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domenica 26 novembre 2023

L'ora dei Santi viene sempre - Georges Bernanos

 La comunione dei santi...Chi tra di noi è sicuro di appartenervi? E se ha questa fortuna quale parte ha in essa? Chi sono i ricchi e i poveri di questa comunità sorprendente? Chi sono quelli che danno e chi sono quelli che ricevono? Quante sorprese!
Oh certo, niente pare meglio regolato, più strettamente ordinato, gerarchizzato, equilibrato della vita esterna della Chiesa. Ma la sua vita interiore trabocca di prodigiose libertà, vorrei quasi dire di divine stravaganze dello spirito, dello spirito che soffia dove vuole.
Quando si pensa alla severa disciplina che mantiene quasi implacabilmente al posto stabilito ogni membro di questo grande corpo ecclesiastico, dal più modesto vicario fino al Santo Padre coi suoi privilegi, coi suoi titoli, direi quasi col suo vocabolario particolare, non sono forse delle stravaganze quelle promozioni improvvise, talvolta troppo improvvise, di oscure religiose, di semplici laici o anche di mendicanti divenuti bruscamente patroni, protettori, dottori della Chiesa universale?
Oh, non si tratta di opporre la Chiesa visibile alla Chiesa invisibile.
La Chiesa visibile non è soltanto la gerarchia ecclesiastica: siete voi, sono io, perciò non sempre è gradita, anzi qualche volta è stata anche molto sgradita, come nel secolo XV, al tempo del Concilio di Basilea...
In questi casi siamo naturalmente tentati di rammaricarci che non sia la Chiesa invisibile, ci si rammarica che un cardinale sia riconoscibile da lontano per la sua bella cappa scarlatta, mentre un santo, durante la vita, non si distingue per nessun abito particolare...
Lo so: questa che sembra una battuta, per molte anime invece è un pensiero torturante.
Ma non è giusto ragionare come se la Chiesa visibile e la Chiesa invisibile fossero due chiese, la Chiesa visibile è quello che noi possiamo vedere della Chiesa invisibile e questa parte visibile della Chiesa invisibile varia con ognuno di noi. Perché noi conosciamo tanto meglio l'umano che c'è in lei quanto meno siamo degni di conoscere il divino che c'è in lei. 
Diversamente, come spieghereste una bizzarria come questa: che i più qualificati a scandalizzarsi dei difetti, delle deformazioni, delle difformità della Chiesa visibile, voglio dire i Santi, siano proprio quelli che non se ne lamentano mai?
La Chiesa visibile è ciò che ognuno di noi può vedere della Chiesa invisibile, secondo i propri meriti e la grazia di Dio. E' troppo bello dire vorrei vedere ben altro , non quello che vedo. Certo, se il mondo fosse il capolavoro di un architetto scrupoloso della simmetria o di un professore di logica, di un Dio deista insomma, la Chiesa allora ci darebbe lo spettacolo della perfezione, dell'ordine. In essa la Santità sarebbe il primo privilegio del comando e ogni grado della gerarchia corrisponderebbe a un grado superiore di santità, fino al più santo di tutti, il nostro Santo Padre.
Ma dai! Vorreste una chiesa così? E vi sentireste a vostro agio?
Non fatemi ridere! Invece che sentirvi a vostro agio rimarreste sulla soglia di questa congregazione di superuomini, rigirando il vostro berretto tra le mani come uno straccione alla porta del Ritz o del Claridge.
La Chiesa è una casa di famiglia, una casa paterna, e nelle case di famiglia c'è sempre un po' di disordine, le sedie mancano d'un piede, i tavoli sono macchiati d'inchiostro e i barattoli di marmellata si vuotano da soli nelle dispense, queste cose le so, ne ho esperienza...

La casa di Dio è una casa di uomini, non di superuomini.
I cristiani non sono dei superuomini. E neanche i santi sono dei superuomini. Anzi meno che mai i santi, che sono i più umani tra gli umani! 
I santi non sono sublimi, non hanno bisogno del sublime, piuttosto il sublime avrebbe bisogno di loro! 
I santi non sono degli eroi alla maniera degli eroi di Plutarco. 
Un eroe ci dà l'illusione di essere al di là dell'umanità, il santo non sta al di là dell'umanità: la assume, si sforza di realizzarla il meglio possibile.
Capite la differenza? Il santo si sforza di accostarsi quanto più vicino può al suo modello Gesù Cristo, cioè a colui che è stato perfettamente uomo, con una semplicità perfetta fino al punto da sconcertare gli eroi rassicurando gli altri, perché Cristo non è morto soltanto per gli eroi, è morto anche per i vili.
Quando i suoi amici lo dimenticano i suoi nemici non lo dimenticano. Voi sapete che i nazisti non cessarono mai di opporre alla santissima agonia di Cristo nell'orto degli ulivi la morte gioiosa di tanti giovani hitleriani. E' che Cristo vuole sì aprire ai suoi martiri la strada gloriosa di un trapasso senza paura ma vuole anche precedere ognuno di noi nelle tenebre dell'angoscia mortale. La mano ferma, impavida può all'ultimo passo non appoggiarsi alla spalla di Cristo...Ma la mano che trema è sicura di incontrare la sua.

Vorrei concludere con un pensiero che mi ha sempre accompagnato in questa conversazione come il filo del tessitore che corre sotto la trama.
Quelli che incontrano tanta difficoltà a capire la nostra fede hanno un'idea troppo imperfetta della dignità eminente dell'uomo nella creazione, non lo mettono al suo posto nella creazione, al posto a cui Dio lo ha elevato per potervi discendere.
Noi siamo creati a immagine e somiglianza di Dio perché siamo capaci di amare.
I santi hanno il genio dell'amore. E questo genio non è come quello dell'artista, che appartiene a un piccolo numero di privilegiati. Sarebbe più esatto dire che il santo è l'uomo che sa trovare in sé, sa far sgorgare dalle profondità del suo essere, l'acqua di cui Cristo parlava alla samaritana: chi ne berrà non avrà mai sete...
In ognuno di noi c'è la cisterna profonda aperta sotto il cielo. Certo, la superficie è ancora ingombra di detriti, di rami spezzati, di foglie putride da cui sale un odore di morte. Su questa superficie brilla una specie di luce fredda e dura che è quella dell'intelligenza ragionatrice. Ma al di sotto dello strato malsano, l'acqua è subito tanto limpida e tanto pura. Ancora un po' più addentro e l'anima si ritrova nel suo elemento natale, infinitamente più puro dell'acqua più pura: quella luce increata che avvolge tutta quanta la creazione: in lui era la vita e la vita era la luce degli uomini.

La fede che alcuni di voi si lamentano di non conoscere è in voi, riempie la vostra vita interiore, è quella stessa vita interiore mediante la quale ogni uomo, ricco o povero, ignorante o dotto, può entrare in contatto col divino, cioè con l'amore universale, di cui tutta la creazione è l'inesauribile zampillamento. Contro questa vita interiore cospira la nostra inumana civiltà con la sua attività delirante, col suo furioso bisogno di distrazione e con quell'abominevole dissipazione di energie spirituali degradate attraverso cui si disperde la sostanza stessa dell'umanità.

All'inizio vi dicevo che lo scandalo della creazione non sta nella sofferenza ma nella libertà. Avrei potuto dire benissimo: nell'amore. 
Se le parole avessero conservato il loro significato, direi che la creazione è un dramma dell'amore. I moralisti considerano la santità come un lusso. 
Invece è una necessità. Finché la carità non si era troppo raffreddata nel mondo, finché il mondo ha avuto la sua parte di santi, alcune verità si son potute trascurare ma esse oggi riappaiono come la roccia durante la bassa marea.
La santità, i santi alimentano quella vita interiore senza cui l'umanità si degraderà fino a morire. 
E' nella propria vita interiore che l'uomo trova le risorse necessarie per sfuggire alla barbarie o a un pericolo peggiore della barbarie: la schiavitù bestiale del formicaio totalitario. Certo, si potrebbe credere che questa non è l'ora dei santi, che l'ora dei santi è passata. 
Ma io dico che l'ora dei santi viene sempre.

- Georges Bernanos - 
Fonte: dal discorso alle Piccole Sorelle di Charles De Foucauld, Algeria, 1947


La dignità di Dio. Anche nei suoi confronti, così come succede tra noi, negandogli l'ossequio dovuto gli si fa ingiuria. Chiunque occupi un rango elevato ha diritto a un particolare rispetto, tanto che verrebbe considerato traditore del re quell'uomo che gli rifiutasse un atto di riverenza. Ebbene, vi sono taluni che si comportano così di fronte a Dio [negandogli l'adorazione]. 

«Hanno sostituito la gloria di Dio incorruttibile, con immagini di uomini mortali» (Rm I, 23), il che spiace a lui, sommamente, avendo proclamato per bocca di Isaia: «Io sono il Signore; questo è il mio nome: non darò la mia gloria a nessun altro, né agli idoli l'onore che è dovuto a me» (Is 42, 8).

 - S. Tommaso d'Aquino - 


Preghiera per la sera

Accogli le parole che dalla mia anima
e dal mio cuore salgono a te,
o ineffabile, che parli nel silenzio.
Ti supplico che io non mi inganni
nella conoscenza della nostra natura più vera;
chinati verso di me e rendimi forte
ed io farò risplendere questa grazia sui miei fratelli che sono figli tuoi.
La mia anima appartiene allo Spirito Santo.
Per questo credo e confesso la mia fede 
da cui ricevo luce e vita.
Sei degno di lode, o Padre.
Il tuo servo vuol santificarsi con te,
secondo la possibilità che tu gli hai dato.
A te la gloria, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen.


Buona giornata a tutti :-)


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lunedì 29 marzo 2021

da: "La gioia" - Georges Bernanos

Egli ha amato come un uomo, umanamente, l'umile retaggio umano, il povero focolare, la tavola, il pane e il vino, le strade grigie, dorate dagli scrosci di pioggia, i villaggi coi loro fili di fumo, le piccole case tra le siepi spinose, la pace della sera che cala e i bimbi che giocano sulle soglie. 
Ha amato tutto ciò umanamente, al modo umano, ma come nessun uomo mai aveva amato, né mai amerà. 
Così puramente, stringendo tutto a sé, con quel cuore che aveva foggiato per questo con le proprie mani. 
E la vigilia, mentre gli ultimi discepoli discutevano tra loro la tappa da percorrersi l'indomani e dove dormire e che cosa mangiare, come fanno i soldati prima di una marcia notturna, un po' vergognosi però di lasciare il Rabbi salire lassù quasi solo, gridando forte apposta con le loro voci paesane e battendosi sulle spalle, all'uso dei bovari e dei sensali di cavalli, lui, benedicendo intanto le primizie della sua prossima agonia, come aveva benedetto quel giorno stesso la vigna e il frumento, consacrando per i suoi (dolorosa gente, la sua opera) il Corpo sacro, l'offrì a tutti gli uomini, lo sollevò verso di loro con le sue mani sante e venerabili, al di sopra della vasta terra addormentata, di cui tanto aveva amato le stagioni.
L’offrì una volta, una volta per tutte, ancora nello splendore e nella forza della giovinezza, prima di darlo in balìa alla paura, di lasciarlo faccia a faccia con la ripugnante paura, fino alla remissione del mattino. 
Senza dubbio l'offrì a tutti gli uomini, ma non pensava che a uno solo. 
Il solo al quale quel corpo appartenesse davvero, al modo umano, come quello di uno schiavo al suo padrone, poiché si era impadronito di lui con l'astuzia ed aveva disposto di lui come di un bene legittimo, in virtù di un contratto di vendita, stipulato nelle dovute forme, correttamente.
Il solo perciò che potesse sfidare la misericordia, entrare con un salto nella disperazione, fare della disperazione la sua dimora, coprirsi di essa, come il primo assassino si era coperto della notte. 
Il solo uomo tra gli uomini che possedesse realmente qualcosa, che fosse provvisto, giacché ormai non aveva più niente da ricevere da nessuno, eternamente.

- Georges Bernanos -
da: "La gioia", pp. 249-250


C’È  BISOGNO  DI  CATECHISMO

Peccato  che  questa  immensa  forza  sia  poco  sfruttata!  I  fanciulli studiano poco il catechismo; gli adulti, perché si illudono di averlo studiato, non lo studiano più e così c’è in giro una ignoranza religiosa incredibile: gente che conosce la scienza e ha letto cataste di libri non sa nulla del cristianesimo in mezzo a cui vive, non ha mai letto il Vangelo per intero. Senza dire di tant’altra gente, che frequenta la chiesa e si crede pia ed invece manca completamente di idee religiose; crede di aver la fede e ha solo del tenerume; cerca nella pietà non il volere di Dio, ma impressioni, sentimenti e vaghe ebbrezze; ignora la vera devozione e pratica un mucchio di devozioni legate a certe formule, a certi numeri metà cabala, metà superstizioni; svuota la testa e il cuore e carica unicamente il sistema nervoso.  Dei  bambini  piccolissimi  si  dice:  «Sono  tanto  piccoli!  È  troppo presto per insegnar loro la religione!». E invece un educatore, a una mamma che chiedeva quando dovesse  cominciare  l’istruzione  del  suo  bambino  di  due  anni,  rispose: «Subito; siete in ritardo per lo meno di tre anni!». Voleva dire che i bimbi sono capaci di impressioni religiose fin dai primi istanti della loro vita.E un altro educatore scrisse che nemmeno in quattro anni di università un uomo impara tanto quanto nei primi quattro anni della vita. Tanto sono decisive e indelebili le prime impressioni!. C’è chi dice con Rousseau: voglio rispettare la libertà di mio figlio, non voglio imporre alcun insegnamento religioso. A vent’anni sceglierà.Ma pensano questi genitori che in realtà ai loro figliuoli hanno imposto tutto? La vita, intanto, perché non hanno chiesto il permesso dei figli per metterli al mondo: e poi il cibo, i vestiti, la casa, la scuola...D’altra parte chi si metterà, a vent’anni, a studiare religione? A vent’anni! 

L’età di tutti gli esami per quelli che studiano, l’età del lavoro, del mestiere, dell’officina, dell’ufficio per gli altri. L’età delle passioni, dei divertimenti, dei dubbi. Chi avrà voglia o tempo di prendersi i grossi volumi, studiarvi sopra tutte le religioni di questo mondo per vedere quale sia la vera e quindi la migliore? E poi, non aspettano, i genitori, che le malattie siano entrate nel corpo dei figli per cacciarle a forza di medicine; fanno invece di tutto, perché non entrino nel corpo.

Altrettanto si deve fare con l’anima: metterci il catechismo, il  timor  di  Dio,  affinché  i  vizi  non  entrino:  non  aspettare  che  i  vizi  siano  entrati  per  aver  la  consolazione  di  cacciarli  con  la  religione. Il nostro ragazzo deve lavorare, deve studiare! Ma prima ancora deve diventare buono, dev’essere premunito contro tutte le seduzioni e le tentazioni di domani. Non è con la tavola di Pitagora o con un banco da falegname o con un diploma che si sbarra la via alle passioni. Questo ragazzo è atteso al varco: domani la donna, il giornale, il cinema, l’osteria se lo disputeranno. 

Mandar avanti dei giovani o delle figliuole senza catechismo sulla strada del mondo è lo stesso che mandare dei soldati alla guerra senza giberne, senza cartucce, e farne così degli sconfitti e degli infelici. 

I grandi si scusano: l’abbiamo già studiato, il catechismo! Ma da ragazzi; ed era catechismo per i ragazzi, fatto di poche nozioni, con immagini, parole e sentimenti adatti ai piccoli, roba che  accarezzava  l’immaginazione,  il  cuore.  Ma  adesso  che  siete  adulti  occorre  qualcosa  di  più  sostanzioso  che  rischiari  la  testa  e  guidi  la  vita.  Adesso  occorrono  ragioni  solide,  chiare,  rispo-ste  convincenti,  per  respingere  vittoriosamente  gli  attacchi  che  d’ogni parte volano contro la fede. Mai come oggi s’è sentito bisogno di catechismo.

don Albino Luciani,  1949


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domenica 1 novembre 2020

Uniamoci al sentiero delle Beatitudini - don Tonino Lasconi

Dietro alle notizie di guerra, di terrorismo, di violenze, di ingiustizie, di corruzione, che potrebbe indurci al pessimismo, c’è una “moltitudine immensa” che nessuno può contare “di ogni nazione, tribù, popolo e lingua”, che “in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello” grida a gran voce: 
“La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello”. Questa moltitudine immensa non è composta soltanto dai santi del passato, quelli conosciuti e venerati e quelli che non hanno trovato posto nel calendario, viene rifornita continuamente da tutti coloro che, umilmente, senza finire mai in prima pagina, percorrono il sentiero delle Beatitudini. 
Chi di noi in questa moltitudine immensa, non annovera genitori, nonni, amici, colleghi generosi, forti nelle difficoltà e nelle sofferenze, miti, giusti e amanti della giustizia non soltanto per sé ma per tutti, misericordiosi, leali e trasparenti, sempre impegnati a creare pace e dialogo?
Allora, niente pessimismo. 
Con il sostegno e la protezione di questa “moltitudine immensa” - dei santi scritti nel calendario e di quelli presenti nella nostra memoria e nel nostro affetto - uniamoci al sentiero delle Beatitudini.

- don Tonino Lasconi -



Possiamo senz'altro immaginare la Chiesa come una vasta impresa di trasporto, di trasporto in paradiso; perché no?
Ebbene, mi chiedo: che cosa diventeremmo noi senza i Santi che organizzano il traffico?
Certo, da duemila anni questa compagnia di trasporto ha avuto non poche catastrofi: l'arianesimo, il nestorianesimo, il pelagianesimo, il grande scisma d'Oriente, Lutero..., per ricordare solo i deragliamenti e gli scontri più noti.
Ma senza i Santi, ve lo dico io, la cristianità sarebbe un gigantesco ammasso di locomotive capovolte, di carrozze incendiate, di rotaie contorte e di ferraglia che finisce di arrugginirsi sotto la pioggia.
Nessun treno circolerebbe più sulla strada ferrata invasa dall'erba.

- Georges Bernanos -
da: I santi nostri amici, 1947



Celebriamo la festa di Ognissanti in stile con globi di luce e di gioia, proclamando le beatitudini del Regno. 
Vivere la vocazione alla santità è sinonimo di parte della gioia di essere discepoli di Gesù, la gioia e la luce del mondo.
I santi che ci hanno preceduto lungo la strada, ci mostrano la testimonianza della loro vita, come noi stessi figli, che lavoriamo per il pane quotidiano, per mettere al centro i poveri, ed essere operatori di pace, e confortare gli afflitti, lottare per giustizia ecc ...
Vivere le Beatitudini nella vita quotidiana è la strada migliore alla santità, che è quello che Gesù ci mostra con la gioia del Vangelo.
Speriamo che la festa di Tutti i Santi, ci aiuti a "ricaricare le batterie" con la vocazione a cui siamo chiamati.
Una santità di tutti i giorni, che consuma il calcestruzzo e l'impegno per i sogni del Regno di Gesù.
Congratulazioni, cari amici! Riceviamo la gioia di essere benedetti!


Buona giornata a tutti. :-)


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giovedì 1 marzo 2018

L'entrata Trionfale - Georges Bernanos

E guarda, a proposito, quell'episodio dell'entrata trionfale a Gerusalemme io lo trovo così bello!
Nostro Signore si è degnato assaggiare il trionfo come tutto il resto, come la morte, non ha rifiutato nulla delle nostre gioie, non ha rifiutato che il peccato.
Ma la sua morte, diamine!, l'ha curata, non vi manca nulla.
Invece, il suo trionfo, è un trionfo per bambini, non ti pare? Un'immagine di Épinal, con l'asinello, le fronde verdi, e la gente di campagna che batte le mani. Una parodia gentile, un po' ironica, delle magnificenze imperiali. Nostro Signore sembra sorridere - Nostro Signore sorride spesso -, ci dice: «Non prendete troppo sul serio questo genere di cose; ma infine ci sono dei trionfi legittimi, non è proibito trionfare; quando Giovanna d'Arco rientrerà in Orléans sotto i fiori e le orifiamme, con la sua bella tunica di panno d'oro, non voglio che creda di far del male.
Poiché ci tenete tanto, miei poveri ragazzi, l'ho santificato, il vostro trionfo, l'ho benedetto, come ho benedetto il vino delle vostre vigne».
E, quanto ai miracoli, nota bene, è la stessa cosa. Non ne fa più del necessario. I miracoli sono le immagini del libro, le belle immagini.


- Georges Bernanos -
dal "Diario di un curato di campagna", pp. 173-174



...Nel Vangelo della lavanda dei piedi il colloquio di Gesù con Pietro presenta ancora un altro particolare della prassi di vita cristiana, a cui vogliamo alla fine rivolgere la nostra attenzione. 
In un primo momento, Pietro non aveva voluto lasciarsi lavare i piedi dal Signore: questo capovolgimento dell’ordine, che cioè il maestro – Gesù – lavasse i piedi, che il padrone assumesse il servizio dello schiavo, contrastava totalmente con il suo timor riverenziale verso Gesù, con il suo concetto del rapporto tra maestro e discepolo. “Non mi laverai mai i piedi”, dice a Gesù con la sua consueta passionalità (Gv 13, 8). 
È la stessa mentalità che, dopo la professione di fede in Gesù, Figlio di Dio, a Cesarea di Filippo, lo aveva spinto ad opporsi a Lui, quando aveva predetto la riprovazione e la croce: “Questo non ti accadrà mai!”, aveva dichiarato Pietro categoricamente (Mt 16, 22). 
Il suo concetto di Messia comportava un’immagine di maestà, di grandezza divina. 
Doveva apprendere sempre di nuovo che la grandezza di Dio è diversa dalla nostra idea di grandezza; che essa consiste proprio nel discendere, nell’umiltà del servizio, nella radicalità dell’amore fino alla totale auto-spoliazione. 
E anche noi dobbiamo apprenderlo sempre di nuovo, perché sistematicamente desideriamo un Dio del successo e non della Passione; perché non siamo in grado di accorgerci che il Pastore viene come Agnello che si dona e così ci conduce al pascolo giusto..

- papa Benedetto XVI - 
dalla "Omelia durante la Santa Messa nella Cena del Signore" 20 marzo 2008

San Giovanni in Laterano 

martedì 27 febbraio 2018

Il Povero e i Poveri da: "Diario di un curato di campagna" - Georges Bernanos

È la parola più triste dell'Evangelo, la più carica di tristezza. 
Prima di tutto, è rivolta a Giuda.
Giuda! San Luca ci riferisce che teneva i conti e che la sua contabilità non era pulitissima; e sia pure! Ma infine era il banchiere dei Dodici; e chi ha mai visto in regola la contabilità d'una banca? 
È probabile che gravasse un po' sulla provvigione, come tutti. A giudicare dalla sua ultima operazione, non sarebbe stato un brillante commesso d'agente di cambio, Giuda. 
Ma il buon Dio prende la nostra povera società qual è; al contrario di quello che fanno i buffoni che ne fabbricano una sulla carta, poi la riformano a tutta forza, sempre sulla carta, beninteso!
A dirla in breve, Nostro Signore conosceva benissimo il potere del danaro; e ha fatto accanto a sé un posticino al capitalismo; gli ha lasciato le sue possibilità; ha fatto persino il primo deposito di fondi. 
Trovo tutto questo prodigioso, che vuoi! Così bello! Dio non disprezza nulla.
Dopo tutto, se l'affare fosse andato bene, Giuda avrebbe probabilmente sovvenzionato dei sanatori, degli ospedali, delle biblioteche o dei laboratori. Avrai osservato che già s'interessava al problema del pauperismo, come un milionario qualsiasi. «Ci saranno sempre dei poveri tra voi» risponde Nostro Signore, «ma io non sarò sempre con voi». 
Il che significa: Non lasciar suonare invano l'ora della misericordia. Tu farai meglio a restituire immediatamente il danaro che m'hai rubato, invece di cercar di montare la testa dei miei apostoli con le tue speculazioni immaginarie sui fondi di profumeria e sui tuoi progetti d'opere sociali.
Per di più, credi di lusingare così il mio conosciutissimo gusto per i senzatetto; e sbagli completamente. 
Io non amo i miei poveri come le vecchie inglesi amano i gatti sperduti, o i tori delle corride. Sono abitudini da ricchi, codeste. 
Io amo la povertà d'un amore profondo, riflessivo, lucido - da uguale a uguale - come una sposa dal fianco fecondo e fedele. 
L’ho coronata con le mie proprie mani. Non le fanno onore tutti quelli che vogliono, e chi non ha prima rivestito la bianca tunica di lino non può servirla. 
Il pane dell'amarezza non può romperlo con lei chiunque voglia farlo. 
Ho voluto che sia umile e fiera, non servile. Non rifiuta il bicchiere d'acqua, purché sia offerto in mio nome; ed è in nome mio che lo riceve.
Se il povero traesse il suo diritto soltanto dalla necessità, il vostro egoismo lo avrebbe presto condannato allo stretto necessario, pagato con una riconoscenza e una servitù eterne. Così, oggi tu ti adiri contro questa donna che ha irrorato i miei piedi con un nardo pagato carissimo, come se i miei poveri non dovessero mai profittare dell'industria dei profumieri.
Sei proprio di quella razza di persone che, avendo dato due soldi a un vagabondo, si scandalizzano di non vederlo precipitarsi sull'istante dal fornaio, a riempirsi di pane raffermo che il commerciante, d'altronde, gli venderebbe come pane fresco. 
Al posto suo, andrebbero anche loro dal mercante di vino, giacché il ventre d'un miserabile ha più bisogno d'illusione che di pane. Disgraziati!
L’oro, a cui date tanta importanza, è forse qualcosa di diverso da un'illusione, da un sogno, e spesso soltanto dalla promessa d'un sogno? 
La povertà grava molto sulle bilance del mio Padre Celeste, e tutti i vostri tesori di fumo non ne equilibreranno i piattelli. 
Ci saranno sempre dei poveri, tra voi, per questa ragione: che vi saranno sempre dei ricchi, cioè degli uomini avidi e duri, i quali cercano meno il possesso che la potenza. 
Di questi uomini ve n'è tra i poveri come tra i ricchi; e il miserabile che smaltisce in un rigagnolo la sua ubriachezza forse è gonfio degli stessi sogni del Cesare addormentato sotto le cortine di porpora.
Ricchi o poveri, guardatevi piuttosto nella povertà come in uno specchio; poiché essa è l'immagine della vostra fondamentale delusione; essa conserva quaggiù il posto del Paradiso perduto, è il vuoto dei vostri cuori, delle vostre mani. 
L’ho messa così in alto, l'ho sposata, incoronata, solo perché conosco la vostra malizia.
Se avessi permesso che la consideraste come una nemica, o solo come una straniera, se vi avessi lasciato la speranza di cacciarla un giorno dal mondo, avrei nello stesso momento condannato i deboli. 
Giacché i deboli saranno sempre, per voi, un fardello insopportabile, un peso morto che le vostre orgogliose civilizzazioni si mandano dall'una all'altra, con ira e disgusto. 
Ho posto il mio segno sulla loro fronte, e voi non osate più avvicinarli altro che strisciando, divorate la pecora spersa, non oserete mai più attaccare il gregge. 
Basterebbe che il mio braccio si allontanasse un momento perché la schiavitù, che odio, risuscitasse da sé: poiché la vostra legge tiene i suoi conti in regola, e il debole non può dare altro che la propria pelle.

- Georges Bernanos -
da: "Diario di un curato di campagna", pp. 54-56




«La mia idea di felicità è soprattutto anticonsumistica. 
Hanno voluto convincerci che le cose non durano e ci spingono a cambiare ogni cosa il prima possibile. Sembra che siamo nati solo per consumare e, se non possiamo più farlo, soffriamo la povertà. 
Ma nella vita è più importante il tempo che possiamo dedicare a ciò che ci piace, ai nostri affetti e alla nostra libertà. E non quello in cui siamo costretti a guadagnare sempre di più per consumare sempre di più. 
Non faccio nessuna apologia della povertà, ma soltanto della sobrietà.»


José Pepe Mujica, dall'intervista di Omero Ciai, Mujica e "l'apologia della sobrietà": "Chi accumula denaro è un malato. La ricchezza complica la vita", Repubblica.it, 6 novembre 2016



“Se discutete con un pazzo, è oltremodo probabile che abbiate la peggio: perchè il suo cervello cercherà tutte le strade per non essere trattenuto da argomenti che lo condurrebbero a un retto giudizio. 
Egli non è trattenuto dal senso del ridicolo o dal sentimento della carità o dalle mere certezze dell’esperienza. 
Egli è tanto più logico quanto più ha perduto ogni affetto sano. 
La frase con la quale generalmente si designa la pazzia è sotto questo aspetto sbagliata. 
Il pazzo non è già l’uomo che ha perduto la ragione, ma l’uomo che ha perduto tutto fuor che la ragione. 
La sua mente si muove in un cerchio perfetto ma ristretto. Un cerchio piccolo è infinito, come un cerchio grande; ma, pur essendo ugualmente infinito, non è ugualmente grande. 
Allo stesso modo una spiegazione assurda è completa come una spiegazione giusta, ma non abbraccia un campo altrettanto vasto. 
Una pallottola è tonda come il mondo, ma non è il mondo”.

- Gilbert Keith Chesterton - 
da: “Ortodossia”)



Buona giornata a tutti. :-)





mercoledì 1 novembre 2017

Un Tempo per te - don Franco Locci

Non ho mai tempo: sempre di corsa. Con tutte le cose che ho da fare!
Tremendo nel suo sarcasmo questo epitaffio:

"Non aveva tempo di buttare giù una riga.
Non aveva tempo di andare a trovare un vecchio.
Non aveva tempo di cantare una canzone.
Non aveva tempo di raddrizzare un torto.
Non aveva tempo di amare e di donare.
Non aveva tempo di vivere per davvero.
D'ora in poi avrà tempo a non finire.
Oggi è morto il mio amico "sempre occupato".

E allora per non correre il rischio di morire senza aver vissuto, fermati, trova un po' di tempo! 
Se ti rimangono "cinque minuti", sai che cosa devi farne? 
Usali per te, per riflettere ci vuole un po' di silenzio, un po' di raccoglimento. Diceva Madeleine Delbrel a proposito di raccoglimento:
"Bisogna ‘raccogliere’ le tracce, gli indizi, gli inviti, gli ordini della volontà di Dio", così come il contadino raccoglie il suo raccolto nel granaio o il saggio raccoglie il frutto di un'esperienza. 
E raccogliersi o raccogliere non è possibile senza silenzio. 
Stacca dunque la radio dei bombardamenti esterni, la televisione delle immagini aggressive e dissipanti. 
Chiudi per un momento i giornali. 
Sfuggi alla stretta della società dei consumi. 
Costruisciti il silenzio. 
Impara di nuovo ad ascoltare il battito del tuo cuore per renderti conto se sei ancora vivo o sei già morto, sepolto nella materia, schiavo della moda o dei soldi. 
Entra in te stesso per chiederti per che cosa e per chi stai correndo i giorni della tua vita. 
Entra in te per scoprire l'immensità dei valori e dei doni che sono sepolti nel tuo cuore. 
Entra in te stesso per scoprire gli altri con cui vivi. 
Essi non sono numeri, non sono solo avversari, sono persone come te, anche loro alla ricerca disperata di un po' di gioia.

- don Franco Locci - 




Com’è morire?
«Uno svuotamento. Si comincia svuotandosi. Ma, si potrebbe chiedere, che cos’è o dov’è il vuoto? 
Il vuoto è nella perdita. 
E che cosa si perde? Io non ho “perso” nel senso comune di “perdere”. 
Non c’è perdita in quel senso. C’è la fine dell’ambizione. La fine di ciò che si chiede a se stessi. 
E’ molto importante. Non si chiede più niente a se stessi. 
Si comincia a svuotarsi degli obblighi e dei vincoli, delle necessità che si pensavano importanti. E quando queste cose cominciano a sparire, resta un’enorme quantità di tempo. E poi scivola via anche il tempo. E si vive senza tempo. Che ore sono? Le nove e mezza. Di mattina o di sera? Non lo so».

- James Hillman -  nell’ultima intervista rilasciata a Silvia Ronchey e pubblicata su La Stampa il 29 Ottobre 2011


Questa è infatti la volontà del Padre mio: che chi vede il Figlio e crede in lui abbia vita eterna, e io lo risusciterò nell’ultimo giorno." (Gv 6,40)
La volontà di Dio, come appare nel vangelo è una e positiva: che l’uomo si realizzi pienamente sviluppando al massimo la sua umanità per avere la condizione divina che consente di superare la soglia della morte.
Giovanni omette l’articolo a vita eterna. 

Quel che Gesù assicura non è LA vita eterna, ovvero una vita che inizia dopo questa esistenza, ma è questa stessa vita che è eterna.

- Padre Alberto Maggi - 



Possiamo senz'altro immaginare la Chiesa come una vasta impresa di trasporto, di trasporto in paradiso; perché no? 
Ebbene, mi chiedo: che cosa diventeremmo noi senza i Santi che organizzano il traffico? 
Certo, da duemila anni questa compagnia di trasporto ha avuto non poche catastrofi: l'arianesimo, il nestorianesimo, il pelagianesimo, il grande scisma d'Oriente, Lutero..., per ricordare solo i deragliamenti e gli scontri più noti.
Ma senza i Santi, ve lo dico io, la cristianità sarebbe un gigantesco ammasso di locomotive capovolte, di carrozze incendiate, di rotaie contorte e di ferraglia che finisce di arrugginirsi sotto la pioggia. 

Nessun treno circolerebbe più sulla strada ferrata invasa dall'erba.

- Georges Bernanos -
da: I santi nostri amici, 1947



Sant’Agostino riferisce che la sua mamma Monica, prima di morire, gli aveva raccomandato: “Seppellite pure questo mio corpo dove volete, senza darvi pena. Di una sola cosa vi prego: ricordatevi di me, dovunque siate, dinanzi all’altare del Signore” 

(Confessioni 9, 11,27)


Buona giornata a tutti. :-)