti i giorni e tu sentirai il suo amore e sarai felice.
- Ma che farò quando vorrò parlare con te?
- Il tuo angelo ti unirà le manine e ti insegnerà il cammino perché tu possa avvicinarti a me, benché io ti sarò sempre a fianco.
In quell'istante, una grande pace regnava nel cielo però già si udivano voci della terra e il bambino premuroso ripeteva soavemente:
- Dio mio se già me ne devo andare, dimmi il suo nome... come si chiama il mio angelo?
- Il suo nome non importa, tu la chiamerai "mamma".



O mio Signore Gesù Cristo.
Ti prego proteggimi dagli errori, da ogni influenza del Maligno, dalle mie passioni e debolezze.
Dammi la forza e la volontà di non peccare ancora.
Proteggimi dai pensieri insidiosi, dall'amore delle cose vane, dal parlare inutile e dalla censura degli altri.
Apri gli occhi della mia anima, ed illumina le tenebre della mia mente.




Buona giornata a tutti. :-)






venerdì 28 aprile 2017

Le opere di misericordia (3) - Anselm Grün

2. Éleos: la parola greca esprime compassione come dedizione emotiva a colui che è in una situazione di bisogno
Éleos non è mai soltanto una disposizione d'animo, ma anche sempre atto compassionevole, una reazione di soccorso allo stato di bisogno di un'altra persona. Nel suo vangelo, Matteo cita due volte la frase del profeta Osea: «Misericordia (éleos) io voglio e non sacrifici» (Mt 9,13 e 12,7). 
Con questa frase Gesù si difende dai farisei che emarginano i peccatori e per cui il precetto del sabato è più importante della fame delle persone. Nelle sue invettive rimprovera ai farisei: «Pagate la decima sulla menta, sull'aneto e sul cumino, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà» (Mt 23,23). 
I discepoli di Gesù non devono nascondersi dietro le leggi e le prescrizioni: il loro comportamento deve essere contrassegnato da una dedizione misericordiosa per gli altri. Se sono misericordiosi, troveranno a loro volta misericordia: così il Maestro ha promesso loro nelle beatitudini (Mt 5,7). 
Il cristiano deve imitare Gesù nella sua dedizione misericordiosa verso i peccatori e gli emarginati. Ma, nella sua pena, può a sua volta rivolgersi a Gesù e confidare nella sua misericordia. 
Il cieco Bartimeo grida due volte: «Gesù, abbi pietà (eléésón) di me!» (Mc 10,47s.). In Matteo questa esclamazione ricorre anche nel caso della donna la cui figlia è malata (Mt 15,22) e del padre il cui figlio è epilettico e cade spesso nel fuoco onell'acqua (Mt 17,15). 
Come padri o come madri spesso ci sentiamo impotenti quando i nostri figli crescono in maniera diversa da come ci saremmo aspettati oppure si ammalano. Allora dobbiamo invocare la pietà di Gesù. 
La chiesa ci ha raccomandato vivamente questa invocazione: in ogni celebrazione eucaristica cantiamo il Kyrie eléison, `Signore, pietà!'. 
E la preghiera di Gesù che la chiesa ortodossa ci consiglia come via di meditazione associa a ogni respiro questa invocazione: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me». Quando Gesù si rivolge pietosamente verso di noi, veniamo guariti e risanati, facciamo l'esperienza della pace interiore. 
E allora diveniamo misericordiosi anche nei confronti di noi stessi, invece di infuriare contro di noi. In particolare per Matteo Gesù è il Redentore misericordioso, che va incontro alle persone con misericordia e agisce su di loro misericordiosamente, perdonando loro i peccati e risanandone le ferite, rendendo loro possibile un nuovo inizio di vita piena. 
Quando Gesù ci incita alla misericordia, noi, come suoi discepoli, dobbiamo anche portare il suo spirito in questo mondo.

3. Oiktírmon, cioè 'compassionevole, che condivide i sentimenti di qualcuno'. Con questa parola greca si esprime soprattutto l'atteggiamento misericordioso. Esso corrisponde a ciò che nel buddhismo è definito compassione. 
L'essere umano ha un senso per l'altro: ne condivide i sentimenti, soffre con lui, si sente solidale con lui. Luca ha visto tale atteggiamento come quello adeguato al cristiano, come quello maggiormente conforme alla natura di Dio: «Siate misericordiosi (lett., compassionevoli), come il Padre vostro è misericordioso (lett., compassionevole)» (Lc 6,36). 
In ciò si esprime la natura dell'essere umano, portato a condividere i sentimenti del prossimo, a mostrarsi misericordioso verso il prossimo. 
E allo stesso tempo con queste parole Luca vorrebbe dirci: se condividiamo misericordiosamente i sentimenti degli altri, facendo come Dio, allora partecipiamo di Dio, comprendiamo chi è Dio, lo Spirito di Dio si è impossessato di noi. 
La parola tedesca barmherzig è una traduzione del latino misericordia e significa: avere un cuore per i miseri, o avere un cuore per quanto c'è di povero e orfano, di misero e debole, in me e negli altri. La misericordia mira soprattutto al cuore.
C'è un bel detto del IV secolo, di Abba Pambone: «Se hai cuore, puoi salvarti» [7]. L'essere umano ottiene salvezza e perfezione, partecipa dell'amore redentore di Gesù Cristo soltanto se ha un cuore per gli altri e se a sua volta dimora nel proprio cuore e non fa tutto soltanto con la ragione o la volontà. Non basta però dimorare nel cuore. Dobbiamo agire - e il Vangelo di Luca torna sempre a dimostrarcelo - anche a partire dal cuore. Per Luca ciò significa soprattutto condividere la nostra vita, i nostri beni e il nostro amore con gli altri.
Nella tradizione si sono sviluppate sette opere di misericordia corporale e sette di misericordia spirituale. 



Ci sono i sette doni dello Spirito santo e i sette sacramenti. Le sette opere di misericordia sono, per così dire, un sacramento dell'agire. 
Attraverso il nostro operato misericordioso questo mondo anela a essere trasformato. L'opera di Gesù vuole proseguire benefica in questo mondo tramite il nostro agire.
Nella descrizione delle opere di misericordia corporale per me è importante sempre vedere già anche l'aspetto spirituale. Persino le condizioni di bisogno fisico - come la fame, la sete e la nudità - hanno sempre già anche una dimensione spirituale. Desidero quindi vedere sempre entrambi gli aspetti: l'agire concreto, come quello che ha presente Gesù in Mt 25, e il significato spirituale di ogni nostro operare concreto. Le sette opere di misericordia spirituale sono nate dall'interpretazione spirituale di quelle di misericordia corporale e traspongono le parole di Gesù nella varietà delle nostre relazioni reciproche.


Perché il mondo sia trasformato
La tradizione cristiana ama il numero quattordici. Sono quattordici le stazioni della Via crucis. E sono quattordici i santi ausiliatori (quel gruppo cioè di santi alla cui intercessione il popolo cristiano si rivolgeva per particolari necessità). 
Il quattordici è un numero che dice guarigione. 
A Babilonia esistevano quattordici divinità guaritrici. 
E per sant'Agostino il numero quattordici rimanda alla morte e alla risurrezione di Gesù, che hanno trasformato e guarito la nostra esistenza. Gesù infatti è morto il quattordici di Nisan [8]. 
Le quattordici opere di misericordia sono espressione della dimensione salvifica della nostra fede. Attraverso queste opere l'amore salvifico e redentore di Gesù Cristo deve riversarsi in questo mondo attraverso di noi. 
La redenzione è avvenuta una volta per tutte in Gesù Cristo. Ma gli autori del Nuovo Testamento sono convinti che la redenzione per mezzo di Gesù Cristo si riversa in questo mondo e vi si riattualizza mediante l'operato dei discepoli di Gesù. 
In particolare l'evangelista Matteo scrive il suo vangelo per la comunità ecclesiale, affinché in essa si faccia visibile e tangibile la salvezza di Gesù Cristo per tutti gli uomini. 
I discepoli di Gesù devono essere il sale della terra e la luce del mondo, di modo che, per mezzo di loro, la luce di Gesù illumini gli esseri umani. 
Quando Gesù fece la sua comparsa in Galilea, per Matteo si avverò la promessa del profeta Isaia: «Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta» (Mt 4,16). La luce che è rifulsa in Gesù deve continuare a splendere in questo mondo per mezzo dei suoi discepoli. Gesù dice ai discepoli:
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. 

Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli (Mt 5,14-16).
Le quattordici opere di misericordia devono far risplendere in questo mondo la luce di Gesù Cristo, affinché gli esseri umani rendano gloria a Dio. 

I cristiani, quindi, non vogliono affermare se stessi con le opere, né davanti a Dio, né davanti agli uomini, ma vogliono adempiere il compito affidato loro da Gesù e portare la sua luce nel mondo.
Nel caso delle quattordici opere di misericordia non si tratta del fatto che possiamo ottenere la salvezza mediante le opere. 

La tradizione cristiana è sempre stata consapevole che la salvezza viene da Gesù Cristo e che siamo giustificati dalla fede. Con Matteo e Giacomo, però, la chiesa si è sempre attenuta alla convinzione che la fede senza le opere non è una vera fede. La fede deve esprimersi anche in un comportamento nuovo. Anche l'apostolo Giacomo, che insiste tanto sulle opere buone, sa che «ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall'alto e discendono dal Padre, creatore della luce» (Gc 1,17). 
Allo stesso tempo, però, esorta i cristiani:
Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi; perché, se uno ascolta la Parola e non la mette in pratica, costui somiglia a un uomo che guarda il proprio volto allo specchio: appena si è guardato, se ne va, e subito dimentica come era. Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla (Gc 1,22-25).
Otteniamo la salvezza per mezzo della fede e non per mezzo delle opere. 

Ma soltanto se la nostra fede si esprime anche nelle opere di misericordia saremo beati. Essere beati non significa ottenere la salvezza, ma essere felici, essere in armonia con se stessi. Non dobbiamo vedere le opere di misericordia in un'ottica moraleggiante.
Mi sta particolarmente a cuore non trasmettere alle lettrici e ai lettori un senso di colpa se non compiono tutte le opere di misericordia. Si tratta piuttosto di indicare una via su come possono esprimere la propria fede e una via lungo la quale trovare la felicità, una via che in fondo fa bene a loro, sulla quale trovano la pace interiore. Giacomo dice qui makdrios, cioè dice 'beato, felice'. È la felicità che in Grecia era riservata agli dèi. 

Le opere di misericordia, nell'ottica di Giacomo, sono una via alla felicità. Non operano qualcosa di buono soltanto in coloro a cui io mostro misericordia, ma donano anche a me la soddisfazione interiore. 
Posso rendermi conto pieno di riconoscenza che attraverso di me una persona ritrova più coraggio di vivere, che il suo percorso torna a condurla nella speranza, nella fiducia, nell'amore e alla felicità.
La misericordia è un tema portante nel Vangelo di Matteo. 

Gesù è il Redentore misericordioso, che agisce misericordiosamente su di noi. Gesù ci insegna come possiamo comportarci misericordiosamente verso noi stessi e come possiamo dimostrare misericordia ad altri. 
Nel suo Discorso sul giudizio finale ci dimostra che veniamo misurati da Dio in base al fatto che abbiamo dato da mangiare agli affamati e da bere agli assetati, che abbiamo accolto i forestieri, vestito gli ignudi, visitato i malati e fatto visita ai prigionieri. 
Oggi abbiamo difficoltà ad accettare l'immagine del giudizio: in passato ha intimorito molte persone. Ma, con le sue parole, Gesù non vuole diffondere paura, bensì esortare alla decisione, all'apertura e alla solidarietà con le persone. Con l'immagine del giudizio vuole rinviarci a Dio, affinché viviamo in maniera giusta e retta.
Le opere di misericordia ci rinviano a Dio e alle persone in cui incontriamo Cristo stesso. Gesù vuole aprirci gli occhi, affinché viviamo qui e ora in modo che il suo Spirito di misericordia ci pervada. Allora ci comportiamo in maniera misericordiosa con noi e con gli altri e, proprio in questo modo, facciamo – come si è espresso Giacomo – l'esperienza di essere felici nel nostro operare giusto: sperimentiamo la felicità rendendo felici altri, comportandoci con bontà verso noi stessi, facendo del bene al prossimo, scoprendo sempre di più il mistero di Gesù Cristo, dimostrando misericordia ai suoi fratelli e sorelle e incontrando in loro Cristo stesso, che è per noi la fonte di ogni salvezza e misericordia.


- Anselm Grün - 
da: "Perchè il mondo sia trasformato - Le sette opere di misericordia", Ed.Queriniana, 2009 




La richiesta di Gesù di dar da mangiare agli affamati è un pungolo anche per la politica: non dà pace ai politici, affinché si impegnino per un'equa distribuzione dei beni.

- Anselm Grün - 
da: "Le Sette Opere di Misericordia" 



Per Gesù la sete è sempre anche un'immagine dell'anelito più profondo dell'essere umano. [...] 
L'acqua che Gesù ci dà da bere è il suo Spirito. 
Vuole diventare dentro di noi una sorgente che zampilla in noi, che ci preserva dall'inaridire interiormente. 

- Anselm Grün - 
da: "Le Sette Opere di Misericordia" 




 Buona giornata a tutti. :-)




domenica 23 aprile 2017

Le opere di misericordia (2) - Anselm Grün

Resterò fedele alla divisione classica tra le sette opere di misericordia corporale e le sette di misericordia spirituale. 
Vorrei però cercare di descriverle in modo che noi oggi ci sentiamo chiamati in causa.
Nell'apprestarmi a questo compito vedo due difficoltà: l'una è il pericolo di fare della morale. Non intendo presentarmi come il sapientone che fa la predica agli altri perché finalmente compiano queste opere e donino in abbondanza per gli affamati. 
L'altra difficoltà sta nella dimensione politica dell'assistenza. 
Le opere cristiane della misericordia sono soltanto una goccia nel mare? 
Non dobbiamo piuttosto cambiare il mondo a livello politico, affinché non ci siano più né poveri, né ignudi, né senzatetto? 
Il messaggio di Gesù vorrebbe aprirci gli occhi su come far agire in tutto il mondo lo spirito della misericordia e non quello dello sfruttamento, lo spirito del rispetto e non quello del disprezzo. 
Non basta però accollare le opere di misericordia ai soli politici: in quel caso, infatti, avremmo il pretesto di non apportare il nostro contributo a un mondo più umano. 
Per quanto sia importante la visione politica ed economica, non possiamo aspettare a compiere le opere di misericordia finché regnino in tutto il mondo giustizia, pace e benessere. Pur con tutto l'impegno politico, nell'ambiente a noi più prossimo c'è sempre spazio sufficiente per realizzare le opere di misericordia corporale e spirituale.
Con ciò non voglio instillare nei lettori e nelle lettrici un senso di colpa perché fanno troppo poco. 

Desidero soltanto, come fa Gesù nel suo Discorso sul giudizio finale, che apriamo gli occhi per essere pronti, là dove Dio ci tocca, a dimostrare misericordia al fratello o alla sorella, indipendentemente dal fatto che ciò avvenga sul piano corporale o su quello spirituale. 
Dal Discorso di Gesù sul giudizio emerge che egli non fa la morale: egli promette invece una ricca ricompensa a coloro che adempiono queste opere di misericordia. Il paradosso, però, è che queste persone compiono tali opere non perché ricevono una ricompensa, ma perché si lasciano toccare dai bisognosi. Lasciandomi commuovere dal fratello o dalla sorella e lasciandomi ispirare a un'opera di misericordia, sperimento una ricompensa interiore. 
Sento che donando la mia vita si arricchisce, sento che diventa più sana se mi dedico ai malati, sento che copro la mia nudità se vesto gli ignudi. 
Le nostre azioni hanno sempre anche un effetto su noi stessi: le opere di misericordia fanno bene anche a noi. In esse dimostriamo misericordia anche verso noi stessi. Ma non le compiamo per fare qualcosa di buono a noi. 
Le compiamo perché lasciamo che il nostro cuore sia toccato dai poveri, dagli affamati, dai senzatetto, dai malati e dai prigionieri. 
Il paradosso è che, dimenticando noi stessi perché ci apriamo a un'altra persona, anche noi facciamo l'esperienza della realizzazione della nostra esistenza, sperimentiamo una gratitudine interiore per il fatto che una persona dalle spalle curve riparte da noi rialzando la testa e che un ignudo riscopre la dignità regale di cui è rivestito.




2. La misericordia come atteggiamento di fondo
L'atteggiamento di fondo delle quattordici opere è la misericordia. 
Desidero perciò scrivere alcuni pensieri a proposito di tale atteggiamento.
La Bibbia conosce diversi concetti e diverse immagini per la misericordia. All'Antico Testamento sono noti soprattutto due termini per 'misericordia':  hesedh, cioè `bontà', e rahamim, 'pietà'. 

È soprattutto Dio a essere misericordioso. 
La misericordia di Dio, però, esige anche dagli esseri umani che dimostrino misericordia vicendevole. La misericordia, in questo contesto, non è mai soltanto una disposizione dell'animo, interiore, ma è anche sempre un agire, una prassi. La parola ebraica hesedh significa 'gentilezza e bontà'. 
Dio si dimostra misericordioso nei confronti dell'essere umano quando lo tratta in maniera gentile, benevola e pietosa, quando gli perdona le sue colpe. L'altra parola, rahamim, è collegata al termine rehem: 'grembo materno, viscere materne'. 
Come una madre si dedica al bambino che tiene in grembo, così Dio si rivolge a noi uomini in modo materno. Dio, come una madre, tratta con tenerezza l'essere umano che, per così dire, tiene in grembo. Qui la misericordia è l'affetto, ovvero il chinarsi di uno che sta in alto nella scala gerarchica verso il più piccolo. 
Dio non giudica, ma ritiene l'essere umano in grado di svilupparsi sempre di più, così come fa un bambino, fino a diventare la persona che deve essere secondo quanto immaginato da Dio stesso.
Questo atteggiamento viene descritto così soprattutto a proposito di Dio nei confronti dell'uomo e quasi mai a proposito degli esseri umani nelle relazioni tra di loro. 

La pietà dell'essere umano nei confronti di un suo simile è espressa di preferenza con il termine hanan, che compare anche in alcuni nomi di persona, come Anna o Giovanni. La misericordia dell'uomo si dimostra nelle sue premure verso i poveri e i miseri, ma anche nei confronti del bestiame. Davide si dimostra misericordioso nei confronti di Saul non sfruttando il proprio potere, ma risparmiandolo.
Alcuni ritengono che l'Antico Testamento descriva Dio soprattutto come giudice. In tal modo, però, si interpreta l'Antico Testamento in maniera parziale. Anche nell'Antico Testamento Dio è già sempre il misericordioso: la misericordia è la sua natura. Gesù ha collocato questo messaggio della misericordia di Dio al centro della sua predicazione. 

E, a sua volta, ha agito in maniera misericordiosa nei confronti degli uomini. Proprio Matteo, che descrive Gesù sullo sfondo della teologia ebraica, lo ha descritto come il Redentore misericordioso. Comunque tutti i vangeli riferiscono dell'operato misericordioso di Gesù. 
Il greco del Nuovo Testamento usa tre parole diverse per esprimere questo 'essere misericordioso':



1. Splanchnìzomai, ossia 'essere toccato nelle viscere'. 
Questo termine viene utilizzato soprattutto a proposito di Dio e di Gesù. 
Per i greci le viscere sono il luogo dei sentimenti vulnerabili. Il Dio misericordioso lascia entrare gli esseri umani in se stesso, nel proprio cuore, nelle proprie viscere. Nella sua umanità vulnerabile Gesù si apre agli uomini: si lascia ferire per guarirne le ferite. 
Nei vangeli questo termine è noto soltanto ai sinottici. 
La parola, però, è utilizzata tre volte nelle parabole di Gesù. Colui a cui Dio ha perdonato ogni peccato dev'essere a sua volta misericordioso nei confronti dell'altro servo, invece di esigere spietatamente da lui il suo debito (Mt 18,27).
Il samaritano si dimostra misericordioso nei confronti dell'uomo incappato nei briganti: si apre a colui che giace mezzo morto sul ciglio della strada e ha compassione di lui (Lc 10,33). 

Lo lascia entrare in sé, mentre il sacerdote e il levita si chiudono e passano oltre. E Dio come padre misericordioso ha compassione del figlio prodigo (Lc 15,20). 
Nei racconti di miracoli, invece, la parola è usata nove volte. 
Gesù ha compassione del lebbroso: apre il suo cuore a colui che si sente rifiutato ed emarginato da tutti (Mc 1,41). 
In Matteo questa parola compare tre volte, non nei confronti di singoli individui, bensì nei confronti della folla che ha fame, è ferita, anela alla salvezza e non ha orientamento. «Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore» (Mt 9,36). 
Poiché Gesù si fa commuovere dal dolore e dallo smarrimento e dalla loro stanchezza, guarisce i malati, annuncia il proprio messaggio, dà loro da mangiare (Mt 14,14 e 15,32) e invia loro i suoi discepoli. 
Il Discorso missionario, in Matteo, segue direttamente l'osservazione secondo cui Gesù prova compassione per le folle. Secondo me ciò significa che Gesù ci rende messaggeri della sua misericordia. 
Siamo inviati alle persone che sono stanche ed esauste, che sono ferite e confuse. Come Gesù, dobbiamo volgerci misericordiosamente agli altri, condividerne i sentimenti, aprire a loro il nostro cuore e compiere nei loro confronti ciò che ha fatto Gesù.

(continua)
- Anselm Grün - 

da: "Perchè il mondo sia trasformato-Le sette opere di misericordia", Ed. Queriniana, 2009 



Buona giornata a tutti. :-)






mercoledì 29 marzo 2017

Le opere di misericordia (1) - Anselm Grün

Il testo biblico da cui derivano le sette opere di misericordia è il grande Discorso sul giudizio finale nel Vangelo di Matteo (Mt 25,31-46). 
In esso Gesù parla di sé come del Figlio dell'uomo e del re. 
Durante il giudizio finale egli convocherà gli uomini di tutta la terra e separerà gli uni dagli altri. 
A coloro che inviterà nella sua gloria dirà:
Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fino dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi (Mt 25,34-36).
Matteo chiama 'giusti' coloro che hanno compiuto queste opere d'amore. 

I giusti non si stupiscono di aver compiuto queste opere buone per gli altri, ma del fatto di aver dato da mangiare e da bere, di aver visitato e vestito Cristo in persona. Hanno visto soltanto la persona concreta, ma non Cristo. Eppure Gesù risponde loro: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Mt 25,40). Gesù si identifica con gli affamati, gli assetati, i forestieri, gli ignudi, i malati e i carcerati.

1. La storia: dai vangeli fino ad oggi
Da sempre questo testo ha toccato i cristiani. È stato definito la sintesi per eccellenza dell'intero vangelo. Gesù giudica il nostro essere cristiani in base al nostro comportamento nei confronti del prossimo. 
Alla fine della nostra esistenza ciò che conterà sarà come siamo andati incontro al nostro prossimo e come l'abbiamo trattato. Ma Gesù qui non parla per farci la morale. 
Il nostro rapporto con il prossimo, più che altro, concerne la nostra relazione con Gesù Cristo, la realtà determinante della nostra fede. Anche se non ne siamo consapevoli, in fondo ciò che facciamo al prossimo lo facciamo a Cristo.
Per Immanuel Kant di questo testo era importante soprattutto il fatto che compiamo atti d'amore in funzione dell'amore stesso e non per aspettarcene una ricompensa. 

La teologia della liberazione ha posto questo brano al centro del suo messaggio: Gustavo Gutiérrez vede quel testo come dimostrazione che nessuna via porta a Dio evitando il sacramento del prossimo: «L'amore a Dio si esprime necessariamente nell'amore al prossimo. Più ancora: si ama Dio nel prossimo».
Il discorso di Gesù ha anche un ruolo importante soprattutto nel dialogo con le altre religioni. 

Ritroviamo l'elenco delle opere d'amore che Gesù esige dai suoi discepoli anche in altre religioni e nei loro testi, per esempio nel Libro egiziano dei morti, in testi del buddhismo antico e in Ovidio. 
Gli esseri umani non sanno affatto di servire Cristo nel prossimo: «La norma in base alla quale il Figlio dell'uomo in Mt 25,31-46 giudica gli uomini non sembra aver nulla a che fare con una particolare religione: è universale» [3]. Paul Tillich vede in Mt 25 un testo che «libera l'interpretazione di Gesù da un particolarismo che lo avrebbe trasformato nella proprietà di un gruppo religioso particolare». 
Anche se noi qui non seguiamo Tillich, questo testo apre però il messaggio di Gesù per tutti gli esseri umani, in tutte le religioni. 
Nel modo in cui ci comportiamo nei confronti degli altri, in fondo, si fa visibile il nostro rapporto con Gesù Cristo, non importa se crediamo in lui o meno, non importa se nel fratello o nella sorella riconosciamo Cristo oppure no.
Già la chiesa delle origini ha aggiunto alle sei opere che Gesù qui elenca la settima: seppellire i morti. 
Lattanzio, l'eloquente predicatore, fece questa aggiunta all'inizio del secolo, tenendo presente un passo del libro di Tobia (Tb 1,17). Come tutta la chiesa delle origini, era ancora consapevole del fatto che l'elenco delle opere di bene ha uno sfondo biblico. Già nell'Antico Testamento Dio esorta gli uomini a dimostrare misericordia al prossimo. Così, nel libro del profeta Isaia, Dio esige qualcos'altro invece del digiuno esteriore:
Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato, nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? (Is 58,6s.).
Nell'interpretazione ebraica dei testi dell'Antico Testamento, il Talmud, l'essere umano viene regolarmente esortato a seguire Dio, che visita gli ammalati (Abramo a Mamre), veste gli ignudi (Adamo) e seppellisce i morti (Mosè). 
La teologia rabbinica distingue le 'opere d'amore' dalle elemosine. 
Le elemosine si riferiscono a sovvenzioni in denaro. 
Le opere d'amore, invece, sono opere che esigono l'impegno di tutta la persona. Secondo un testo ebraico, il mondo poggia su tre colonne: la Torah, il culto e le opere d'amore. E in base alle opere d'amore si decide anche se l'ebreo pio resiste al vaglio del giudizio.
Già Origene non intendeva le opere di misericordia soltanto in maniera puramente esteriore, ma le interpretava dal punto di vista spirituale. 
Dar da mangiare agli affamati per lui diventa: alimentare i fratelli e le sorelle con il cibo spirituale. 
A proposito del vestire pensa alla veste della sapienza che dobbiamo offrire agli altri. 
Far visita al fratello può anche significare consolarlo. 
Sulla scia di Origine, l'interpretazione spirituale delle Scritture ha visto le opere di misericordia come metafore della nostra relazione con Gesù Cristo. Macario, per esempio, intende l'ospitalità come un sostare di Cristo nell'animo umano: non dobbiamo soltanto accogliere il fratello nella nostra casa, ma lasciar entrare Cristo nella dimora della nostra anima. Sant'Agostino porta avanti questa tradizione: distingue tra opere di bene che riguardano il corpo del prossimo e opere di bene che si riferiscono alla sua anima.
Questa divisione in opere di misericordia corporale e opere di misericordia spirituale fu poi sviluppata ulteriormente nel Medioevo. Tommaso d'Aquino spiega queste quattordici opere come virtù della carità. 

Nel Medioevo memorizzavano le quattordici opere di misericordia per mezzo di versi in latino. L'arte stessa si occupò delle opere di misericordia. 
La rilegatura del Salterio di Melisenda [5], del 1131, raffigura le sette opere di misericordia. 
Chi legge il salterio è tenuto a ricordarsi che la sua preghiera si deve esprimere in un comportamento nuovo. 
Spesso le opere di misericordia appaiono anche nelle raffigurazioni del giudizio universale, per esempio sulla porta di San Gallo nel duomo di Basilea (Svizzera) [6], realizzata intorno al 1170, oppure nel battistero di Parma, del 1196. 
Il reliquiario di santa Elisabetta a Marburgo (Germania) rappresenta le opere di misericordia: per il Medioevo Elisabetta era la santa che aveva vissuto in maniera esemplare ciò che Gesù esige dai cristiani nel suo Discorso sul giudizio finale.
All'epoca della Riforma le opere di misericordia passarono in secondo piano. Si discuteva soprattutto se le opere siano determinanti per il giudizio o se non sia soltanto la grazia di Dio a contare. 
Il Discorso sul giudizio finale non si adattava tanto alla dottrina della giustificazione per la sola fede. Perciò lo si perse di vista. 
In età moderna le opere di misericordia vennero poi istituzionalizzate: si crearono ospedali, asili per i senzatetto e mense per i poveri. 
Si sorrideva delle opere di misericordia personali, considerate poco efficaci: se si vogliono aiutare le persone, si affermava, bisogna farlo sul piano politico e sociale. La beneficenza andava organizzata. 
Negli ultimi decenni, perciò, non sono quasi stati scritti libri sulle opere di misericordia. 
Nel 1958 due emittenti radiofoniche tedesche invitarono poeti e scrittori cattolici e protestanti a parlare delle opere di misericordia corporale e spirituale. Scrittori celebri come Josef Martin Bauer, Otto Karrer, Albrecht Goes, Luise Rinser, Edzard Schaper e Reinhold Schneider parlarono del tema in modo molto coinvolgente, a partire dalla situazione del dopoguerra.
Soltanto cinquant'anni dopo il vescovo Joachim Wanke, in occasione dell'ottocentesimo anniversario della nascita di santa Elisabetta di Turingia, ha invitato teologi e personaggi pubblici a riflettere sulle opere di misericordia e a trasporle nel nostro tempo. 

Alla vigilia del 2007, l'anno in cui cadeva la ricorrenza, il vescovo ha lasciato che le persone intervistate si esprimessero su che cosa era per loro, oggi, misericordia. Le loro risposte sono poi confluite in una riformulazione delle sette opere di misericordia. È stato un tentativo di trasporre nel nostro tempo le opere di misericordia classiche: 
1) ti vengo a trovare; 
2) condivido con te; 
3) ti ascolto; 
4) fai parte di questa comunità; 
5) prego per te; 
6) parlo bene di te; 
7) faccio con te un pezzo di strada.


(continua)
- Anselm Grün - 

da: "Perchè il mondo sia trasformato-Le sette opere di misericordia", Ed. Queriniana, 2009 



«Il tuo comportamento rispecchia ciò che risuona nel tuo cuore».

Quando in noi l'impazienza o l'aggressività prendono il sopravvento, dobbiamo cercare di placare le tensioni che s'insinuano in noi. 
Non è forse vero che quando siamo arrabbiati le nostre reazioni sono sproporzionate e il nostro risentimento eccessivo, se comparato alla situazione o alle parole pronunciate? 
La nostra sensibilità non degenera forse in suscettibilità? 
Le nostre azioni non rischiano forse di caricarsi esageratamente del peso delle nostre inquietudini o delle nostre contrarietà?


E bene talvolta procedere a un esame di coscienza e, meglio ancora, a un «esame di fiducia». 
Fiducia nell'altro, fiducia nella vita, fiducia nelle possibilità di ritrovare l'unità e la pace a prescindere da qualsiasi conflitto passeggero.

- Anselm Grün - 






Stai attento ai passi che fai, non vai semplicemente da un punto all'altro. 
Il camminare è piuttosto un'immagine del cammino interiore che stai facendo, che non puoi mai considerarti arrivato nella tua vita e rimanere fermo, ma devi andare sempre più avanti, devi cambiare te stesso sempre di più.

- Anselm Grün - 



Buona giornata a tutti. :-)







lunedì 24 ottobre 2016

Guarigione come riconciliazione - Anselm Grün

Molte persone si ammalano perché hanno dentro di sé qualcosa che si è spaccato. La spaccatura si ripercuote spesso sul corpo. 
Essere sano significa essere intatto, integro, essere pacificato con tutto quello che c’è in me. 
Ci sono forme di spiritualità, nel passato come pure nel presente, che ci fanno ammalare. 
Chi si identifica con ideali elevati, corre sempre il pericolo di lasciar da parte la propria realtà. Ciò che non si vuole ammettere in se stessi viene rimosso o represso. Ma non possiamo rimuovere la nostra realtà impunemente: essa si ripercuoterà negativamente sull’anima, oppure si riverserà sul corpo come malattia.
Nella Bibbia la guarigione avviene allorquando Gesù tocca i malati. 
Questi devono mettere davanti a Cristo la loro vera situazione, affinché la sua forza sanante possa scorrere sulle loro ferite e le possa trasformare. Gesù non è un mago divino che fa sparire d’incanto le nostre malattie. Solo quando ci mettiamo di fronte alla nostra realtà, ci rendiamo conto delle ferite che sono in noi e le presentiamo coscientemente a Cristo, solo allora la guarigione è possibile. Una via di guarigione è mettersi di fronte alle nostre ferite; l’altra via consiste nel fare pace con noi stessi. Questa pacificazione non è un’autoguarigione, ma è piuttosto una risposta alla fiducia di essere accolti da Dio incondizionatamente.

- Anselm Grün -



Chi ha gli occhi purificati da Dio può salire dalla bellezza del mondo a quella di Dio. E vede la bellezza del mondo nella luce della bellezza di Dio.  

- Anselm Grün -
da: Bellezza, una nuova spiritualità nella gioia di vivere


La bellezza non la si può “fabbricare”: non possiamo comprarla né sforzarci di ottenerla. Possiamo solo riceverla, accoglierla come dono: la incontriamo, se apriamo gli occhi, nella natura, nell’arte e nella musica, nelle altre persone, e persino in noi stessi. 
È la chiave per una vita piena. 
Il bello dona gioia e momenti di felicità dove meno ce l’aspettiamo. 
Ci spalanca le porte e ci introduce in un luogo in cui il nostro cuore può sentirsi a casa. Perché, come diceva Dostoevskij, «la bellezza salverà il mondo».

- Anselm Grün -
da: Bellezza, una nuova spiritualità nella gioia di vivere




Buona giornata a tutti. :-)





giovedì 29 settembre 2016

"Quis ut Deus?" Chi è come Dio - Anselm Grün

Michele è il più grande degli angeli.
Il suo nome significa "Chi è al pari di Dio?"
Dobbiamo farci questa domanda. Ė un bisogno profondo dell'uomo quello di essere come Dio. L’uomo vorrebbe non dipendere da Dio, vorrebbe essere assoluto, vorrebbe potersi determinare autonomamente.
Ma quanto più l'uomo prova a essere come Dio, tanto più fallisce nel suo essere uomo.
Adora se stesso al posto di Dio, trasforma se stesso in idolo e in criterio ultimo.
Quest’atteggiamento è la causa di molte sofferenze nel mondo.
Molti pensano che questo pericolo riguarderebbe tutt'al più le persone più potenti, i sovrani. Ma noi tutti corriamo il pericolo di voler essere pari a Dio. C'è chi ha la tentazione di voler essere perfetto. Vorrebbe essere senza errori e pensa che sia questa la volontà di Dio. In realtà è la sua ambizione a spingerlo a questo.
Un altro vuole porre i suoi criteri come assoluti, non vuole essere messo in discussione da nessuno. Vorrebbe fare e non fare quello che vuole, senza accettare indicazioni di sorta. […]
Un pericolo è che noi stessi vogliamo essere come Dio.
L’altro pericolo sta nel fatto che adoriamo idoli al posto di Dio.
Nella nostra epoca questi idoli sono soprattutto il potere, il denaro, la sessualità. Questi tre ambiti hanno in sé la caratteristica di porsi in modo assoluto e di determinare in modo totale il pensiero e l'aspirazione dell'uomo.
Michele ci lancia contro la frase che non ci lascia in pace: Chi è al pari di Dio?. Solamente se adoriamo Dio, saremo veramente persone, diventeremo capaci di vivere umanamente tra di noi.
Non siamo mai esenti dal pericolo di assolutizzare qualcosa che non ha valore assoluto.
Poniti sempre questa domanda: Chi è al pari di Dio?
Scoprirai allora dove corri il pericolo di assolutizzare ciò che è umano, di mettere te stesso sullo stesso piano dello splendore divino, del potere divino, di voler essere pari a Dio. Ė necessario che ti accetti nella tua limitatezza umana.
Solamente se conservi i tuoi limiti umani, riesci ad accogliere Dio in te e a essere trasparente per la Sua realtà.
(Anselm Grün)
Fonte: “Scoprire i Santi per la nostra vita” Anselm Grün,Queriniana Editrice, Brescia, 2004, pp. 183-186


Paolo Uccello - San Giorgio e il Drago, Londra, National Gallery, 1456

Si ha l'impressione che quando San Michele Arcangelo lanciò il suo grido "Quis ut Deus!" fu il primo a farlo - come d'altronde viene ammesso in generale - seguito poi da innumerevoli angeli che lo sostennero, essendo questi molti più numerosi degli angeli cattivi che allora furono precipitati nell'Inferno.
Vi fu comunque un primo momento in cui San Michele era solo. Egli non esitò a proclamare per le immensità celesti "Quis ut Deus!" e diede inizio alla guerra. Si intende quindi che, iniziato il contrasto, avvenne la sacrosanta insurrezione degli angeli buoni al seguito di San Michele. 

Dunque, ancorché ci trovassimo soli, non dubitiamo: giunto il momento, sfidiamo chiunque ed affrontiamolo.

Quantunque fossimo soli, gridiamo "Quis ut Deus! Quis ut Virgo!" e la vittoria sarà nostra.

- Plinio Corrêa de Oliveira -
7 Novembre 1994 - Riunione ai Soci e cooperatori della TFP, senza revisione dell'autore




Nel Nuovo Testamento il termine "arcangelo" è attribuito a Michele. 
Solo in seguito venne esteso a Gabriele e Raffaele, gli unici tre arcangeli riconosciuti dalla Chiesa, il cui nome è documentato nella Bibbia.
San Michele, "chi come Dio?", è capo supremo dell'esercito celeste, degli angeli fedeli a Dio. Antico patrono della Sinagoga oggi è patrono della Chiesa Universale, che lo ha considerato sempre di aiuto nella lotta contro le forze del male.

Martirologio Romano: Festa dei santi Michele, Gabriele e Raffaele, arcangeli. La Bibbia li ricorda con specifiche missioni: Michele avversario di Satana, Gabriele annunciatore e Raffaele soccorritore. Prima della riforma del 1969 si ricordava in questo giorno solamente san Michele arcangelo in memoria della consacrazione del celebre santuario sul monte Gargano a lui dedicato. Il titolo di arcangelo deriva dall’idea di una corte celeste in cui gli angeli sono presenti secondo gradi e dignità differenti. Gli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele occupano le sfere più elevate delle gerarchie angeliche. Queste hanno il compito di preservare la trascendenza e il mistero di Dio. Nello stesso tempo, rendono presente e percepibile la sua vicinanza salvifica.




Questa stupenda grotta è la grotta dove è apparso l' Arcangelo Michele a Monte Sant' Angelo, in Puglia in provincia di Foggia.
Da sempre sul monte Gargano si dice che la grotta dell’arcangelo è per gli esseri umani di giorno e per gli angeli di notte. Nessuno infatti osa entrarvi dopo il calare delle tenebre.
L’ampia e suggestiva grotta dell’arcangelo è un luogo di estremo fascino, che suscita in chi vi entra una grandissima emozione. 
L’attuale basilica gotica sovrastante la grotta fu edificata da Carlo d’Angiò. La statua marmorea dell’arcangelo, opera dello scultore Andrea Cantucci detto il Sansovino (1507), rappresenta Michele, principe delle milizie celesti e vincitore del demonio, rappresentato come mostro orribile che giace ai suoi piedi.
Il santuario di san Michele è stato fin dalle origini meta di innumerevoli pellegrinaggi, divenendo il più famoso luogo di culto dell’Occidente. 
Le iscrizioni in tutte le lingue e di tutte le epoche rinvenute dagli archeologi attestano la presenza di pellegrini di moltissime nazionalità: goti, franchi, alemanni, angli, sassoni. Un culto che si rinnova da oltre 1500 anni: nel periodo delle crociate il santuario di san Michele divenne tappa d’obbligo prima di partire per la Terra Santa. Sovrani, santi, pontefici percorsero a piedi scalzi i duri tornanti del monte per pregare nella dimora dell’arcangelo.




Apparizione di San Michele Arcangelo

"Io sono l'Arcangelo Michele e sto sempre alla presenza di Dio. La caverna è a me sacra, è una mia scelta, io stesso ne sono vigile custode. 
Là dove si spalanca la roccia, possono essere perdonati i peccati degli uomini 
Quel che sarà chiesto nella preghiera, sarà esaudito. 
Quindi dedica la Grotta al culto cristiano". 

- San Michele Arcangelo apparso in sogno al vescovo di Siponto, Lorenzo Maiorano -



Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo .
Gloriosissimo Principe della Milizia Celeste, Arcangelo San Michele, difendeteci in questa ardente battaglia contro tutte le potenze delle tenebre e la loro spirituale malizia.
Venite in soccorso degli uomini creati da Dio a sua immagine e somiglianza e riscattati a gran prezzo dalla tirannia del demonio. 
Combattete oggi le battaglie del Signore con tutta l'armata degli Angeli beati, come già avete combattuto contro il principe dell'orgoglio lucifero ed i suoi angeli apostati; e questi ultimi non potettero trionfare e ormai non v'è più posto per essi nei cieli. Ma è caduto questo grande dragone, questo antico serpente che si chiama lo spirito del mondo, che tende trappole a tutti. 
Sì, è caduto sulla terra ed i suoi angeli sono stati respinti con lui.
Ora ecco che, questo antico nemico, questo vecchio omicida, si erge di nuovo con una rinnovata rabbia. 
Trasfiguratosi in angelo di luce, egli nascostamente invase e circuì la terra con tutta l'orda degli spiriti maligni, per distruggere in essa il nome di Dio e del suo Cristo e per manovrare e rubarvi le anime destinate alla corona della gloria eterna, per trascinarle nell'eterna morte.
Il veleno delle sue perversioni, come un immenso fiume d'immondizia, cola da questo dragone malefico e si trasfonde in uomini di mente e spirito depravato e dal cuore corrotto; egli versa su di loro il suo spirito di menzogna, di empietà e di bestemmia ed invia loro il mortifero alito di lussuria, di tutti i vizi e di tutte le iniquità.
La Chiesa, questa Sposa dell'Agnello Immacolato, è ubriacata da nemici scaltrissimi che la colmano di amarezze e che posano le loro sacrileghe mani su tutte le sue cose più desiderabili. 
Laddove c'è la sede del beatissimo Pietro posta a cattedra di verità per illuminare i popoli, lì hanno stabilito il trono abominevole della loro empietà, affinché colpendo il pastore, si disperda il gregge.
Pertanto, o mai sconfitto Duce, venite incontro al popolo di Dio contro questa irruzione di perversità spirituali e sconfiggetele. 
Voi siete venerato dalla Santa Chiesa quale suo custode e patrono ed a Voi il Signore ha affidato le anime che un giorno occuperanno le sedi celesti. 
Pregate, dunque, il Dio della pace a tenere schiacciato satana sotto i nostri piedi, affinché non possa continuare a tenere schiavi gli uomini e a danneggiare la Chiesa.
Presentate all'Altissimo, con le Vostre, le nostre preghiere, perché scendano presto su di noi le Sue Divine Misericordie e Voi possiate incatenare il dragone, il serpente antico satana ed incatenarlo negli abissi. 
Solo così non sedurrà più le anime. Amen.



Oggi si festeggiano gli Arcangeli Gabriele, Michele e Raffaele.


Auguri a tutti. :-)