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martedì 9 aprile 2024

A coloro che non trovano pace - Tonino Bello

 Carissimi,

l'idea di rivolgermi a voi mi è venuta stasera quando, recitando i vespri, ho trovato questa invocazione: «Metti, Signore, una salutare inquietudine in coloro che si sono allontanati da te, per colpa propria o per gli scandali altrui».
Per prima cosa mi son chiesto se, nel numero delle mie conoscenze, ci fosse qualcuno che poteva essere raggiunto da questa preghiera.
E mi sono ricordato di te, Giampiero, che, dopo essere passato per tutta la trafila dei gruppi giovanili della parrocchia, un giorno te ne sei andato e non ti sei fatto più vedere.
L'altra sera ti ho incontrato per caso. Pioveva. Eri fermo sul marciapiede e ti ho dato un passaggio. In macchina mi hai chiesto con sufficienza se durante la quaresima continuavo a predicare le «solite chiacchiere» ai giovani, riuniti in cattedrale. Ci son rimasto male, perché mi hai detto chiaro e tondo che tu ormai a quelle cose non ci credevi più da un pezzo, e che al politecnico stavi trovando risposte più utili di quelle che ti davano i preti.
Mi hai raccontato che a Torino hai conosciuto Gigi, ex seminarista e mio alunno di ginnasio, il quale ti parla spesso di me. Ho notato che avevi una punta d'ironia e sembrava che ti divertissi quando hai aggiunto che ora sta con una ragazza, bestemmia come un turco, e fuma lo spinello.
Quando all'improvviso ti ho chiesto se eri felice, mi hai risposto che ne avremmo parlato un'altra volta, perché dovevi scendere e poi era troppo tardi.
Addio, Giampiero! L'invocazione del breviario stasera la rivolgo al Signore per te. E per Gigi. 
E la rivolgo anche per te, Maria, che ti sei allontanata senza una plausibile ragione. Facevi parte del coro. Ora a messa non ci vai nemmeno a Pasqua. 
Tu dici che hai visto troppe cose storte anche in chiesa, e che non ti aspettavi certe pugnalate alle spalle proprio da coloro che credono in Dio. 
Non so che cosa ti sia successo di preciso. Ma l'altro giorno, quando sei venuta da me per implorare un ricovero urgente al Gemelli a favore del tuo bambino che sta male, e io ti ho esortata ad aver fiducia in Dio, e tu sei scoppiata a piangere dicendomi che in Dio non ci credi più... mi è parso di leggere in quelle lacrime, oltre alla paura di poter perdere il figlio, anche l'amarezza di aver perduto il Padre.
Non temere, Maria. Pregherò io per il tuo bambino, perché guarisca presto. 
Ma anche per te, perché il Signore ti metta nel cuore una salutare inquietudine.
Vedo che non afferri il senso di una preghiera del genere. Di inquietudini nei hai già tante e non è proprio il caso che mi metta anch'io ad aumentartene la dose. Tu sai bene, però, che in fondo io imploro la tua pace. Ecco, infatti, come il breviario prolunga l'invocazione su coloro che si sono allontanati da Dio: «Fa' che ritornino a te e rimangano sempre nel tuo amore».
E ora, visto che mi sono messo ad assicurare preghiere un po' per tutti, vorrei rivolgermi anche a voi che, pur non essendovi mai allontanati da Dio, non riuscite ugualmente a trovar riposo nella vostra vita.
Per sè parrebbe un controsenso. Perché Dio è la fontana della pace, e chi si lascia da lui possedere non può soffrire i morsi dell'inquietudine. Però sta di fatto che, o per difetto di affido alla sua volontà, o per eccesso di calcolo sulle proprie forze, o per uno squilibrio di rapporti tra debolezza e speranza, o chi sa per quale misterioso disegno, è tutt'altro che rara la coesistenza di Dio con l'insoddisfazione cronica dello spirito.

Mi rivolgo perciò a voi, icone sacre dell'irrequietezza, per dirvi che un piccolo segreto di pace ce l'avrei anch'io da confidarvelo.
A voi, per i quali il fardello più pesante che dovete trascinare siete voi stessi. 
A voi, che non sapete accettarvi e vi crogiolate nelle fantasie di un vivere diverso. 
A voi, che fareste pazzie per tornare indietro nel tempo e dare un'altra piega all'esistenza. 
A voi, che ripercorrete il passato per riesaminare mille volte gli snodi fatali delle scelte che oggi rifiutate. 
A voi, che avete il corpo qui, ma l'anima ce l'avete altrove. 
A voi, che avete imparato tutte le astuzie del «bluff» perché sapete che anche gli altri si sono accorti della vostra perenne scontentezza, ma non volete farla pesare su nessuno e la mascherate con un sorriso quando, invece, dentro vi sentite morire. 
A voi, che trovate sempre da brontolare su tutto, e non ve ne va mai a genio una, e non c'è bicchiere d'acqua limpida che non abbia il suo fondiglio di detriti.
A tutti voi voglio ripetere: non abbiate paura. La sorgente di quella pace, che state inseguendo da una vita, mormora freschissima dietro la siepe delle rimembranze presso cui vi siete seduti.

Non importa che, a berne, non siate voi. Per adesso, almeno.
Ma se solo siete capaci di indicare agli altri la fontana, avrete dato alla vostra vita il contrassegno della riuscita più piena. 
Perché la vostra inquietudine interiore si trasfigurerà in «prezzo da pagare» per garantire la pace degli altri.
O, se volete, non sarà più sete di «cose altre», ma bisogno di quel «totalmente Altro» che, solo, può estinguere ogni ansia di felicità.
Vi auguro che stasera, prima di andare a dormire, abbiate la forza di ripetere con gioia le parole di Agostino, vostro caposcuola: «O Signore, tu ci hai fatti per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te».

- donTonino Bello - 


Il legno per attraversare il mare

E' come se uno vedesse da lontano la patria, e ci fosse di mezzo il mare: egli vede dove arrivare, ma non ha come arrivarvi. Così è di noi, che vogliamo giungere a quella stabilità dove ciò che è è, perché esso solo è sempre così com'è. E anche se già scorgiamo la meta da raggiungere, tuttavia c'è di mezzo il mare di questo secolo. Ed è già qualcosa conoscere la meta, poiché molti neppure riescono a vedere dove debbono andare.

Ora, affinché avessimo anche il mezzo per andare, è venuto di là colui al quale noi si voleva andare. E che ha fatto? Ci ha procurato il legno con cui attraversare il mare. Nessuno, infatti, può attraversare il mare di questo secolo, se non è portato dalla croce di Cristo.

Anche se uno ha gli occhi malati, può attaccarsi al legno della croce. E chi non riesce a vedere da lontano la meta del suo cammino, non abbandoni la croce, e la croce lo porterà.

- Sant'Agostino -

Commento al Vangelo di Giovanni (Gv 1,6-14)


Buona giornata a tutti :-)

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venerdì 5 aprile 2024

A coloro che soffrono nel corpo – don Tonino Bello

 Carissimi,

non scrivo per consolarvi. Anche perché so bene quanto fastidio vi diano le declamazioni di coloro che, sentendosi sempre in dovere di spendere qualche buona parola con voi, ricorrono ai prontuari dei più indisponenti fraseggi.
Non è di compatimento che avete bisogno. 
Prima di tutto, perché il compatimento è una spartizione fittizia del dolore. Poi, perché vi toglie la fierezza di rimaner soli sulla croce. E infine, perché rischia di fermarsi alla soglia delle parole. 
Al paraplegico che sta inchiodato su una sedia a rotelle, che sollievo può dare il sermone di circostanza fatto da chi magari, subito dopo, deve correre in palestra per una partita di basket?
All’handicappato che ti interpella sui grandi perché della vita, e vuoi rendersi conto delle ragioni misteriose che stanno all’origine della sua sfortuna, che conforto possono recare i luoghi comuni tratti dai repertori della compassione?
A chi è ridotto all’impotenza da una malattia irreversibile o da un improvviso declino della salute o da un fatale incidente sulla strada, e ti pone la scomoda domanda del «che ci sto a fare più sulla terra», quale aiuto possono dare le tue maldestre citazioni bibliche?
Davanti a chi soffre come voi, l’atteggiamento più giusto sembrerebbe quello del silenzio.
Però, anche il silenzio può essere frainteso o come segno di imbarazzo, o come tentativo di rimozione del problema.
E allora, tanto vale parlarne. Semmai, con pudore. Chiedendovi scusa per ogni parola di troppo. Come, per esempio, una parola di troppo potrà sembrare il segreto che vi confido sulla mia consuetudine con questa preghiera che recito ogni mattina:
“Padre mio, io mi abbandono a te. Fa’ di me ciò che ti piace. Qualsiasi cosa tu faccia di me, io ti ringrazio. Sono pronto a tutto. Accetto tutto. Purché la tua volontà sia fatta in me e in tutte le tue creature. Non desidero altro, mio Dio. Rimetto la mia anima nelle tue mani. Te la dono, mio Dio, con tutto l’amore del mio cuore, perché ti amo. Ed è per me una necessità di amore donarmi e rimettermi nelle tue mani. Senza misura, con infinita fiducia. Perché tu mi sei padre”.
E’ una preghiera difficile, lo ammetto. Forse è stata difficile anche per Charles de Foucauld che l’ha composta. Questo brillante ufficiale di cavalleria, amante della vita eppure spinto a fare un cammino di conversione nelle aridità del deserto, non poteva mai immaginare che un giorno sarebbe caduto assassinato da un beduino mentre era assorto in adorazione davanti al Santissimo Sacramento. Ebbene, ciò che l’ha reso celebre non è stato il suo martirio, quanto quella preghiera di abbandono.
È una preghiera difficile, lo ammetto.
Forse è difficile pure per voi, piagati nei corpo, che tremate a pronunciarla anche dopo che la prova vi è già caduta addosso. Tutto sommato, potrebbe essere una preghiera di comodo, sapendo che a ribellarvi non è che cambiereste la vostra situazione, anzi, accettandovi, potreste cambiare addirittura in preziosissimi assegni circolari le stigmate del vostro fallimento umano.
Ma quando si soffre, è difficile fare di necessità virtù, se non viene una forza dall’alto. Al massimo, ci si può rassegnare. Stoicamente. Col sarcasmo sulle labbra, che spesso è peggio della bestemmia.
Ed eccomi allora chiamato dal mio dovere di vescovo ad additarvi con fermezza lo scandalo della Croce. Dire che col vostro dolore contribuite alla salvezza del mondo, può sembrarvi letteratura consolatoria. Ricorrere alle frasi fatte degli occhi che vedono bene solo attraverso le lacrime, può essere inteso, se non proprio come un insulto gratuito, almeno come un ritrovato sterile della saggezza umana. Accennarvi che, in fondo, ognuno si porta dentro il suo carico di dolori e che, tutto sommato, non siete poi così soli come sembra, potrebbe accrescere il vostro sdegno. Aggiungere che un giorno sarete schiodati pure voi dalla croce, può apparire uno scampolo di quell’eloquenza mistificatoria che non convince nessuno.
Ma dirvi che sulla croce un giorno ci è salito un uomo innocente, e che sul retro della croce c’è un posto vuoto dove un altro innocente è chiamato a far compagnia ai rantoli di Cristo, appartiene al messaggio inquietante, eppur dolcissimo, che un ministro della Parola non può nè accorciare nè mettere tra parentesi.
Quel posto è tuo, Ignazio, paralizzato per sempre; e di nessun altro. E tuo, Ruggero, che ti trascini a tentoni per la casa e mugoli parole indistinte. Chiamalo, il tuo Signore: è un nome breve. Non può non sentirti: è inchiodato appena dietro dite. Quel posto è tuo, Giuseppe, che ti portano da una clinica all’altra per un male incurabile e hai solo trent’anni: non fare lo sbaglio di rinunciare a quel posto. E tuo, Nadia, splendida bambina: non cederlo a nessuno.
Forse un giorno quel posto sarà mio. O lo è già da adesso, ed è solo l’esemplarità del vostro martirio più grande che me ne rende agevole il tormento. Non fosse altro che per questo, vorrei dirvi: grazie!
Ma grazie soprattutto perché, se è vero che dobbiamo adorare e benedire Gesù Cristo che con la sua santa croce ha redento il mondo, è altrettanto vero che, in cooperativa con lui, voi ci avete comprato le gioie che fanno fremere il mondo: le sue canzoni, le sue attese di libertà, le sue esplosioni di luce, i suoi tripudi di vita, le sue ansie di festa senza tramonti, le sue speranze di cieli nuovi e terre nuove.
Sapete che vi dico?
Il mattino di Pasqua, nella corsa verso il sepolcro, voi sarete più veloci di tutti, e ci precederete come Giovanni. E forse vi fermerete sulla soglia, per farci vedere «le bende per terra e il sudano piegato in disparte».
E l’ultima carità che ci aspettiamo da voi.
Un abbraccio.


- Don Tonino Bello - 
Da: “Pietre di scarto”, ed. La Meridiana 1993


"L'amore di Dio si rivela attraverso segni che dapprima non comprendiamo, ma che in seguito rivelano la grandezza del suo disegno". 

- Don Tonino Bello -



La vita senza Dio non funziona, perché manca la luce, perché manca il senso di cosa significa essere uomo. 
I comandamenti non sono un ostacolo alla libertà e alla bella vita, ma indicatori per trovare una vita piena. 
La disciplina allarga la vita e la fatica dà profondità alla vita e contribuisce a creare un mondo migliore»

Papa Benedetto XVI, 18 marzo 2007


Santa Maria, Vergine della notte,
noi t'imploriamo di starci vicino
quando incombe il dolore,
irrompe la prova,
sibila il vento della disperazione,
e sovrastano sulla nostra esistenza
il cielo nero degli affanni,
o il freddo delle delusioni
o l'ala severa della morte.
Liberaci dai brividi delle tenebre.
Nell'ora del nostro calvario,
Tu, che hai sperimentato l'eclissi del sole,
stendi il tuo manto su di noi,
sicché, fasciati dal tuo respiro,
ci sia più sopportabile
la lunga attesa della libertà.
Alleggerisci con carezze di Madre
la sofferenza dei malati.
Riempi di presenze amiche e discrete
il tempo amaro di chi è solo.
Spegni i focolai di nostalgia
nel cuore dei naviganti,
e offri loro la spalla,
perché vi poggino il capo.
Preserva da ogni male i nostri cari
che faticano in terre lontane e conforta,
col baleno struggente degli occhi,
chi ha perso la fiducia nella vita.
Ripeti ancora oggi
la canzone del Magnificat,
e annuncia straripamenti di giustizia
a tutti gli oppressi della terra.
Non ci lasciare soli nella notte
a salmodiare le nostre paure.
Anzi, se nei momenti dell'oscurità
ti metterai vicino a noi
e ci sussurrerai che anche Tu,
Vergine dell'Avvento,
stai aspettando la luce,
le sorgenti del pianto
si disseccheranno sul nostro volto.
E sveglieremo insieme l'aurora.
 Amen


- don Tonino Bello -




Buona giornata a tutti. :-)


venerdì 29 marzo 2024

La circonvallazione del Calvario – Don Tonino Bello

 «Abbiamo inquadrato la croce nella cornice della sapienza umana, ma non ce la siamo piantata nel cuore ».
Vi dispiace se, per più di una volta, fermerò la vostra attenzione sul « legno dolcissimo » della croce che noi, come dice Claudel, non siamo chiamati a piallare, ma sul quale siamo chiamati a salire?
Ascoltatemi, allora. E perdonatemi se parlo con immagini: è perché si fissi più profondamente nell’anima lo spessore dei nostri tradimenti.
Se è vero che la croce è l’unità di misura di ogni impegno cristiano, dobbiamo fare attenzione a un grosso pericolo che stiamo correndo: quello che san Paolo, scrivendo ai Corinzi, chiama l’evacuazione della croce.
Che non significa disprezzo della croce, o rifiuto della croce, o irrisione della croce. No.
Non c’è nessuno di noi che non parli con eloquenza del «legno santo», o che in Quaresima non canti con tutta l’anima il «Vexilla regis», o che nel venerdì santo non intoni l’inno alla «Crux fidelis ».
La croce rimane sempre al centro delle nostre prospettive. 
Ma noi vi giriamo al largo. Troppo al largo. 
Prendiamo una extramurale lontanissima dal colle dove essa s’innalza. 
E’ come quando, in viaggio, si sfiora una città passando dalla tangenziale. Mentre l’automobile corre sulla strada, si dà ogni tanto un’occhiata ai campanili che si ergono e alle torri che svettano. Ma poi tutto finisce lì.
Purtroppo la nostra vita cristiana non incrocia il Calvario. 
Non s’inerpica sui tornanti del Golgota. 
Passa di striscio dalle pendici del luogo del cranio.
Come i Corinzi anche noi, la croce, l’abbiamo «inquadrata» nella cornice della sapienza umana, e nel telaio della sublimità di parola.
L’abbiamo attaccata con riverenza alle pareti di casa nostra, ma non ce la siamo piantata nel cuore. 
Pende dal nostro collo, ma non pende sulle nostre scelte. 
Le rivolgiamo inchini e incensazioni in chiesa, ma ci manteniamo agli antipodi della sua logica.
L’abbiamo isolata, sia pure con tutti i riguardi che merita. E’ un albero nobile che cresce su zolle recintate. 
Nel centro storico delle nostre memorie religiose. 
All’interno della zona archeologica dei nostri sentimenti. Ma troppo lontano dalle strade a scorrimento veloce che battiamo ogni giorno.
Dobbiamo ammetterlo con amarezza. Abbiamo scelto la circonvallazione e non la mulattiera del Calvario.
Abbiamo bisogno di riconciliarci con la croce e di ritrovare, sulla carta stradale della nostra esistenza paganeggiante, lo svincolo giusto che porta ai piedi del condannato!

(+don Tonino Bello)
Fonte: Alla finestra della speranza di don Tonino Bello




Dobbiamo impegnarci in scelte di percorso, in tabelle di marcia: non possiamo parlare di pace indicando le tappe ultime e saltando le intermedie! 

Se non siamo capaci di piccoli perdoni quotidiani fra individuo e individuo, tra familiari, tra comunità e comunità... è tutto inutile! 

La pace non è soltanto un pio sospiro, un gemito favoloso, un pensiero romantico... è, soprattutto, prassi.

+Don Tonino Bello



Il cristiano è colui che non fa mai prevalere il lamento sulla danza, nel senso che lascia emergere le ragioni della speranza anche dove sono percettibili i segni della morte.
Però deve volgere costantemente lo sguardo, con occhio critico e realista, anche sui flutti che insidiano l'arca della vita.

- +don Tonino Bello - 




L’ingresso in Gerusalemme

L’ingresso in Gerusalemme…
Essi pensavano: "Ecco il trionfo!"
e lui invece sapeva "Ecco la mia fine!". 
Questo isolamento appartiene
essenzialmente alla sofferenza di Cristo,
come sofferenza dell’anima:
questa solitaria consapevolezza
di comprendere tutti i segni
contrariamente all’apparenza!...
Cristo sente nel giubilo l’inizio della fine.
Ma a che serve spiegare simili cose agli uomini?
Essi forse le imparano a memoria
come una filastrocca, senza comprenderle.
Per comprenderle, bisogna essere
profondamente iniziati alle sofferenze,
essere uomini amanti del silenzio;
sì, tanto amanti del silenzio
da aver oramai capito che le chiacchiere,
le scemenze, l’affaccendarsi hanno sempre il sopravvento.

(Soren Kierkegaard)

Il mistero della Passione, Antologia dal diario, a cura di Tito Di Stefano



"Il Calvario è lo scrigno nel quale si concentra tutto l’amore di Dio. 

La Croce è la manifestazione, è l’epifania più alta dell’Amore di Dio per noi. Ha mandato Suo Figlio sulla Croce perché ci togliesse i peccati, ci redimesse, ci rendesse puri. 

Il Calvario non è soltanto la fontana della carità, non è soltanto l’acquedotto della speranza, ma è anche la sorgente della fede".

(+ don Tonino Bello)


Oggi è giorno di dolore, preghiera e digiuno.

mercoledì 6 marzo 2024

Le beatitudini oggi – don Tonino Bello

Ce l'hanno spiegata con mille sfumature, e vien quasi da pensare che ogni biblista abbia un suo modo di leggere questa pagina delle beatitudini: l'unica che vorremmo salvare, se di tutti i libri della terra si dovesse sottrarre all'incendio solo il Vangelo e di tutto il Vangelo si dovesse preservare dalle fiamme soltanto una sequenza di venti righe.

Si intuisce subito che queste parole pronunciate da Gesù nascondono promesse ultraterrene.

Alludono a quegli appagamenti di gioia completa che andiamo inseguendo da tutta una vita, senza essere riusciti mai ad afferrare per intero.
Fanno riferimento a quel senso di benessere pieno di gioia totalizzante che esiste solo nei nostri sogni.
Traducono, come nessun altro frasario umano, le nostre nostalgie di futuro, e ci proiettano verso quei cieli nuovi e terre nuove in cui la settimana si accorcia a tal punto da conoscere solo il sabato eterno.

Imprigionano il "non ancora" - sempre abbozzato e mai esploso pienamente - di quel "risus paschalis" che ora sperimentiamo solo nella smorfia delle nostre troppo rapide convulsioni di letizia per cedere subito il posto all'amarezza del pianto.

Non ci vuol molto a capire, insomma, che sotto queste sentenze veloci del discorso della montagna c'è qualcosa di grande. E che, di quel misterioso "regno dei cieli", la cosa più ovvia che si possa dire è che rappresenta il vertice della felicità.

Sì, Gesù vuol dare una risposta all'istanza primordiale che ci assedia l'anima da sempre. Noi siamo fatti per essere felici. La gioia è la nostra vocazione. 
E' l'unico progetto, dai nettissimi contorni, che Dio ha disegnato per l'uomo.
Una gioia raggiungibile, vera, non frutto di fabulazioni fantastiche, e neppure proiezione utopica del nostro decadentismo spirituale.

(Don Tonino Bello)
Fonte: Alle porte del regno




Amare è una parola sconvolgente: è interessarsi veramente a qualcuno;
è rispettarlo com’è, con le sue ferite, le sue tenebre e la sua povertà,
ma anche con le sue potenzialità, con i suoi doni nascosti;
è credere in lui;
è nutrire verso di lui una speranza folle;
è gioire della sua presenza e della bellezza del suo cuore,
anche se resta ancora nascosta. 

- Padre Jean Vanier -



Nella malattia

Signore Gesù, ti chiediamo di poter unire ai dolori della tua passione i dolori delle nostre malattie, affinché, riconciliati tutti gli uomini al Padre, per il tuo perdono si rinnovi nel cielo la festa della tua gioia per gli angeli e per i santi e qui sulla terra, per noi, giunga il dono della tua grazia e della tua pace. Amen.

- San Paolo VI -


Buona giornata a tutti :-)

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venerdì 1 marzo 2024

Dammi, Signore, un'ala di riserva - don Tonino Bello

 Voglio ringraziarti, Signore, per il dono della vita.

Ho letto da qualche parte che gli uomini sono angeli con un'ala soltanto:
possono volare solo rimanendo abbracciati.
A volte nei momenti di confidenza oso pensare, Signore,
che anche Tu abbia un'ala soltanto,
l'altra la tieni nascosta...
forse per farmi capire che Tu non vuoi volare senza me.
Per questo mi hai dato la vita, perché io fossi tuo compagno di volo.
Insegnami allora a librarmi con Te perché vivere non è trascinare la vita,
non è strapparla,
non è rosicchiarla:
vivere è abbandonarsi come un gabbiano all'ebbrezza del vento;
vivere è assaporare l'avventura della libertà,
vivere è stendere l'ala,
l'unica ala con la fiducia di chi sa di avere nel volo un partner grande come Te.
Ma non basta saper volare con Te, Signore:
Tu mi hai dato il compito di abbracciare anche il fratello, e aiutarlo a volare.
Ti chiedo perdono, perciò, per tutte le ali che non ho aiutato a distendersi:
non farmi più passare indifferente davanti al fratello che è rimasto con l'ala,
l'unica ala, inesorabilmente impigliata nella rete della miseria e della solitudine e si è ormai persuaso di non essere più degno di volare con Te:
soprattutto per questo fratello sfortunato dammi, o Signore, un'ala di riserva.

- don Tonino Bello -


Antonio Bello (Alessano, 18 marzo 1935 – Molfetta, 20 aprile 1993). vescovo cattolico italiano. Il 27 novembre 2007 la Congregazione per le Cause dei Santi ha avviato il processo di beatificazione.

Ma il pericolo esiste. E non è neppure dei più irrilevanti. Quello, cioè, di fare di Dio una specie di superlativo asso­luto di tutte le connotazioni positive che si riscontrano nel­le creature.

Un fiore è bello? Dio è bellissimo. Un uomo è buono? Dio è ottimo. Un maestro è saggio? Una madre ama appassionatamen­te il frutto del suo grembo? Dio supera e il maestro e la madre: egli è, per dirla con Dante, «la somma sapienza e primo amore».

Con questo procedimento rischioso, anche se gli facciamo occupare la prima posizione nelle graduatorie dei valori universali, non rendiamo a Dio un buon servizio. Perché tutto sommato, lo confiniamo all'interno del nostro mondo. Lo circoscriviamo nei nostri moduli. Mentre gli si offre, quasi per buona educazione, la piaz­za d'onore, in ultima analisi lo riduciamo ai nostri schemi. Lo si riconosce come testa di serie di tutte le classifiche della terrena bontà, ma poi gli si impedisce di sfondare il tetto e di entrare, per così dire, in un altro girone. E chi sa che, sotto questa assolutizzazione «controllata», non si na­sconda il desiderio, se non proprio di insidiargli il primo posto, almeno di imporgli un certo rispetto!

Sì, il pericolo esiste. Perché così riduciamo Dio a semplice fenomeno intramondano, perfetto quanto si vuole, ma spogliato di ciò che gli appartiene come tipicamente suo: la trascendenza.

Trascendenza è una parola un po' difficile, ma vuol significare che Dio è “totalmente altro”  dalle nostre povere, sia pur nobili, cose di quaggiù…

Viene in mente la battuta di quel missionario il quale mentre parlava ai negretti seduti sotto un albero della foresta, essendogli capitato di usare nel discorso la parola computer, si sentì chiedere da un bambino che cosa fosse i computer. E lui, imbarazzato, gli rispose mostrandogli la matita che aveva in mano: «Te lo spiego subito: vedi questa matita? Il computer è tutta un'altra cosa! ».

Appunto, Dio è tutta un'altra cosa.

Non possiamo rivestirlo sul modello dei nostri abiti, si pure di stoffa pregiata, dandogli magari la taglia più alta.

Non è comprimibile sotto l'arco del nostro cielo. Dobbiamo ripeterlo chiaro: «Sopra i cieli s'innalza la sua magnificenza».

Solo così saremo afferrati dalla imprevedibilità di Dio. Solo così capiremo le sue inedite trovate. Solo così ci se­durranno le sue sorprese, e ci accorgeremo che sono vera­mente inesauribili le risorse della sua novità.

Diversamente, correremo il rischio di proiettare in Dio le nostre mediocrità. La sua eccellenza la scambieremo per strapotere. Lo renderemo complice di ogni progetto mal ri­uscito. E perfino l'effetto speranza, su cui poggia tutto l'annuncio cristiano, si ridurrebbe alla semplice amplifica­zione delle nostre attese che, per quanto dilatate, finirebbe­ro col deluderci.

«Sopra i cieli s'innalza la tua magnificenza». Sopra i cieli. Non sotto. Un Dio che sta sotto i cieli, anche se tanto alto da toccarli con un dito, è un Dio lon­tanissimo: forse anche un po' responsabile delle nostre frustrazioni e dei nostri insuccessi. È un Dio rivale, in­somma, quasi un antagonista con cui misurarsi. E’  un primo della classe col quale fare i conti, rimediando ine­sorabilmente complessi di inferiorità e amarissime sensa­zioni di colpa.

Un Dio, invece, la cui magnificenza s'innalza sopra i cieli ci è molto più vicino. Perché scombina le nostre misu­re, ma senza indispettirci. Perché gioca con noi, ma senza divertirsi a nostre spese. Perché provoca desideri struggenti della patria lontana, ma senza crearci tristezze. Perché è sempre in agguato, ma senza irridere alla nostra libertà. Perché ci tende mille trappole di tenerezza, ma non si stan­ca dei nostri rifiuti. Perché ci tiene alle risposte d'amore, ma è sempre pronto a perdonare il nostro peccato.

Solo un Dio che sta sopra i cieli può diventarci coinqui­lino. Perché solo lui sa scavare negli abissi delle nostre no­stalgie, e ci fa capire che «egli ci ha fatti per lui, e che il nostro cuore è inquieto finché non riposa in lui».

«Sopra i cieli s'innalza la sua magnificenza».

Sotto i cieli s'incurva solo la nostra povertà. Ma s'incur­va a tal punto, da diventare il ricettacolo della sua miseri­cordia.


(fine)
  (don Tonino Bello)
Fonte: "Dire Dio oggi. Dallo stupore alla trascendenza"
Scrigni, collana diretta da don Ciccio Savino, Ed. Insieme, pagg. 13,14,15


Don Tonino Bello nasce ad Alessano (Lecce) il 18 marzo 1935, rimarrà sempre “don Tonino” anche quando sarà nominato vescovo di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi nel 1982. Comunione, evangelizzazione e scelta degli ultimi sono i perni su cui svilupperà la sua idea di Chiesa (la “Chiesa del Grembiule”). Parteciperà alle lotte per il lavoro insieme agli operai delle acciaierie di Giovinazzo,  si dichiarerà contrario all’installazione dei missili a Comiso e sarà insieme ai pacifisti nelle proteste. Ospiterà di sfrattati in episcopio (“Io non risolvo il problema degli sfrattati ospitando famiglie in vescovado. Non spetta a me farlo, spetta alle istituzioni: però io ho posto un segno di condivisione che alla gente deve indicare traiettorie nuove(…),insinuare qualche scrupolo come un sassolino nella scarpa”). Già ammalato di cancro partecipa alla marcia pacifica a Sarajevo, di cui fu ispiratore e guida: 500 persone, credenti e non partirono da Ancona il 7 Dicembre 1992. Erano persone di nazionalità diverse uniti dall’unico desiderio di sperimentare “un’altra ONU”, quella dei popoli, della base. Nel discorso pronunciato ai 500 nel cinema di Sarajevo dirà: ”Vedete, noi siamo qui , Probabilmente allineati su questa grande idea, quella della nonviolenza attiva (…).Noi qui siamo venuti a portare un germe: un giorno fiorirà(…).Gli eserciti di domani saranno questi: uomini disarmati”. Morirà il 20 aprile 1993.

Buona giornata a tutti :-)



lunedì 21 agosto 2023

A coloro che non trovano pace - don Tonino Bello

Carissimi,

l'idea di rivolgermi a voi mi è venuta stasera quando, recitando i vespri, ho trovato questa invocazione: «Metti, Signore, una salutare inquietudine in coloro che si sono allontanati da te, per colpa propria o per gli scandali altrui».

Per prima cosa mi son chiesto se, nel numero delle mie conoscenze, ci fosse qualcuno che poteva essere raggiunto da questa preghiera.

E mi sono ricordato dite, Giampiero, che, dopo essere passato per tutta la trafila dei gruppi giovanili della parrocchia, un giorno te ne sei andato e non ti sei fatto più vedere.

L'altra sera ti ho incontrato per caso. Pioveva. Eri fermo sul marciapiede e ti ho dato un passaggio. In macchina mi hai chiesto con sufficienza se durante la quaresima continuavo a predicare le «solite chiacchiere» ai giovani, riuniti in cattedrale. Ci son rimasto male, perché mi hai detto chiaro e tondo che tu ormai a quelle cose non ci credevi più da un pezzo, e che al politecnico stavi trovando risposte più utili di quelle che ti davano i preti.

Mi hai raccontato che a Torino hai conosciuto Gigi, ex seminarista e mio alunno di ginnasio, il quale ti parla spesso di me. Ho notato che avevi una punta d'ironia e sembrava che ti divertissi quando hai aggiunto che ora sta con una ragazza, bestemmia come un turco, e fuma lo spinello.

Quando all'improvviso ti ho chiesto se eri felice, mi hai risposto che ne avremmo parlato un'altra volta, perché dovevi scendere e poi era troppo tardi.

Addio, Giampiero! L'invocazione del breviario stasera la rivolgo al Signore per te. E per Gigi. E la rivolgo anche per te, Maria, che ti sei allontanata senza una plausibile ragione. Facevi parte del coro. Ora a messa non ci vai nemmeno a Pasqua. Tu dici che hai visto troppe cose storte anche in chiesa, e che non ti aspettavi certe pugnalate alle spalle proprio da coloro che credono in Dio. Non so che cosa ti sia successo di preciso. Ma l'altro giorno, quando sei venuta da me per implorare un ricovero urgente al Gemelli a favore del tuo bambino che sta male, e io ti ho esortata ad aver fiducia in Dio, e tu sei scoppiata a piangere dicendomi che in Dio non ci credi più... mi è parso di leggere in quelle lacrime, oltre alla paura di poter perdere il figlio, anche l'amarezza di aver perduto il Padre.

Non temere, Maria. Pregherò io per il tuo bambino, perché guarisca presto. Ma anche per te, perché il Signore ti metta nel cuore una salutare inquietudine.

Vedo che non afferri il senso di una preghiera del genere. Di inquietudini nei hai già tante e non è proprio il caso che mi metta anch'io ad aumentartene la dose. Tu sai bene, però, che in fondo io imploro la tua pace. Ecco, infatti, come il breviario prolunga l'invocazione su coloro che si sono allontanati da Dio: «Fa' che ritornino a te e rimangano sempre nel tuo amore».

E ora, visto che mi sono messo ad assicurare preghiere un po' per tutti, vorrei rivolgermi anche a voi che, pur non essendovi mai allontanati da Dio, non riuscite ugualmente a trovar riposo nella vostra vita.

Per sè parrebbe un controsenso. Perché Dio è la fontana della pace, e chi si lascia da lui possedere non può soffrire i morsi dell'inquietudine. Però sta di fatto che, o per difetto di affido alla sua volontà, o per eccesso di calcolo sulle proprie forze, o per uno squilibrio di rapporti tra debolezza e speranza, o chi sa per quale misterioso disegno, è tutt'altro che rara la coesistenza di Dio con l'insoddisfazione cronica dello spirito.

Mi rivolgo perciò a voi, icone sacre dell'irrequietezza, per dirvi che un piccolo segreto di pace ce l'avrei anch'io da confidarvelo.

A voi, per i quali il fardello più pesante che dovete trascinare siete voi stessi. A voi, che non sapete accettarvi e vi crogiolate nelle fantasie di un vivere diverso. A voi, che fareste pazzie per tornare indietro nel tempo e dare un'altra piega all'esistenza. A voi, che ripercorrete il passato per riesaminare mille volte gli snodi fatali delle scelte che oggi rifiutate. A voi, che avete il corpo qui, ma l'anima ce l'avete altrove. A voi, che avete imparato tutte le astuzie del «bluff» perché sapete che anche gli altri si sono accorti della vostra perenne scontentezza, ma non volete farla pesare su nessuno e la mascherate con un sorriso quando, invece, dentro vi sentite morire. A voi, che trovate sempre da brontolare su tutto, e non ve ne va mai a genio una, e non c'è bicchiere d'acqua limpida che non abbia il suo fondiglio di detriti.

A tutti voi voglio ripetere: non abbiate paura. La sorgente di quella pace, che state inseguendo da una vita, mormora freschissima dietro la siepe delle rimembranze presso cui vi siete seduti.
Non importa che, a berne, non siate voi. Per adesso, almeno.

Ma se solo siete capaci di indicare agli altri la fontana, avrete dato alla vostra vita il contrassegno della riuscita più piena. Perché la vostra inquietudine interiore si trasfigurerà in «prezzo da pagare» per garantire la pace degli altri.

O, se volete, non sarà più sete di «cose altre», ma bisogno di quel «totalmente Altro» che, solo, può estinguere ogni ansia di felicità.

Vi auguro che stasera, prima di andare a dormire, abbiate la forza di ripetere con gioia le parole di Agostino, vostro caposcuola: «O Signore, tu ci hai fatti per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te».

- don Tonino Bello - 


Buona giornata a tutti :-)