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lunedì 26 febbraio 2024

Non ho più tempo ... - Mario De Andreade

Ho contato i miei anni e ho scoperto che ho meno tempo per vivere da qui in poi rispetto a quello che ho vissuto fino ad ora. Mi sento come quel bambino che ha vinto un pacchetto di dolci: i primi li ha mangiati con piacere, ma quando ha compreso che ne erano rimasti pochi ha cominciato a gustarli intensamente. 

Non ho più tempo per riunioni interminabili dove vengono discussi statuti, regole, procedure e regolamenti interni, sapendo che nulla sarà raggiunto.

Non ho più tempo per sostenere le persone assurde che, nonostante la loro età cronologica, non sono cresciute. Il mio tempo è troppo breve: voglio l'essenza, la mia anima ha fretta. Non ho più molti dolci nel pacchetto. Voglio vivere accanto a persone umane, molto umane, che sappiano ridere dei propri errori e che non siano gonfiate dai propri trionfi e che si assumano le proprie responsabilità. Così si difende la dignità umana e si va verso la verità e onestà. È l'essenziale che fa valer la pena di vivere.

Voglio circondarmi da persone che sanno come toccare i cuori, di persone a cui i duri colpi della vita hanno insegnato a crescere con tocchi soavi dell'anima. Sì, sono di fretta, ho fretta di vivere con l'intensità che solo la maturità sa dare. 

Non intendo sprecare nessuno dei dolci rimasti. Sono sicuro che saranno squisiti, molto più di quelli mangiati finora. Il mio obiettivo è quello di raggiungere la fine soddisfatto e in pace con i miei cari e la mia coscienza. 

Abbiamo due vite e la seconda inizia quando ti rendi conto che ne hai solo una. 

- Mario De Andreade - (1893-1945)


Tu non hai bisogno di fingere che sei forte, non devi sempre dimostrare che tutto sta andando bene, non puoi preoccuparti di ciò che pensano gli altri, se ne avverti la necessità piangi perché è bene che tu pianga fino all'ultima lacrima, poiché soltanto allora potrai tornare a sorridere.

- Paulo Coelho - 

 

O Signore,
mostrami ciò che in me è disordine, confusione.
Purifica il mio cuore,
ordina i miei desideri,
rettifica le mie intenzioni;
affinché io scelga prima di tutto te,
Bene supremo
e affinché io veda tutti gli altri beni
che sono necessari a me e agli altri,
per i quali bisogna lavorare.

Signore,
tutte le cose del mondo sono belle,
ma nell’ordine dell’amore che Gesù ci insegna,
che tu, Gesù, nostro Messia,
vero uomo e vero Dio,
ci insegni con la tua morte e la tua resurrezione.

- card. Carlo Maria Martini - 


Buona giornata a tutti :-)

www.leggoerifletto.it



mercoledì 22 novembre 2023

“La paura del silenzio” – Cardinale Carlo Maria Martini

 Non c’è attività duratura e intelligente di costruzione della città senza una radice contemplativa, che è la capacità di silenzio, di deserto interiore, di pausa, in cui si riceve la Parola di Dio, la si ascolta e quindi si costruisce anche dal punto di vista intellettuale una certa visione del mondo.
Cosicché il fare non sia determinato solo dalle urgenze, dalle necessità, ma sia ritmato da questo progetto che nasce da un ascolto della Parola e da un atteggiamento di deserto, di silenzio contemplativo. 
Quanto maggiori sono le responsabilità di una persona, tanto più si devono trovare ogni giorno più lunghe ore di silenzio contemplativo. 
Bisogna cercarlo, e lottare per averlo, per non farsi travolgere dalle cose, dalla valanga di parole dette a vanvera, di giudizi affrettati. 
Il silenzio è sempre difficile.
Il silenzio bianco ancor di più: il silenzio nero è pura assenza di suoni, quello bianco è sintesi di tutti i colori. Ed è questo che bisogna imparare a esercitare. Superare, guardare in faccia la paura del silenzio, nella quale emergono alcuni mostri interiori, per imparare che si possono esorcizzare e si può dare loro un senso.

- Cardinale Carlo Maria Martini -




"La loquacità è la cattedra della vanagloria, dalla quale essa usa mettersi in vista e far pompa di sé. 
La loquacità è indice dell'ignoranza, la porta della maldicenza, il battistrada della scurrilità, il manutengolo della menzogna.
Essa distrugge la compunzione, provoca l'accidia, precorre la sonnolenza, dissipa la meditazione, disperde il raccoglimento, raffredda il fervore, dissolve l'orazione".

- San Giovanni Climaco -
un padre della Chiesa



Non si è mai parlato tanto come nella nostra epoca. 
Mai una valanga imponente di parole vuote, inutili e prive di senso si è abbattuta sulla testa della gente. 
Tutti vogliono "partecipare". Ma pochi hanno qualcosa da dire perché pochi sono capaci di silenzio e di sforzo di riflessione.




 Che cosa vuoi di più, o anima, e che cos'altro cerchi fuori di te, dal momento che dentro di te hai le tue ricchezze, le tue delizie, la tua soddisfazione, la tua sazietà e il tuo regno, che è il tuo Amato, che la tua anima desidera e cerca? 

-  Card. Carlo Maria Martini -
da: "Il Dio nascosto" Ed. Centro Ambrosiano




Buona giornata a tutti. :-)



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giovedì 31 agosto 2023

Io, Welby e la morte – Card. Carlo Maria Martini

Con la festa dell'Epifania 2007 sono entrato nel ventisettesimo anno di episcopato e sto per entrare, a Dio piacendo, anche nell'ottantesimo anno di età. Pur essendo vissuto in un periodo storico tanto travagliato (si pensi alla Seconda guerra mondiale, al Concilio e postconcilio, al terrorismo eccetera), non posso non guardare con gratitudine a tutti questi anni e a quanti mi hanno aiutato a viverli con sufficiente serenità e fiducia. Tra di essi debbo annoverare anche i medici e gli infermieri di cui, soprattutto a partire da un certo tempo, ho avuto bisogno per reggere alla fatica quotidiana e per prevenire malanni debilitanti. Di questi medici e infermieri ho sempre apprezzato la dedizione, la competenza e lo spirito di sacrificio. Mi rendo conto però, con qualche vergogna e imbarazzo, che non a tutti è stata concessa la stessa prontezza e completezza nelle cure. 
Mentre si parla giustamente di evitare ogni forma di "accanimento terapeutico", mi pare che in Italia siamo ancora non di rado al contrario, cioè a una sorta di "negligenza terapeutica " e di "troppo lunga attesa terapeutica". 

Si tratta in particolare di quei casi in cui le persone devono attendere troppo a lungo prima di avere un esame che pure sarebbe necessario o abbastanza urgente, oppure di altri casi in cui le persone non vengono accolte negli ospedali per mancanza di posto o vengono comunque trascurate. 
È un aspetto specifico di quella che viene talvolta definita come "malasanità" e che segnala una discriminazione nell'accesso ai servizi sanitari che per legge devono essere a disposizione di tutti allo stesso modo.
Poiché, come ho detto sopra, infermieri e medici fanno spesso il loro dovere con grande dedizione e cortesia, si tratta perciò probabilmente di problemi di struttura e di sistemi organizzativi. 
Sarebbe quindi importante trovare assetti anche istituzionali, svincolati dalle sole dinamiche del mercato, che spingono la sanità a privilegiare gli interventi medici più remunerativi e non quelli più necessari per i pazienti, che consentano di accelerare le azioni terapeutiche come pure l'esecuzione degli esami necessari.
Tutto questo ci aiuta a orientarci rispetto a recenti casi di cronaca che hanno attirato la nostra attenzione sulla crescente difficoltà che accompagna le decisioni da prendere al termine di una malattia grave. 
Il recente caso di P.G. Welby, che con lucidità ha chiesto la sospensione delle terapie di sostegno respiratorio, costituite negli ultimi nove anni da una tracheotomia e da un ventilatore automatico, senza alcuna possibilità di miglioramento, ha avuto una particolare risonanza. 
Questo in particolare per l'evidente intenzione di alcune parti politiche di esercitare una pressione in vista di una legge a favore dell'eutanasia. Ma situazioni simili saranno sempre più frequenti e la Chiesa stessa dovrà darvi più attenta considerazione anche pastorale.

La crescente capacità terapeutica della medicina consente di protrarre la vita pure in condizioni un tempo impensabili. 

Senz'altro il progresso medico è assai positivo. 
Ma nello stesso tempo le nuove tecnologie che permettono interventi sempre più efficaci sul corpo umano richiedono un supplemento di saggezza per non prolungare i trattamenti quando ormai non giovano più alla persona.
È di grandissima importanza in questo contesto distinguere tra eutanasia e astensione dall'accanimento terapeutico, due termini spesso confusi

La prima si riferisce a un gesto che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte; la seconda consiste nella «rinuncia ... all'utilizzo di procedure mediche sproporzionate e senza ragionevole speranza di esito positivo» (Compendio Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 471). 

Evitando l'accanimento terapeutico «non si vuole ... procurare la morte: si accetta di non poterla impedire» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n.2.278) assumendo così i limiti propri della condizione umana mortale.

Il punto delicato è che per stabilire se un intervento medico è appropriato non ci si può richiamare a una regola generale quasi matematica, da cui dedurre il comportamento adeguato, ma occorre un attento discernimento che consideri le condizioni concrete, le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti. 
In particolare non può essere trascurata la volontà del malato, in quanto a lui compete — anche dal punto di vista giuridico, salvo eccezioni ben definite — di valutare se le cure che gli vengono proposte, in tali casi di eccezionale gravità, sono effettivamente proporzionate.

Del resto questo non deve equivalere a lasciare il malato in condizione di isolamento nelle sue valutazioni e nelle sue decisioni, secondo una concezione   del principio di autonomia che tende erroneamente a considerarla come assoluta. 
Anzi è responsabilità di tutti accompagnare chi soffre, soprattutto quando il momento della morte si avvicina. Forse sarebbe più corretto parlare   non di «sospensione dei trattamenti» (e ancor meno di «staccare la spina»), ma di limitazione dei trattamenti. 
Risulterebbe così più chiaro che l'assistenza deve continuare, commisurandosi alle effettive esigenze della persona, assicurando per esempio la sedazione del dolore e le cure infermieristiche. 
Proprio in questa linea si muove la medicina palliativa, che riveste quindi una grande importanza.
Dal punto di vista giuridico, rimane aperta l'esigenza di elaborare una normativa che, da una parte, consenta di riconoscere la possibilità del rifiuto (informato) delle cure — in quanto ritenute sproporzionate dal paziente — , dall'altra protegga il medico da eventuali accuse (come omicidio del consenziente o aiuto al suicidio), senza che questo implichi in alcun modo la legalizzazione dell'eutanasia. 
Un'impresa difficile, ma non impossibile: mi dicono che ad esempio la recente legge francese in questa materia sembri aver trovato un equilibrio se non perfetto, almeno capace di realizzare un sufficiente consenso in una società pluralista.
L'insistenza sull'accanimento da evitare e su temi affini (che hanno un alto impatto emotivo anche perché riguardano la grande questione di come vivere in modo umano la morte) non deve però lasciare nell'ombra il primo problema che ho voluto sottolineare, anche in riferimento alla mia personale esperienza. 

È soltanto guardando più in alto e più oltre che è possibile valutare l'insieme della nostra esistenza e di giudicarla alla luce non di criteri puramente terreni, bensì sotto il mistero della misericordia di Dio e della promessa della vita eterna.

- Cardinale Carlo Maria Martini                                                                                                 
 21 gennaio 2007 


E’ sacrosanto e pienamente cattolico e legittimo il rifiuto del vecchio cardinale morente di non sottoporsi a interventi da lui ritenuti, nella sua condizione, inutili e invasivi. 

“Nell’immediatezza di una morte che appare ormai inevitabile e imminente è lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita poiché vi è grande differenza etica tra ‘procurare la morte e ‘permettere la morte’: il primo atteggiamento rifiuta e nega la vita, il secondo accetta il naturale compimento di essa”: è scritto nel documento della Pontificia accademia per la vita sul “Rispetto della dignità del morente” (2000) ed è la migliore descrizione della scelta del cardinale Martini.



"Mi sono riappacificato col pensiero di dover morire quando ho compreso che senza la morte non arriveremmo mai a fare un atto di piena fiducia in Dio. Di fatto in ogni scelta impegnativa noi abbiamo sempre delle uscite di sicurezza. Invece la morte ci obbliga a fidarci totalmente di Dio."

- Card. Carlo Maria Martini -

Buona giornata a tutti :-)


 

martedì 29 agosto 2023

Cristo non ha mani ...- Marcello Candia, venerabile

«Sono un semplice battezzato>> di Carlo Maria Martini, ex Arcivescovo di Milano
Volentieri scrivo una testimonianza per questo libro su Marcello Candia  del quale è in conclusione il processo per la causa di beatificazione. La sua figura è talmente ricca da permettere di scriverne sottolineando or l'uno or l'altro aspetto. E il mio pensiero corre subito a quando ho voluto visitare alcune delle molte opere da lui fondate, e a quando ho incontrato tante persone che l'avevano conosciuto e che vivevano della sua testimonianza, per cercare di cogliere i tratti più profondi, più segreti, della sua fisionomia spirituale. Mi pare che si possano individuare almeno tre caratteristiche di questo uomo evangelico che, fin dalla giovinezza, quindi ben prima di vendere la fabbrica e di partire per l'Amazzonia, ha sentito la sua esistenza irresistibilmente legata al servizio degli ultimi. 
La prima è il senso di appartenenza alla Chiesa, in particolare alla Chiesa diocesana. Tale appartenenza ha costituito, nei diciotto anni che ha trascorso in Brasile, tutta la sua forza. Nei momenti di maggiore difficoltà soleva dire: «<Se non fosse che io sono qui indegnamente mandato da Dio attraverso la mia cara Chiesa ambrosiana, non avrei la minima esitazione a far subito ritorno in Italia».
La seconda ci è offerta da un'altra sua parola: «Sono un semplice battezzato».
Il dottor Candia è un laico che ha portato fino alle estreme conseguente in radicalità della vocazione battesimale, facendosi missionario. Aveva un’idea corretta della missionarietà: per lui non si trattava di lavorare e di impegnarsi per i brasiliani, ma con loro. In questo è un modello mirabile di solidarietà cristiana, un esempio singolare di che cosa significhi la cooperazione tra i Paesi ricchi e i Paesi del Terzo Mondo.
Un semplice battezzato, dunque, coerente con la sua fede, con la sua tradizione ambrosiana, che ha vissuto lo spirito delle Beatitudini e si è spalancato, per dono del Signore, a tutte le sofferenze, a tutte le angosce, al grido che sale dal mondo di oggi.
La terza caratteristica è la preghiera, una preghiera continua e di intercessione. Scriveva: «L'unica cosa che conta è l'unione con Dio sotto qualunque forma: preghiera, meditazione, riflessione; l'unione con Dio costituisce la carica essenziale per fare tutto il resto. Prima la preghiera, poi qualsiasi attività apostolica. Questa è la forza fondamentale per l'annunzio della verità e la testimonianza dell'amore». Pregava sempre e anche di notte si dedicava all' adorazione, all'intercessione, offrendo la sua vita per la folla dei poveri, per la Chiesa, per la Diocesi, per la Parrocchia.

da: "Marcello Candia l'imprenditore della carità"
@2012 Fondazione Dr. Marcello Candia Onlus
Via Pietro Colletta, 11 - 2016 Milano
www.fondazionecandia.org


Cristo non ha mani,
ha soltanto le nostre mani,
per fare il suo lavoro oggi.
Cristo non ha i piedi,
ha soltanto i nostri piedi
per guidare gli uomini
lungo la sua strada.
Cristo non ha labbra,
ha soltanto le nostre labbra
per parlare agli uomini di oggi.
Cristo non ha mezzi,
ha solo il nostro aiuto
per condurre gli uomini a sé.
Noi siamo la vera Bibbia
che i popoli leggono ancora!
Siamo l’ultimo messaggio di Dio,
scritto in opere e parole.

 - Marcello Candia -


Il Servo di Dio, Marcello Candia, nasce a Portici il 27 luglio 1916, muore  a Milano il 31 agosto 1983. Industriale, Medico, Missionario. A 50 anni vende la sua azienda e si trasferisce in Brasile per costruire, a Macapà, in Amazzonia, un efficiente ospedale al servizio dei poveri e dei lebbrosi, che dona alla congregazione dei Camilliani per garantirne la continuità. Innumerovoli sono le sue opere, fino alla sua morte, si prodiga per intraprendere altre iniziative a favore di ammalati poveri, bambini e lebbrosi. 


Il processo di beatificazione
La fase diocesana del suo processo di beatificazione, ottenuto il nulla osta della Santa Sede il 20 gennaio 1990, è durata dal 12 gennaio 1991 all’8 febbraio 1994. Il 15 luglio 1998 è stata chiusa la redazione della “Positio super virtutibus”, che è stata consegnata presso la Congregazione vaticana per le Cause dei Santi. Le sue spoglie, inizialmente sepolte nel cimitero di Chiaravalle, sono state traslate, il 6 aprile 2006, presso la chiesa parrocchiale dei SS. Angeli Custodi a Milano; precisamente, si trovano a sinistra dell’altare maggiore.
Sia i consultori teologi della Congregazione vaticana per le Cause dei Santi, l’8 marzo 2013, sia i cardinali e vescovi membri della stessa Congregazione hanno dato parere positivo circa l’esercizio in grado eroico delle virtù cristiane da parte del Servo di Dio. Infine, l’8 luglio 2014, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui il dottor Marcello Candia veniva dichiarato Venerabile.

La Fondazione Candia oggi
In attesa di un eventuale fatto prodigioso che potrebbe portarlo sugli altari, i soci e i sostenitori della Fondazione Dottor Marcello Candia, Onlus dal 1997 (www.fondazionecandia.org), attestano che il più autentico miracolo di Marcello Candia sia concretizzato nelle oltre 70 realizzazioni sparse su tutto il territorio brasiliano, in particolare nelle regioni del Nord Est e di quella Amazzonica.
La Fondazione attinge dalle piccole e grandi somme inviate da centinaia di persone per continuare l’opera di carità da lui iniziata, in modo da alleviare le varie povertà e i bisogni dal punto di vista sanitario, culturale e alimentare.
L’eredità spirituale di colui che si definiva comunque un «semplice battezzato» può comunque essere efficacemente riassunta in una frase che aveva fatto scrivere sulle pareti della sua abitazione in Brasile: «Non si può condividere il Pane del cielo se non si condivide il pane della terra».

Autore:  Antonio Borrelli ed Emilia Flocchini
http://www.santiebeati.it/dettaglio/91664


foto: Famiglia Cristiana

Buona giornata a tutti :-)










mercoledì 5 luglio 2023

Un po’ di deserto nelle mie vacanze

«Mettete un po’ di deserto nelle vostre vacanze»: con queste parole, in un messaggio pubblicato su Avvenire alla vigila della pausa estiva del 1986, il cardinal Martini invitava a dedicare un po’ di tempo al confronto personale con quella parola di Dio che sola può indicare le vere mete del nostro vivere.

Anche quest’anno un po’ di vacanza: è un dono del Signore e dobbiamo essergliene grati. Vogliamo perciò usarla nel modo migliore possibile, renderla un tempo di riposo e di ricchezza anche spirituale. È un tempo prezioso!

Ciascuno ha il suo modo di vivere queste vacanze. Ci abbiamo già pensato da tempo, abbiamo fatto i nostri progetti e abbiamo cercato di impostarle secondo i nostri desideri. Ed è anche giusto.

Saremmo infelici se dovessimo passare questo tempo in modo vuoto.

Già negli scorsi anni, vi ricordavo di dedicare un po’ di questo tempo libero per soddisfare le esigenze dello Spirito e scoprire i tesori della fede,  quei tesori che troppo spesso restano sconosciuti:

vi chiedevo di spendere un po’ di questo tempo nella PREGHIERA, nella MEDITAZIONE DI QUALCHE LIBRO DELLA BIBBIA, nel confronto di noi stessi con quella Parola di Dio, che sola può indicare le mete del nostro vivere.

Ora vi chiedo un’altra cosa: METTETE UN PO’ DI DESERTO NELLE VOSTRE VACANZE

Cioè mettete un po’ di SILENZIO e di SOLITUDINE, UN’ESPERIENZA CON DIO A TU PER TU, momenti in cui potete restare soli con voi stessi.

Forse è possibile trovare un luogo che meglio aiuti la riflessione, un luogo dove già dei monaci o delle monache vivano nel segreto di Dio, un luogo che anche nella suggestione del paesaggio e nella austerità della natura, rende facile l’esperienza di ESSENZIALITÀ, di POVERTÀ e di VERITÀ.

Oppure trovate un giorno - almeno 1! – in cui isolarvi in montagna o su qualche scoglio marino, e passare il tempo cercando di ascoltare le voci più profonde, le parole più vere che giacciono nel nostro intimo.

Questo è “fare deserto”! Questo è scoprire un modo nuovo e affascinante di pregare!

Abbiamo bisogno di scoprire la verità di noi stessi, la grandezza della nostra vita umana e nel medesimo tempo la debolezza e la piccolezza di ciò che siamo; non per un senso di pessimismo, ma anzi per poter godere meglio tutto ciò che noi siamo e sviluppare quanto è ancora in germe.

Non vi pare che viviamo soltanto una piccola parte di noi stessi e non siamo nemmeno in grado di capire che cosa d'altro ci portiamo dentro?

Non vi pare che un tempo di vacanza deve servire precisamente a questo, a riscoprire noi stessi per godere maggiormente tutti i doni che Dio ci fa?

Ecco: il “deserto” è appunto il MOMENTO, il LUOGO, l’OCCASIONE, per raggiungere questo scopo. È volersi sottrarre al solito ritmo febbrile, alle solite mode, al solito passatempo, anche alle solite comodità, PER RAGGIUNGERE LA VERA NOSTRA PIENEZZA.

Sarebbero così le nostre vacanze migliori, sarebbe un momento di forza che resterebbe dentro di noi e darebbe a tutta la vita un’altra impostazione;

raggiungeremmo finalmente uno stato di felicità, di equilibrio, e quindi di gioia che forse non abbiamo mai sperimentato e del quale invece abbiamo una grande nostalgia.

Ve lo auguro, ve lo chiedo, o almeno VE LO SUGGERISCO

È Dio che desidera incontrarvi, desidera offrirvi la sua stessa beatitudine, desidera aiutarvi a cogliere la verità di voi stessi per godere pienamente il grande dono della vita e nella vita il grande dono di alcuni giorni diversi dal solito.

Come attraverso il profeta Osea, così anche attraverso di me, Iddio vi invita a “tornare nel deserto dove vuole parlare al vostro cuore”, vuole farvi sentire tutta la sua tenerezza di Padre, tutta la sua premurosa affettuosa per ciascuno di voi.

Perché non accettare questo invito così affascinante?

+ Card. Carlo Maria Martini 
Arcivescovo di Milano

FONTE: Fondazione Carlo Maria Martini


Buona giornata a tutti :-)



martedì 20 giugno 2023

Così la Fede rinasce nella notte - Card. Carlo Maria Martini

Queste parole mi fanno sempre molta impressione, perché non mi è mai capitato di dire: «La mia anima è triste fino alla morte»; ci sono stati momenti di tristezza, ma proprio di essere schiacciato, di essere stritolato non mi è mai successo. 
Penso quindi che a Gesù sia accaduto qualcosa di terribile. Che cosa sarà stato? Probabilmente la previsione imminente della passione; forse Gesù non sapeva tutti i particolari, ma sapeva che gli uomini ce l’avevano con lui, volevano eliminarlo nella maniera più crudele possibile. Sapeva di essere in mano a uomini cattivi: questo è già un motivo di paura e di angoscia. Ma poi probabilmente sentiva su di sé tutta l’ingiustizia del mondo e questo è qualcosa che non si può sopportare; l’ingiustizia del mondo che si esprime nelle guerre, nelle carestie, nelle oppressioni, nelle forme di schiavitù, che è immensa e percorre tutta la storia. E quando noi ci fermiamo a considerare questa ingiustizia, siamo come senza fiato, siamo schiacciati. Però Gesù ha voluto essere quasi schiacciato da queste cose per poterle prendere su di sé. Quindi dobbiamo dire che da una parte le ingiustizie del mondo, della storia, della storia della Chiesa ci fanno soffrire, ma che insieme siamo certi che Gesù le ha accolte in sé, e quindi le ha riscattate. Non sappiamo come, ma questa è una certezza che ci deve accompagnare, e ci deve accompagnare in tutte le notti della sofferenza, del dolore, quando uno si trova di fronte a una notizia che lo riguarda e che è infausta. Per esempio un tumore, pochi mesi di vita. Allora succede come una sorta di ribellione, di non accettazione. C’è una lotta interiore. 
Notte della sofferenza, notte della fede in cui non si sente più la presenza di Dio. Questo è molto duro, soprattutto quando si è impegnati.
Notte della fede per cui sono passati san Giovanni della Croce e, recentemente, Madre Teresa di Calcutta, la quale diceva che fino a verso i cinquant’anni le pareva che Dio le fosse vicino, poi più niente. Avendola conosciuta, vedevo questo suo rigore, questa sua fedeltà, questa sua tensione, ma non immaginavo che dietro ci fosse il buio completo sull’esistenza di Dio, del Dio rimuneratore. Anche santa Teresa di Gesù Bambino è passata per questa notte. 
Possiamo dire che tutte queste notti sono riassunte nella notte del Getsèmani e in essa Gesù riceve tutte le nostre ingiustizie e le fa sue, le accoglie per poterle offrire e purificarle. Questa è una prima immagine che vi lascio.
Una seconda immagine è quella della tomba. Che cosa sia avvenuto il giorno di Pasqua, noi non lo sappiamo. La liturgia romana dice: «Beata notte, che non hai saputo il giorno e l’ora»; e noi non sappiamo niente, nessuno è stato presente, nessuno ce l’ha raccontato; però possiamo immaginarne le conseguenze. Lo descriverei così: un grande scoppio di luce, di pace e di gioia nella notte della tomba. Scoppio di luce, di pace e di gioia che è potenza dello Spirito, che prende prima di tutto il corpo di Gesù e lo vivifica, lo rende capace di essere intercessione per il mondo. Ma poi continua in ciascuno dei viventi suscitando in lui le disposizioni di Gesù. Mi pare quindi che sia troppo riduttivo dire: lo Spirito Santo è il segno dell’amore di Dio per me. Lo Spirito Santo è segno delle scelte di Gesù fatte mie. È quella forza, quel dinamismo, quella capacità di amare il povero, di amare il sofferente, di amare colui che si trova in situazione di ingiustizia perché così lo Spirito compie la sua opera. E noi possiamo dire che quest’opera si compie sempre quando Gesù dice: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,26). Vuol dire la sua presenza anche con il suo Spirito, con la sua capacità di vedere le cose, di reagire alle cose, di giudicare le cose.Certo, occorre per questo un grande spirito di fede, perché molta gente dirà: «Io non vedo niente, io vedo le cose andare di male in peggio». Occorre l’occhio della fede per leggere negli eventi miei e intorno a me questa presenza dello Spirito Santo che costruisce il mondo nuovo, la Gerusalemme celeste, che non è una città nel cielo separata da qui, ma una città che viene dal cielo, cioè dalla forza di Dio e trasforma tutti i rapporti di questa terra.
Nessuno meglio di Teilhard de Chardin ha descritto questa Gerusalemme celeste in cui vedeva appunto il termine finale, il punto omega della redenzione nel Cristo, dove tutta l’umanità era riunita e salvata, una e trasparente gli uni agli altri, e tutti noi verso Dio. Occorre tenere presente questo fine della storia, perché altrimenti siamo banalizzati dalle vicende quotidiane, oppure siamo sofferenti quando ci sono grandi calamità e non abbiamo nessuna chiave per interpretarle. 
E questa che vi ho detto non è una chiave logica, è una chiave mistica spirituale data dallo Spirito Santo: cercare di vedere in tutto l’azione dello Spirito che opera incessantemente.

- card. Carlo Maria Martini - 

"Trionfo del Nome di Gesù" Chiesa del Gesù, Roma (Italia)

Lasciar entrare Cristo nella vita 

Che cosa significa aprire le porte a Cristo amore nella mia vita? Non è prima di tutto correre incontro a Cristo, ma lasciarlo entrare, lasciarsi amare, lasciarsi perdonare, credere che lui è morto proprio per me.

E, al contrario, che cosa significa non aprirgli le porte? È forse, semplicemente essere lontano da lui, non pregare, non leggere il Vangelo, non pensare a lui? Non vuol dire soltanto questo, perché anche chi gli è vicino può chiudergli le porte. Pensiamo a Giuda che si lascia baciare da Gesù, ma non si lascia amare; si lascia baciare e intanto chiude la porta del proprio cuore, perché non capisce e non accetta Gesù.

Non apre le porte a Cristo chi non entra nella sua posizione di amore, non cerca di capirlo, di capire che lui per primo ama noi, che è lui a perdonarci, a farci importanti.

Apre le porte a Cristo chi impara ad amarlo e ad amare con lui e in lui ogni altro uomo, ogni altro gruppo, razza, popolo, chi si mette nella sua posizione di perdonare e fare pace.

Le porte chiuse a Cristo sono le porte del razzismo, delle diffidenze, delle chiusure mentali, le porte chiuse anche di un certo elitarismo spirituale.

Tenere le porte chiuse a Cristo amore vuol dire non essere nella posizione di abbracciare l'universo, vuol dire essere costretti a dividere l'universo in due: io e gli altri, gli amici e i nemici. Tenere le porte chiuse a Cristo amore vuol dire entrare nella ruota dannata delle contrapposizioni, per cui io non posso definirmi se non contro qualcuno.

- card. Carlo Maria Martini -
(Incontro al Signore Risorto) pag.146/147


Buona giornata a tutti :-)









 

domenica 11 giugno 2023

2 giugno 2002 Corpus Domini - card. Carlo Maria Martini

Penso al 2 giugno del 2002, quando il Cardinale Martini in occasione della processione del Corpus Domini ha ricordato i suoi 23 anni trascorsi tra noi, ( il giorno del suo ingresso fece lo stesso percorso della processione eucaristica )
Milano, 2 giugno 2002

In questa processione abbiamo ripetuto lo stesso percorso del 10 febbraio 1980, quando, procedendo a piedi dal Castello verso il Duomo, davo inizio al mio ministero episcopale a Milano.
È perciò per me motivo di grande commozione l'avere ripercorso 22 anni dopo lo stesso itinerario. Durante il tragitto, mentre portavo tra le mie mani il Signore presente nell'Eucaristia, pensavo a tutti quelli che allora c'erano e oggi non ci sono più. Pensavo a tutti quelli che allora erano bambini e adolescenti e ora sono adulti, a quelli che allora erano adulti ed ora sono anziani, come lo sono io.
Anche per me infatti sono passati tanti anni, sono maturate tante esperienze, si sono succeduti tanti incontri, sono avvenute tante vicende. Ma su tutte e in tutte leggo ora la presenza amabile e il chiarore mite dell'Eucaristia.
Per questo siamo di nuovo qui in tanti a ringraziare il Signore e a ringraziarlo proprio perché lui non è cambiato. Lui è il Signore di ieri, di oggi e di sempre. La sua presenza nell'Eucaristia e nella Parola ci stimola oggi come allora, anzi con la forza ancora più grande che viene dalla memoria delle tantissime grazie ricevute.
Pure la pagina evangelica che è stata proclamata più volte in questa processione è la stessa di quella domenica 10 febbraio 1980, ripresa poi dal Papa nel documento sul terzo millennio (NMI) e da me nella ultima lettera pastorale "Sulla tua Parola". Allora come oggi ascoltavamo le parole di Pietro: Gesù sulla tua parola getterò le reti. Allora sentivo che, fidandomi della parola del Signore, le reti si sarebbero riempite, e mi pareva di poter pronunciare le parole ardite di Pietro, presenti nell'altra pagina evangelica letta durante la processione: Signore, se sei tu, comanda che venga a te camminando sulle acque!
E' davvero un camminare sulle acque il portare la responsabilità di arcivescovo di Milano, cioè qualcosa di umanamente troppo arduo, che si può attuare solo fidandosi del Signore, della sua grazia, espressa anche nella bontà e pazienza di tutti voi, nella dedizione di tutti i miei preti e dei miei più stretti collaboratori, nell'accoglienza e nella collaborazione di tutte le forze vive della città. Il Signore mi ha fatto sentire ogni giorno di più la mia fragilità e insieme la sua bontà, e della sua bontà voi siete stati strumento.
Ricordo l'altra pagina che veniva proclamata qui in Duomo all'inizio del mio ministero, dal libro del profeta Isaia: Ohimè che uomo dalle labbra impure io sono! Ma il Signore stesso mi prometteva di purificarmi con carboni ardenti, perché potessi proclamare la sua Parola.
Possiamo dunque dire che tutti questi anni sono stati ritmati e scanditi dalla parola di Dio e che la Parola ci ha portato al mistero dell'Eucaristia.
L'Eucaristia al centro della città
L'Eucaristia infatti è al centro della comunità e le comunità cristiane la attuano nella santa messa, che sta al centro della comunità e al centro della città.
Al centro di una città, la quale, come ha detto il Papa in un discorso del 13 maggio scorso ai sindaci di varie metropoli, " è molto più di un territorio, di un'aria economica produttiva, di una realtà politica. È soprattutto una comunità di persone, in particolare di famiglie con i loro figli. È un'esperienza umana viva, radicata storicamente e distinta culturalmente".
"La componente etica di una città - aggiunge il Papa - dovrebbe essere soprattutto basata sul concetto di solidarietà. In una città si affrontano una tale massa di problemi economici, sociali e culturali che non si possono risolvere senza la creazione di un nuovo stile di solidarietà umana. Per questo istituzioni e organizzazioni sociali a diverso livello… devono partecipare alla promozione di un movimento generale di solidarietà tra tutti i settori della popolazione, prestando un'attenzione speciale ai deboli e agli emarginati. Non è solo una questione di convenienza. È una necessità dell'ordine morale al quale tutti vanno educati". Tutti noi siamo chiamati a impegnarci per questa questione di coscienza, responsabili civili, religiosi e militari della città e cittadini.
"Lo scopo della solidarietà - dice ancora il Papa - dev'essere il progresso di un mondo più umano per tutti, un mondo al quale un individuo possa partecipare in modo positivo e fecondo e in cui il benessere di alcuni non sia più un ostacolo allo sviluppo degli altri, ma un aiuto".
L'Eucaristia al centro della città, che abbiamo proclamato con la nostra processione, è custode e promotrice di solidarietà. Come mi esprimevo alcuni anni fa in una lettera alla città dal titolo "Alzati, va' a Ninive la grande città! ", riferendomi anche a una riflessione di don Giuseppe Dossetti, l'Eucaristia che noi celebriamo è il sale, il lievito, la luce e l'anima della città. La Chiesa che si realizza nell'Eucaristia è come "una manifestazione anticipata della polis salvata. Polis tutta sui generis, che non governa e non ha potere, che non muove verso gli altri per quello che hanno di appetibile, ma unicamente per quello che sono in mysterio (cioè davanti al mistero di Dio, anche se poveri, incoscienti, in tutto inappetibili): cioè non incontra l'uomo dall'esterno e in superficie, ma lo incontra nel suo sé più intimo, più invisibile... creando e divulgando dovunque un'atmosfera di rispetto, di comprensione, di fiducia, di valorizzazione degli esclusi, di amore oblativo, indipendente da ogni condizione esterna mutevole".
Nell'ultimo capitolo del libro dell'Apocalisse è scritto che "in mezzo alla piazza della città…si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese: le foglie dell'albero servono a guarire le nazioni " (Apocalisse 22,2). E' questo l'albero di cui ci nutriamo continuamente, l'albero dell'Eucaristia, albero che non verrà mai meno, pure nel cambio dei vescovi, perché l'Eucaristia è sempre la stessa, chiunque la celebri e da essa la città trarrà sempre il suo frutto ristoratore.
Affidiamo a Maria, che la Chiesa d'oriente chiama "albero dal bel frutto di cui si nutrono i fedeli", questa visione fiduciosa della città con al centro l'Eucaristia. E ciascuno di noi si senta spinto da tale visione a contribuire al bene della città con scioltezza e disinteresse. Il bene della città è troppo grande, troppo prezioso perché lo possiamo trascurare o in qualche modo dimenticare. L'Eucaristia celebrata in questo Duomo, centro spirituale della città, sarà sempre un segno di speranza e un pegno di futuro sereno e operoso.

- Card. Carlo Maria Martini - 


"Anima di Cristo, santificami.
Corpo di Cristo, salvami.
Sangue di Cristo, inebriami.
Acqua del costato di Cristo, lavami.
Passione di Cristo, confortami.
O buon Gesù, esaudiscimi.
Dentro le tue ferite nascondimi.
Non permettere che io
mi separi da te.
Dal nemico maligno difendimi.
Nell'ora della mia morte chiamami.
Comandami di venire a te,
perché con i tuoi Santi io ti lodi.
nei secoli dei secoli. Amen."



Buona giornata a tutti :-)







giovedì 6 aprile 2023

Farò la Pasqua da te, Omelia della Messa "In Coena Domini" - Cardinale Carlo Maria Martini

Siamo riuniti in questo Duomo per rivivere ancora una volta con Gesù la sua "ora", l'ora di passare da questo mondo al Padre, per rivivere l'ultima sera trascorsa da Gesù con i suoi, per riascoltare la parola riportata dal testo evangelico e che Gesù ripete a ciascuno di noi in questo momento: "Farò la Pasqua da te", ti voglio a cena con me. 
Ci siamo riuniti per contemplare ancora una volta quel gesto inaudito della lavanda dei piedi, gesto che io stesso ho compiuto per esprimere ai nostri fratelli senza tetto e senza fissa dimora l'amore di Gesù per loro, la tenerezza infinita di Dio, l'affetto della Chiesa, l'attenzione della società.

La liturgia ambrosiana del Giovedì santo richiama diversi eventi della passione di Gesù dall'ultima Cena al rinnegamento di Pietro. Ma in questo Anno santo ci lasciamo muovere dal suggerimento del santo Padre. Egli, nella Lettera ai Sacerdoti per il Giovedì santo, che ha voluto firmare dal Cenacolo, scrive: "A duemila anni dalla nascita di Cristo, in questo Anno giubilare, dobbiamo in modo particolare ricordare e meditare la verità di quella che potremmo chiamare la sua nascita eucaristica. Il Cenacolo è appunto il luogo di questa nascita: qui è cominciata per il mondo una presenza nuova di Cristo, una presenza che si produce ininterrottamente, dovunque è celebrata l'Eucaristia e un sacerdote presta a Cristo la sua voce, ripetendo le parole sante dell'istituzione... Ne vogliamo oggi prendere coscienza con il cuore colmo di stupore e di gratitudine, e con tali sentimenti entrare nel Triduo pasquale della passione, morte e risurrezione di Cristo" (13).

Siamo dunque invitati dalle parole del Papa ad approfondire la coscienza di questo dono immenso che è il cuore della vita ecclesiale ed è il cuore del mondo; l'Eucaristia è come il punto da cui tutto si irradia e a cui tutto conduce.

L'ORA DI GESÙ

Vorrei partire dal gesto della lavanda dei piedi, raccontato solo da Giovanni, l'evangelista che parla più ampiamente dell'ultima sera trascorsa da Gesù con i suoi. Egli ci fa comprendere come finalmente sia giunta l'ora tanto attesa da Gesù, ora ardentemente desiderata, accuratamente preparata, spesso annunciata: l'ora di mostrarci il suo amore infinito consegnandosi a chi lo tradisce, l'ora del dono supremo della sua libertà.

L'evangelista infatti sottolinea che "il Padre gli ha dato tutto nelle mani" a indicare che Gesù è pienamente libero di scegliere per amore quello che accadrà, di confermare la scelta fatta dopo il Battesimo nel Giordano: la scelta di rinunciare a un messianismo di potere e di preferire la via della croce. In quella notte in cui si compie tale scelta, Gesù avverte il bisogno di aprirsi, di confidarsi con i suoi, di parlare loro a lungo del Padre, dello Spirito santo, di affidare loro i segreti del suo Cuore.

Ma ecco che prima di iniziare i discorsi di addio, di lasciarci le parole più profonde che siano state pronunciate nella storia dell'umanità, pone in atto il misterioso gesto: si mette in ginocchio e lava i piedi ai suoi. Un gesto che tiene addirittura il posto, nel vangelo di Giovanni, dell'istituzione dell'Eucaristia, perché sta a significare ciò che avviene nell'Eucaristia e ciò che avverrà sul Calvario. Nella lavanda dei piedi ai discepoli, noi contempliamo la manifestazione dell'Amore Trinitario in Gesù che si umilia, si mette a disposizione dell'uomo, di tutti gli uomini, rivelandoci cosi che Dio è "umile" e manifesta la sua onnipotenza e la sua suprema libertà anche nell'apparente debolezza. In Gesù che lava i piedi è simboleggiato il mistero dell'Incarnazione, dell'Eucaristia, della Croce; e ci chiede di imitarlo, ci insegna che attraverso un umile servizio di amore ai fratelli noi possiamo trasformare il mondo e offrirlo al Padre in unione con la sua offerta.

Questo servizio noi l'abbiamo vissuto in maniera particolare poco fa, pensando ai nostri fratelli senza tetto e senza fissa dimora. E' un grave problema che riguarda la società civile, la nostra città, l'area metropolitana, la regione. Le autorità civili, la Chiesa e il volontariato cercano di fare quanto possono, ma il problema rimane grave. Per questo visiterò, subito dopo la Messa, e porterò l'augurio di Pasqua ad alcune istituzioni in cui volontariato e città si sforzano di dare qualche risposta ai bisogni primari di tanti nostri fratelli e sorelle, per invitare ciascuno a un impegno sempre più deciso a favore di questa dolorosa emergenza.

L'EUCARISTIA

Il brano di Matteo e il testo di san Paolo ci riferiscono l'istituzione dell'Eucaristia. Il racconto è molto semplice, quasi scarno, ma il contenuto è straordinario.

Nel corso dell'ultima Cena Gesù prende il pane, rende grazie a Dio, lo spezza e dice: "Questo è il mio corpo". Dopo aver cenato prende anche il calice e dice: "Questo è il mio sangue dell'alleanza". Nelle sue mani il pane e il vino diventano lui stesso. Quando dunque mette un pezzetto di quel pane nelle mani di Pietro, di Giovanni, di Andrea, di Giuda, è come se dicesse: "Sono io, non temere, mi metto nelle tue mani, mi fido di te e mi affido a te, perché tu faccia una cosa sola con me".

E' un mistero incredibile, inaudito, che non finiremo mai di adorare e di contemplare: nell'Eucaristia, tu, Signore Gesù, ti consegni a noi totalmente, indipendentemente dai sentimenti con cui ti accogliamo. Come nel giorno della tua nascita a Betlemme ti sei rimesso completamente nelle mani di Maria, come nel Venerdì santo ti rimetterai nelle mani del Padre tuo, così nell'Ultima Cena, questa sera e ogni volta che riceviamo la comunione eucaristica, tu, Gesù ti abbandoni nelle nostre mani, nelle mie mani.

Per questo il Papa, nella Tertio millennio adveniente scrive: "Il Duemila sarà un anno intensamente eucaristico: nel sacramento dell'Eucaristia il Salvatore, incarnatosi nel seno di Maria venti secoli fa, continua a offrirsi all'umanità come sorgente di vita divina" (55).

È davvero illimitato il desiderio del tuo cuore, o Signore, di entrare in comunione con noi!

LA BELLEZZA CHE SALVA

E anche se nelle ore dolorose e buie della passione, Gesù sembrerà in balìa degli eventi, in realtà egli regna sugli eventi e regnerà dalla croce. L'Eucaristia, nella quale annunciamo la morte del Signore e proclamiamo la sua risurrezione nell'attesa del suo ritorno, è il luogo in cui la Trinità continua a rivelarsi al mondo come Amore che salva, come Bellezza che salva.

Chiediamo dunque alla Madonna di prepararci ad accogliere Gesù nella comunione eucaristica come lo ha accolto lei, ad accoglierlo offrendogli tutta la nostra vita, tutta la nostra umanità affinché l'Eucaristia ci pervada e ci trasformi in oblazione gradita al Padre.

Chiediamo a Gesù, per intercessione di Maria, di sperimentare che l'Eucaristia è anche un mistero di comunione ecclesiale, di comunione con tutti coloro che condividono lo stesso pane e lo stesso calice. "O Gesù, tu che al termine dell'Ultima Cena, hai rivolto al Padre tuo la grande preghiera per l'unità di tutti i membri del tuo Corpo, aiutaci a comprendere che questa unità nasce dall'Eucaristia e ad essa si alimenta".

Mi piace concludere con alcune parole del Papa nella Lettera ai Sacerdoti per il Giovedì santo, là dove dice ai sacerdoti: "Facciamo riscoprire il tesoro dell'Eucaristia alle nostre comunità specialmente nella celebrazione della solenne assemblea domenicale. Cresca, grazie al vostro lavoro apostolico, l'amore a Cristo presente nell'Eucaristia. È un impegno che assume una rilevanza particolare in questo Anno giubilare". Il Papa annuncia poi, in questo contesto, il Congresso Eucaristico internazionale che si terrà a Roma nel prossimo mese di giugno. Congresso che "evidenzierà l'intimo rapporto tra il mistero dell'incarnazione del Verbo e l'Eucaristia, sacramento della reale presenza di Cristo" (15).

"O Maria, Madre dell'Eucaristia, rendici partecipi della tua lode e del tuo canto di grazie per il tesoro stupendo dell'Eucaristia". 

Duomo di Milano, 20 aprile 2000


In ginocchio con fare umile lavasti i piedi dei tuoi apostoli.
Anche quelli di Giuda baciasti con lo stesso amore che mostrasti per Pietro e per tutti quei figli spirituali che sarebbero scappati dopo poche ore lasciandoti solo.
In ginocchio, senza vergogna, con la semplicità di un amore che sa solo donare.
Cenasti con loro, ceni con noi, 
e ancora oggi sappiamo scappare ma non inginocchiarci.
Sappiamo amare chi ci dona ma allontaniamo chi non ricambia.
Solo, in quel giardino.
Solo davanti alla prova.
Solo davanti alla gratuita violenza.
Solo senza un lamento, senza rabbia, 
con dolcezza infinita donasti a chi ti aveva rinnegato 
il mandato di pastore di questo gregge.
Solo sulla croce, un vento leggero, la Trinità é compiuta.


Buon Giovedì del triduo Pasquale.


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