Visualizzazione post con etichetta Fallaci Oriana. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Fallaci Oriana. Mostra tutti i post

sabato 9 settembre 2023

Il Sultano e San Francesco. Non possiamo rinunciare alla speranza - Tiziano Terzani

Oriana, dalla finestra di una casa poco lontana da quella in cui anche tu sei nata, guardo le lame austere ed eleganti dei cipressi contro il cielo e ti penso a guardare, dalle tue finestre a New York, il panorama dei grattacieli da cui ora mancano le Torri Gemelle. 
Mi torna in mente un pomeriggio di tanti, tantissimi anni fa quando assieme facemmo una lunga passeggiata per le stradine di questi nostri colli argentati dagli ulivi. 
Io mi affacciavo, piccolo, alla professione nella quale tu eri già grande e tu proponesti di scambiarci delle «Lettere da due mondi diversi»: io dalla Cina dell’immediato dopo-Mao in cui andavo a vivere, tu dall’America. Per colpa mia non lo facemmo. Ma è in nome di quella tua generosa offerta di allora, e non certo per coinvolgerti ora in una corrispondenza che tutti e due vogliamo evitare, che mi permetto di scriverti. Davvero mai come ora, pur vivendo sullo stesso pianeta, ho l’impressione di stare in un mondo assolutamente diverso dal tuo. Ti scrivo anche - e pubblicamente per questo - per non far sentire troppo soli quei lettori che forse, come me, sono rimasti sbigottiti dalle tue invettive, quasi come dal crollo delle due Torri. 
Là morivano migliaia di persone e con loro il nostro senso di sicurezza; nelle tue parole sembra morire il meglio della testa umana - la ragione; il meglio del cuore - la compassione. 
Il tuo sfogo mi ha colpito, ferito e mi ha fatto pensare a Karl Kraus. «Chi ha qualcosa da dire si faccia avanti e taccia», scrisse, disperato dal fatto che, dinanzi all’indicibile orrore della Prima Guerra Mondiale, alla gente non si fosse paralizzata la lingua. Al contrario, gli si era sciolta, creando tutto attorno un assurdo e confondente chiacchierio. 
Tacere per Kraus significava riprendere fiato, cercare le parole giuste, riflettere prima di esprimersi. Lui usò di quel consapevole silenzio per scrivere Gli ultimi giorni dell’umanità, un’opera che sembra essere ancora di un’inquietante attualità. Pensare quel che pensi e scriverlo è un tuo diritto. Il problema è però che, grazie alla tua notorietà, la tua brillante lezione di intolleranza arriva ora anche nelle scuole, influenza tanti giovani e questo mi inquieta. Il nostro di ora è un momento di straordinaria importanza. 
L’orrore indicibile è appena cominciato, ma è ancora possibile fermarlo facendo di questo momento una grande occasione di ripensamento. 
È un momento anche di enorme responsabilità perché certe concitate parole, pronunciate dalle lingue sciolte, servono solo a risvegliare i nostri istinti più bassi, ad aizzare la bestia dell’odio che dorme in ognuno di noi ed a provocare quella cecità delle passioni che rende pensabile ogni misfatto e permette, a noi come ai nostri nemici, il suicidarsi e l’uccidere. «Conquistare le passioni mi pare di gran lunga più difficile che conquistare il mondo con la forza delle armi. Ho ancora un difficile cammino dinanzi a me», scriveva nel 1925 quella bell’anima di Gandhi. Ed aggiungeva: «Finché l’uomo non si metterà di sua volontà all’ultimo posto fra le altre creature sulla terra, non ci sarà per lui alcuna salvezza». E tu, Oriana, mettendoti al primo posto di questa crociata contro tutti quelli che non sono come te o che ti sono antipatici, credi davvero di offrirci salvezza? 
La salvezza non è nella tua rabbia accalorata, né nella calcolata campagna militare chiamata, tanto per rendercela più accettabile, «Libertà duratura». O tu pensi davvero che la violenza sia il miglior modo per sconfiggere la violenza? Da che mondo è mondo non c’è stata ancora la guerra che ha messo fine a tutte le guerre. Non lo sarà nemmeno questa. Quel che ci sta succedendo è nuovo. Il mondo ci sta cambiando attorno. 
Cambiamo allora il nostro modo di pensare, il nostro modo di stare al mondo. È una grande occasione. Non perdiamola: rimettiamo in discussione tutto, immaginiamoci un futuro diverso da quello che ci illudevamo d’aver davanti prima dell’11 settembre e soprattutto non arrendiamoci alla inevitabilità di nulla, tanto meno all’inevitabilità della guerra come strumento di giustizia o semplicemente di vendetta. Le guerre sono tutte terribili. Il moderno affinarsi delle tecniche di distruzione e di morte le rendono sempre più tali. Pensiamoci bene: se noi siamo disposti a combattere la guerra attuale con ogni arma a nostra disposizione, compresa quella atomica, come propone il Segretario alla Difesa americano, allora dobbiamo aspettarci che anche i nostri nemici, chiunque essi siano, saranno ancor più determinati di prima a fare lo stesso, ad agire senza regole, senza il rispetto di nessun principio. Se alla violenza del loro attacco alle Torri Gemelle noi risponderemo con una ancor più terribile violenza - ora in Afghanistan, poi in Iraq, poi chi sa dove -, alla nostra ne seguirà necessariamente una loro ancora più orribile e poi un’altra nostra e così via. Perché non fermarsi prima? Abbiamo perso la misura di chi siamo, il senso di quanto fragile ed interconnesso sia il mondo in cui viviamo, e ci illudiamo di poter usare una dose, magari «intelligente», di violenza per mettere fine alla terribile violenza altrui. Cambiamo illusione e, tanto per cominciare, chiediamo a chi fra di noi dispone di armi nucleari, armi chimiche e armi batteriologiche - Stati Uniti in testa - d’impegnarsi solennemente con tutta l’umanità a non usarle mai per primo, invece di ricordarcene minacciosamente la disponibilità. Sarebbe un primo passo in una nuova direzione. Non solo questo darebbe a chi lo fa un vantaggio morale - di per sé un’arma importante per il futuro -, ma potrebbe anche disinnescare l’orrore indicibile ora attivato dalla reazione a catena della vendetta. In questi giorni ho ripreso in mano un bellissimo libro (peccato che non sia ancora in italiano) di un vecchio amico, uscito due anni fa in Germania. Il libro si intitola Die Kunst, nicht regiert zu werden: ethische Politik von Sokrates bis Mozart (L’arte di non essere governati: l’etica politica da Socrate a Mozart). L’autore è Ekkehart Krippendorff, che ha insegnato per anni a Bologna prima di tornare all’Università di Berlino. 
La affascinante tesi di Krippendorff è che la politica, nella sua espressione più nobile, nasce dal superamento della vendetta e che la cultura occidentale ha le sue radici più profonde in alcuni miti, come quello di Caino e quello delle Erinni, intesi da sempre a ricordare all’uomo la necessità di rompere il circolo vizioso della vendetta per dare origine alla civiltà. Caino uccide il fratello, ma Dio impedisce agli uomini di vendicare Abele e, dopo aver marchiato Caino - un marchio che è anche una protezione -, lo condanna all’esilio dove quello fonda la prima città. 
La vendetta non è degli uomini, spetta a Dio. Secondo Krippendorff il teatro, da Eschilo a Shakespeare, ha avuto una funzione determinante nella formazione dell’uomo occidentale perché col suo mettere sulla scena tutti i protagonisti di un conflitto, ognuno col suo punto di vista, i suoi ripensamenti e le sue possibili scelte di azione, il teatro è servito a far riflettere sul senso delle passioni e sulla inutilità della violenza che non raggiunge mai il suo fine. Purtroppo, oggi, sul palcoscenico del mondo noi occidentali siamo insieme i soli protagonisti ed i soli spettatori, e così, attraverso le nostre televisioni ed i nostri giornali, non ascoltiamo che le nostre ragioni, non proviamo che il nostro dolore. A te, Oriana, i kamikaze non interessano. A me tanto invece. Ho passato giorni in Sri Lanka con alcuni giovani delle «Tigri Tamil», votati al suicidio. Mi interessano i giovani palestinesi di «Hamas» che si fanno saltare in aria nelle pizzerie israeliane. Un po’di pietà sarebbe forse venuta anche a te se in Giappone, sull’isola di Kyushu, tu avessi visitato Chiran, il centro dove i primi kamikaze vennero addestrati e tu avessi letto le parole, a volte poetiche e tristissime, scritte segretamente prima di andare, riluttanti, a morire per la bandiera e per l’Imperatore. I kamikaze mi interessano perché vorrei capire che cosa li rende così disposti a quell’innaturale atto che è il suicidio e che cosa potrebbe fermarli. 
Quelli di noi a cui i figli - fortunatamente - sono nati, si preoccupano oggi moltissimo di vederli bruciare nella fiammata di questo nuovo, dilagante tipo di violenza di cui l’ecatombe nelle Torri Gemelle potrebbe essere solo un episodio. Non si tratta di giustificare, di condonare, ma di capire. Capire, perché io sono convinto che il problema del terrorismo non si risolverà uccidendo i terroristi, ma eliminando le ragioni che li rendono tali. 
Niente nella storia umana è semplice da spiegare e fra un fatto ed un altro c’è raramente una correlazione diretta e precisa. Ogni evento, anche della nostra vita, è il risultato di migliaia di cause che producono, assieme a quell’evento, altre migliaia di effetti, che a loro volta sono le cause di altre migliaia di effetti. L’attacco alle Torri Gemelle è uno di questi eventi: il risultato di tanti e complessi fatti antecedenti. Certo non è l’atto di «una guerra di religione» degli estremisti musulmani per la conquista delle nostre anime, una Crociata alla rovescia, come la chiami tu, Oriana. Non è neppure «un attacco alla libertà ed alla democrazia occidentale», come vorrebbe la semplicistica formula ora usata dai politici. Un vecchio accademico dell’Università di Berkeley, un uomo certo non sospetto di anti-americanismo o di simpatie sinistrorse dà di questa storia una interpretazione completamente diversa. «Gli assassini suicidi dell’11 settembre non hanno attaccato l’America: hanno attaccato la politica estera americana», scrive Chalmers Johnson nel numero di The Nation del 15 ottobre. Per lui, autore di vari libri - l’ultimo, Blowback, contraccolpo, uscito l’anno scorso (in Italia edito da Garzanti ndr) ha del profetico - si tratterebbe appunto di un ennesimo «contraccolpo» al fatto che, nonostante la fine della Guerra Fredda e lo sfasciarsi dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti hanno mantenuto intatta la loro rete imperiale di circa 800 installazioni militari nel mondo. Con una analisi che al tempo della Guerra Fredda sarebbe parsa il prodotto della disinformazione del Kgb, Chalmers Johnson fa l’elenco di tutti gli imbrogli, complotti, colpi di Stato, delle persecuzioni, degli assassinii e degli interventi a favore di regimi dittatoriali e corrotti nei quali gli Stati Uniti sono stati apertamente o clandestinamente coinvolti in America Latina, in Africa, in Asia e nel Medio Oriente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi. 
Il «contraccolpo» dell’attacco alle Torri Gemelle ed al Pentagono avrebbe a che fare con tutta una serie di fatti di questo tipo: fatti che vanno dal colpo di Stato ispirato dalla Cia contro Mossadeq nel 1953, seguito dall’installazione dello Shah in Iran, alla Guerra del Golfo, con la conseguente permanenza delle truppe americane nella penisola araba, in particolare l’Arabia Saudita dove sono i luoghi sacri dell’Islam. Secondo Johnson sarebbe stata questa politica americana «a convincere tanta brava gente in tutto il mondo islamico che gli Stati Uniti sono un implacabile nemico». 
Così si spiegherebbe il virulento anti-americanismo diffuso nel mondo musulmano e che oggi tanto sorprende gli Stati Uniti ed i loro alleati. Esatta o meno che sia l’analisi di Chalmers Johnson, è evidente che al fondo di tutti i problemi odierni degli americani e nostri nel Medio Oriente c’è, a parte la questione israeliano-palestinese, la ossessiva preoccupazione occidentale di far restare nelle mani di regimi «amici», qualunque essi fossero, le riserve petrolifere della regione. Questa è stata la trappola. L’occasione per uscirne è ora. Perché non rivediamo la nostra dipendenza economica dal petrolio? Perché non studiamo davvero, come avremmo potuto già fare da una ventina d’anni, tutte le possibili fonti alternative di energia? Ci eviteremmo così d’essere coinvolti nel Golfo con regimi non meno repressivi ed odiosi dei talebani; ci eviteremmo i sempre più disastrosi «contraccolpi» che ci verranno sferrati dagli oppositori a quei regimi, e potremmo comunque contribuire a mantenere un migliore equilibrio ecologico sul pianeta. Magari salviamo così anche l’Alaska che proprio un paio di mesi fa è stata aperta ai trivellatori, guarda caso dal presidente Bush, le cui radici politiche - tutti lo sanno - sono fra i petrolieri. A proposito del petrolio, Oriana, sono certo che anche tu avrai notato come, con tutto quel che si sta scrivendo e dicendo sull’Afghanistan, pochissimi fanno notare che il grande interesse per questo paese è legato al fatto d’essere il passaggio obbligato di qualsiasi conduttura intesa a portare le immense risorse di metano e petrolio dell’Asia Centrale (vale a dire di quelle repubbliche ex-sovietiche ora tutte, improvvisamente, alleate con gli Stati Uniti) verso il Pakistan, l’India e da lì nei paesi del Sud Est Asiatico. Il tutto senza dover passare dall’Iran. Nessuno in questi giorni ha ricordato che, ancora nel 1997, due delegazioni degli «orribili» talebani sono state ricevute a Washington (anche al Dipartimento di Stato) per trattare di questa faccenda e che una grande azienda petrolifera americana, la Unocal, con la consulenza niente di meno che di Henry Kissinger, si è impegnata col Turkmenistan a costruire quell’oleodotto attraverso l’Afghanistan. È dunque possibile che, dietro i discorsi sulla necessità di proteggere la libertà e la democrazia, l’imminente attacco contro l’Afghanistan nasconda anche altre considerazioni meno altisonanti, ma non meno determinanti. 
È per questo che nell’America stessa alcuni intellettuali cominciano a preoccuparsi che la combinazione fra gli interessi dell’industria petrolifera con quelli dell’industria bellica - combinazione ora prominentemente rappresentata nella compagine al potere a Washington - finisca per determinare in un unico senso le future scelte politiche americane nel mondo e per limitare all’interno del paese, in ragione dell’emergenza anti-terrorismo, i margini di quelle straordinarie libertà che rendono l’America così particolare. Il fatto che un giornalista televisivo americano sia stato redarguito dal pulpito della Casa Bianca per essersi chiesto se l’aggettivo «codardi», usato da Bush, fosse appropriato per i terroristi-suicidi, così come la censura di certi programmi e l’allontanamento da alcuni giornali, di collaboratori giudicati non ortodossi, hanno aumentato queste preoccupazioni. L’aver diviso il mondo in maniera - mi pare - «talebana», fra «quelli che stanno con noi e quelli contro di noi», crea ovviamente i presupposti per quel clima da caccia alle streghe di cui l’America ha già sofferto negli anni Cinquanta col maccartismo, quando tanti intellettuali, funzionari di Stato ed accademici, ingiustamente accusati di essere comunisti o loro simpatizzanti, vennero perseguitati, processati e in moltissimi casi lasciati senza lavoro. Il tuo attacco, Oriana - anche a colpi di sputo - alle «cicale» ed agli intellettuali «del dubbio» va in quello stesso senso. 
Dubitare è una funzione essenziale del pensiero; il dubbio è il fondo della nostra cultura. Voler togliere il dubbio dalle nostre teste è come volere togliere l’aria ai nostri polmoni. Io non pretendo affatto d’aver risposte chiare e precise ai problemi del mondo (per questo non faccio il politico), ma penso sia utile che mi si lasci dubitare delle risposte altrui e mi si lasci porre delle oneste domande. In questi tempi di guerra non deve essere un crimine parlare di pace. Purtroppo anche qui da noi, specie nel mondo «ufficiale» della politica e dell’establishment mediatico, c’è stata una disperante corsa alla ortodossia. È come se l’America ci mettesse già paura. Capita così di sentir dire in televisione a un post-comunista in odore di una qualche carica nel suo partito, che il soldato Ryan è un importante simbolo di quell’America che per due volte ci ha salvato. Ma non c’era anche lui nelle marce contro la guerra americana in Vietnam? 
Per i politici - me ne rendo conto - è un momento difficilissimo. Li capisco e capisco ancor più l’angoscia di qualcuno che, avendo preso la via del potere come una scorciatoia per risolvere un piccolo conflitto di interessi terreni si ritrova ora alle prese con un enorme conflitto di interessi divini, una guerra di civiltà combattuta in nome di Iddio e di Allah. No. Non li invidio, i politici. Siamo fortunati noi, Oriana. Abbiamo poco da decidere e non trovandoci in mezzo ai flutti del fiume, abbiamo il privilegio di poter stare sulla riva a guardare la corrente. Ma questo ci impone anche grandi responsabilità come quella, non facile, di andare dietro alla verità e di dedicarci soprattutto «a creare campi di comprensione, invece che campi di battaglia», come ha scritto Edward Said, professore di origine palestinese ora alla Columbia University, in un saggio sul ruolo degli intellettuali uscito proprio una settimana prima degli attentati in America. 
Il nostro mestiere consiste anche nel semplificare quel che è complicato. Ma non si può esagerare, Oriana, presentando Arafat come la quintessenza della doppiezza e del terrorismo ed indicando le comunità di immigrati musulmani da noi come incubatrici di terroristi. Le tue argomentazioni verranno ora usate nelle scuole contro quelle buoniste, da libro Cuore, ma tu credi che gli italiani di domani, educati a questo semplicismo intollerante, saranno migliori? 
Non sarebbe invece meglio che imparassero, a lezione di religione, anche che cosa è l’Islam? Che a lezione di letteratura leggessero anche Rumi o il da te disprezzato Omar Kayan? Non sarebbe meglio che ci fossero quelli che studiano l’arabo, oltre ai tanti che già studiano l’inglese e magari il giapponese? 
Lo sai che al ministero degli Esteri di questo nostro paese affacciato sul Mediterraneo e sul mondo musulmano, ci sono solo due funzionari che parlano arabo? Uno attualmente è, come capita da noi, console ad Adelaide in Australia. Mi frulla in testa una frase di Toynbee: «Le opere di artisti e letterati hanno vita più lunga delle gesta di soldati, di statisti e mercanti. I poeti ed i filosofi vanno più in là degli storici. Ma i santi e i profeti valgono di più di tutti gli altri messi assieme». Dove sono oggi i santi ed i profeti? Davvero, ce ne vorrebbe almeno uno! Ci rivorrebbe un San Francesco. Anche i suoi erano tempi di crociate, ma il suo interesse era per «gli altri», per quelli contro i quali combattevano i crociati. Fece di tutto per andarli a trovare. 
Ci provò una prima volta, ma la nave su cui viaggiava naufragò e lui si salvò a malapena. 
Ci provò una seconda volta, ma si ammalò prima di arrivare e tornò indietro. Finalmente, nel corso della quinta crociata, durante l’assedio di Damietta in Egitto, amareggiato dal comportamento dei crociati («vide il male ed il peccato»), sconvolto da una spaventosa battaglia di cui aveva visto le vittime, San Francesco attraversò le linee del fronte. 
Venne catturato, incatenato e portato al cospetto del Sultano. Peccato che non c’era ancora la Cnn - era il 1219 - perché sarebbe interessantissimo rivedere oggi il filmato di quell’incontro. Certo fu particolarissimo perché, dopo una chiacchierata che probabilmente andò avanti nella notte, al mattino il Sultano lasciò che San Francesco tornasse, incolume, all’accampamento dei crociati. 
Mi diverte pensare che l’uno disse all’altro le sue ragioni, che San Francesco parlò di Cristo, che il Sultano lesse passi del Corano e che alla fine si trovarono d’accordo sul messaggio che il poverello di Assisi ripeteva ovunque: «Ama il prossimo tuo come te stesso». Mi diverte anche immaginare che, siccome il frate sapeva ridere come predicare, fra i due non ci fu aggressività e che si lasciarono di buon umore sapendo che comunque non potevano fermare la storia. 
Ma oggi? Non fermarla può voler dire farla finire. 
Ti ricordi, Oriana, Padre Balducci che predicava a Firenze quando noi eravamo ragazzi? Riguardo all’orrore dell’olocausto atomico pose una bella domanda: «La sindrome da fine del mondo, l’alternativa fra essere e non essere, hanno fatto diventare l’uomo più umano?». A guardarsi intorno la risposta mi pare debba essere «No». Ma non possiamo rinunciare alla speranza. «Mi dica, che cosa spinge l’uomo alla guerra?», chiedeva Albert Einstein nel 1932 in una lettera a Sigmund Freud. «È possibile dirigere l’evoluzione psichica dell’uomo in modo che egli diventi più capace di resistere alla psicosi dell’odio e della distruzione?» Freud si prese due mesi per rispondergli. La sua conclusione fu che c’era da sperare: l’influsso di due fattori - un atteggiamento più civile, ed il giustificato timore degli effetti di una guerra futura - avrebbe dovuto mettere fine alle guerre in un prossimo avvenire. 
Giusto in tempo la morte risparmiò a Freud gli orrori della Seconda Guerra Mondiale. 
Non li risparmiò invece ad Einstein, che divenne però sempre più convinto della necessità del pacifismo. Nel 1955, poco prima di morire, dalla sua casetta di Princeton in America dove aveva trovato rifugio, rivolse all’umanità un ultimo appello per la sua sopravvivenza: «Ricordatevi che siete uomini e dimenticatevi tutto il resto». 
Per difendersi, Oriana, non c’è bisogno di offendere (penso ai tuoi sputi ed ai tuoi calci). 
Per proteggersi non c’è bisogno d’ammazzare. Ed anche in questo possono esserci delle giuste eccezioni. M’è sempre piaciuta nei Jataka, le storie delle vite precedenti di Buddha, quella in cui persino lui, epitome della non violenza, in una incarnazione anteriore uccide. Viaggia su una barca assieme ad altre 500 persone. 
Lui, che ha già i poteri della preveggenza, «vede» che uno dei passeggeri, un brigante, sta per ammazzare tutti e derubarli e lui lo previene buttandolo nell’acqua ad affogare per salvare gli altri. 
Essere contro la pena di morte non vuol dire essere contro la pena in genere ed in favore della libertà di tutti i delinquenti. Ma per punire con giustizia occorre il rispetto di certe regole che sono il frutto dell’incivilimento, occorre il convincimento della ragione, occorrono delle prove. 
I gerarchi nazisti furono portati dinanzi al Tribunale di Norimberga; quelli giapponesi responsabili di tutte le atrocità commesse in Asia, furono portati dinanzi al Tribunale di Tokio prima di essere, gli uni e gli altri, dovutamente impiccati. 
Le prove contro ognuno di loro erano schiaccianti. Ma quelle contro Osama Bin Laden? «Noi abbiamo tutte le prove contro Warren Anderson, presidente della Union Carbide. Aspettiamo che ce lo estradiate», scrive in questi giorni dall’India agli americani, ovviamente a mo’di provocazione, Arundhati Roy, la scrittrice de Il Dio delle piccole cose: una come te, Oriana, famosa e contestata, amata e odiata. 
Come te, sempre pronta a cominciare una rissa, la Roy ha usato della discussione mondiale su Osama Bin Laden per chiedere che venga portato dinanzi ad un tribunale indiano il presidente americano della Union Carbide responsabile dell’esplosione nel 1984 nella fabbrica chimica di Bhopal in India che fece 16.000 morti. Un terrorista anche lui? Dal punto di vista di quei morti forse sì. L’immagine del terrorista che ora ci viene additata come quella del «nemico» da abbattere è il miliardario saudita che, da una tana nelle montagne dell’Afghanistan, ordina l’attacco alle Torri Gemelle; è l’ingegnere-pilota, islamista fanatico, che in nome di Allah uccide se stesso e migliaia di innocenti; è il ragazzo palestinese che con una borsetta imbottita di dinamite si fa esplodere in mezzo ad una folla. 
Dobbiamo però accettare che per altri il «terrorista» possa essere l’uomo d’affari che arriva in un paese povero del Terzo Mondo con nella borsetta non una bomba, ma i piani per la costruzione di una fabbrica chimica che, a causa di rischi di esplosione ed inquinamento, non potrebbe mai essere costruita in un paese ricco del Primo Mondo. 
E la centrale nucleare che fa ammalare di cancro la gente che ci vive vicino? 
E la diga che disloca decine di migliaia di famiglie? O semplicemente la costruzione di tante piccole industrie che cementificano risaie secolari, trasformando migliaia di contadini in operai per produrre scarpe da ginnastica o radioline, fino al giorno in cui è più conveniente portare quelle lavorazioni altrove e le fabbriche chiudono, gli operai restano senza lavoro e non essendoci più i campi per far crescere il riso, muoiono di fame? Questo non è relativismo. Voglio solo dire che il terrorismo, come modo di usare la violenza, può esprimersi in varie forme, a volte anche economiche, e che sarà difficile arrivare ad una definizione comune del nemico da debellare. 
I governi occidentali oggi sono uniti nell’essere a fianco degli Stati Uniti; pretendono di sapere esattamente chi sono i terroristi e come vanno combattuti. Molto meno convinti però sembrano i cittadini dei vari paesi. 
Per il momento non ci sono state in Europa dimostrazioni di massa per la pace; ma il senso del disagio è diffuso così come è diffusa la confusione su quel che si debba volere al posto della guerra. «Dateci qualcosa di più carino del capitalismo», diceva il cartello di un dimostrante in Germania. «Un mondo giusto non è mai NATO», c’era scritto sullo striscione di alcuni giovani che marciavano giorni fa a Bologna. Già. Un mondo «più giusto» è forse quel che noi tutti, ora più che mai, potremmo pretendere. Un mondo in cui chi ha tanto si preoccupa di chi non ha nulla; un mondo retto da principi di legalità ed ispirato ad un po’più di moralità. La vastissima, composita alleanza che Washington sta mettendo in piedi, rovesciando vecchi schieramenti e riavvicinando paesi e personaggi che erano stati messi alla gogna, solo perché ora tornano comodi, è solo l’ennesimo esempio di quel cinismo politico che oggi alimenta il terrorismo in certe aree del mondo e scoraggia tanta brava gente nei nostri paesi. 
Gli Stati Uniti, per avere la maggiore copertura possibile e per dare alla guerra contro il terrorismo un crisma di legalità internazionale, hanno coinvolto le Nazioni Unite, eppure gli Stati Uniti stessi rimangono il paese più reticente a pagare le proprie quote al Palazzo di Vetro, sono il paese che non ha ancora ratificato né il trattato costitutivo della Corte Internazionale di Giustizia, né il trattato per la messa al bando delle mine anti-uomo e tanto meno quello di Kyoto sulle mutazioni climatiche. L’interesse nazionale americano ha la meglio su qualsiasi altro principio. Per questo ora Washington riscopre l’utilità del Pakistan, prima tenuto a distanza per il suo regime militare e punito con sanzioni economiche a causa dei suoi esperimenti nucleari; per questo la Cia sarà presto autorizzata di nuovo ad assoldare mafiosi e gangster cui affidare i «lavoretti sporchi» di liquidare qua e là nel mondo le persone che la Cia stessa metterà sulla sua lista nera. Eppure un giorno la politica dovrà ricongiungersi con l’etica se vorremo vivere in un mondo migliore: migliore in Asia come in Africa, a Timbuctu come a Firenze. A proposito, Oriana. 
Anche a me ogni volta che, come ora, ci passo, questa città mi fa male e mi intristisce. Tutto è cambiato, tutto è involgarito. Ma la colpa non è dell’Islam o degli immigrati che ci si sono installati. Non son loro che han fatto di Firenze una città bottegaia, prostituita al turismo! È successo dappertutto. Firenze era bella quando era più piccola e più povera. Ora è un obbrobrio, ma non perché i musulmani si attendano in Piazza del Duomo, perché i filippini si riuniscono il giovedì in Piazza Santa Maria Novella e gli albanesi ogni giorno attorno alla stazione. È così perché anche Firenze s’è «globalizzata», perché non ha resistito all’assalto di quella forza che, fino ad ieri, pareva irresistibile: la forza del mercato. Nel giro di due anni da una bella strada del centro in cui mi piaceva andare a spasso è scomparsa una libreria storica, un vecchio bar, una tradizionalissima farmacia ed un negozio di musica. Per far posto a che? A tanti negozi di moda. 
Credimi, anch’io non mi ci ritrovo più. Per questo sto, anch’io ritirato, in una sorta di baita nell’Himalaya indiana dinanzi alle più divine montagne del mondo. 
Passo ore, da solo, a guardarle, lì maestose ed immobili, simbolo della più grande stabilità, eppure anche loro, col passare delle ore, continuamente diverse e impermanenti come tutto in questo mondo. 
La natura è una grande maestra, Oriana, e bisogna ogni tanto tornarci a prendere lezione. 
Tornaci anche tu. Chiusa nella scatola di un appartamento dentro la scatola di un grattacielo, con dinanzi altri grattacieli pieni di gente inscatolata, finirai per sentirti sola davvero; sentirai la tua esistenza come un accidente e non come parte di un tutto molto, molto più grande di tutte le torri che hai davanti e di quelle che non ci sono più. 
Guarda un filo d’erba al vento e sentiti come lui. Ti passerà anche la rabbia. 
Ti saluto, Oriana e ti auguro di tutto cuore di trovare pace. Perché se quella non è dentro di noi non sarà mai da nessuna parte.

- Tiziano Terzani - 
(Grazie per l'autorizzazione al Portale RayPlay)


Buona giornata a tutti :-)







giovedì 29 giugno 2023

Le uniche armi: sciopero e voto - don Lorenzo Milani

"Non discuterò qui l’idea di Patria in sé, non mi piacciono queste divisioni. Se voi però avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati ed oppressori dall’ altro. 
Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi, e almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto".

(don Lorenzo Milani)


 

"In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo d’amare la legge è d’obbedirla. 
Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). 
Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perchè siano cambiate". 

(don Lorenzo Milani)


" Si può fare politica al di fuori della libertà o al di fuori del concetto di libertà o al di fuori della ricerca della libertà?"

" Sì, in effetti ho un concetto di politica elevato. O se preferite, molto ingenuo, che Dio benedica gli ingenui. 

L'uomo che ho amato, l'uomo sul quale scrissi questo libro, "Un uomo", Alekos Panagulis, soleva ripetere che la politica è un dovere del cittadino. 

Un dovere, prima di essere un diritto. 

E tra l'altro, lo stesso diceva della libertà: "La libertà è un dovere, prima di essere un diritto."

Bè, io concordo pienamente: si può fare politica al di fuori della libertà o al di fuori del concetto di libertà o o al di fuori della ricerca di libertà? Ma, soprattutto, concordo con la scelta del termine "dovere". 

Se una persona non sente questo dovere, vi dico che non è un cittadino. 

Non è neppure un uomo, non è neppure una donna, ma un vegetale che vegeta in attesa di morire, per essere divorato come un soufflè di spinaci o un'insalata dagli impostori, dai tiranni, dai signori della guerra. E dovremmo starcene come vegetali ad assistere ai loro dannati omicidi, in attesa di essere uccisi nelle loro dannate guerre (diciamo dalla Terza guerra mondiale), senza protestare, senza intervenire, senza fare politica o essere politici?" 

 - Oriana Fallaci, dalla conferenza tenuta il 27 gennaio 1983 al Annemberg Center for Health Sciences, Rancho Mirage , California in Oriana Fallaci " Il mio cuore è più stanco della mia voce" 



Buona giornata a tutti :-)










domenica 25 giugno 2023

Tracce maturità 2023: meno male che c'è lei - da: Oriana Fallaci

 "Quando mi presentai alla prova scritta, il tema di italiano, non ricordavo neanche chi fosse Dante Alighieri. I miei piedi erano ghiacci, lo stomaco contratto mi rimandava in bocca il sapore dello zabaglione che la mamma mi aveva imposto per "tirarmi su", l'angoscia mi strozzava. Ma poi ci comunicarono il tema: "Il concetto di patria dalla polis greca ad oggi". E fu peggio che dar fuoco alle polveri delle mie infantili rivolte, delle mie infantili utopie. 
Il freddo sparì, insieme al sapore di zabaglione, l'angoscia dileguò. Brandii la stilografica, mi gettai come un lupo ringhioso sul foglio protocollo, e questo (più o meno) è il riassunto di ciò che scrissi per otto colonne piene.
"Patria, che vuol dire patria. La patria di chi? 
La patria degli schiavi e dei cittadini che possedevan gli schiavi? 
La patria di Meleto o la patria di Socrate messo a morte con le leggi della patria? 
La patria degli ateniesi o la patria degli spartani che parlavano la stessa lingua degli ateniesi però si squartavano tra loro come molti secoli dopo avrebbero fatto i fiorentini e i senesi, i veneziani e i genovesi, i fascisti e gli antifascisti? 
E' da quando ho imparato a leggere che mi si parla di patria: amor patrio, orgoglio patrio, patria bandiera. E ancora non ho capito cosa vuol dire. 
Anche Mussolini parlava di patria, anche i repubblichini che nel marzo del '44 arrestarono mio padre e fracassandolo di botte gli gridavano se-non-confessi-domattina-ti-fuciliamo-al-Parterre. Anche Hitler. Anche Vittorio Emanuele III e Badoglio. Era patria la loro o la mia? E per i francesi la patria qual è? Quella di De Gaulle o quella di Pétain? 
E per i russi del '17 qual era? Quella di Lenin o quella dello zar? 
Io ne ho abbastanza di questa parola in nome della quale si scanna e si muore. La mia patria è il mondo e non mi riconosco nei costumi e nella lingua e nei confini dentro cui il caso mi ha fatto nascere."

- Oriana Fallaci - 🌹

 


«La storia è fatta da tutti o da pochi? Dipende da leggi universali o da alcuni individui e basta?
È un vecchio dilemma, lo so, che nessuno ha risolto e nessuno risolverà mai. È anche una vecchia trappola in cui cadere è pericolosissimo perché ogni risposta porta in sé la sua contraddizione. Non a caso molti rispondono col compromesso e sostengono che la storia è fatta da tutti e da pochi, che i pochi emergono fino al comando perché nascono al momento giusto e sanno interpretarlo. Forse. Ma chi non si illude sulla tragedia assurda della vita è portato piuttosto a seguire Pascal quando dice che, se il naso di Cleopatra fosse stato più corto, l’intera faccia della Terra sarebbe cambiata; è portato piuttosto a temere ciò che temeva Bertrand Russell quando scriveva: «Lascia perdere, quel che accade nel mondo non dipende da te. 
Dipende dal signor Krusciov, dal signor Mao Tse-tung, dal signor Foster Dulles. Se loro dicono “morite” noi morremo, se loro dicono “vivete” noi vivremo». 
Non riesco a dargli torto. 
Non riesco a escludere insomma che la nostra esistenza sia decisa da pochi, dai bei sogni o dai capricci di pochi, dall’iniziativa o dall’arbitrio di pochi. 
Quei pochi che attraverso le idee, le scoperte, le rivoluzioni, le guerre, addirittura un semplice gesto, l’uccisione di un tiranno, cambiano il corso delle cose e il destino della maggioranza. Certo è un’ipotesi atroce. 
È un pensiero che offende perché, in tal caso, noi che diventiamo? 
Greggi impotenti nelle mani di un pastore ora nobile ora infame? Materiale di contorno, foglie trascinate dal vento?»

- Oriana Fallaci -
da: Intervista con la storia


Nei regimi dittatoriali o assolutisti, spiega Tocqueville, il dispotismo colpisce grossolanamente il corpo. 
Lo incatena, lo sevizia, lo sopprime con gli arresti e le torture, le prigioni e le Inquisizioni. 
Con le decapitazioni, le impiccagioni, le fucilazioni, le lapidazioni. 
E così facendo ignora l' anima che intatta può levarsi sulle carni martoriate, trasformare la vittima in eroe. 
Nei regimi inertemente democratici, al contrario, il dispotismo ignora il corpo e si accanisce sull' anima. 
Perché è l' anima che vuole incatenare, seviziare, sopprimere. 
Alla vittima, infatti, non dice: «O la pensi come me o muori». 
Dice: «Scegli. Sei libero di non pensare o di pensarla come me. E se la penserai in maniera diversa da me, io non ti punirò con gli autodafé. Il tuo corpo non lo toccherò, i tuoi beni non li confischerò, i tuoi diritti politici non li lederò. Potrai addirittura votare. Ma non potrai essere votato perché io sosterrò che sei un essere impuro, un pazzo o un delinquente. Ti condannerò alla morte civile, ti renderò un fuorilegge, e la gente non ti ascolterà. Anzi, per non essere a loro volta puniti coloro che la pensano come te ti abbandoneranno». 
Poi aggiunge che nelle democrazie inanimate, nei regimi inertemente democratici, tutto si può dire fuorché la verità.

Tutto si può esprimere, tutto si può diffondere, fuorché il pensiero che denuncia la verità. Perché la verità mette con le spalle al muro. Fa paura. 

I più cedono alla paura e, per paura, intorno al pensiero che denuncia la verità tracciano un cerchio invalicabile. 
Un' invisibile ma insormontabile barriera all' interno della quale si può soltanto tacere o unirsi al coro. 
Se lo scrittore scavalca quel cerchio, supera quella barriera, il castigo scatta alla velocità della luce. 
Peggio: a farlo scattare son proprio coloro che in segreto la pensano come lui ma che per prudenza si guardano bene dal contestare chi lo anatemizza e lo scomunica. 
Infatti per un po' tergiversano, danno un colpo al cerchio ed uno alla botte. Poi tacciono e terrorizzati dal rischio che anche quell' ambiguità comporta s' allontanano in punta di piedi, abbandonano il reo alla sua sorte. 
In sostanza, quel che fanno gli apostoli quando abbandonano Cristo arrestato per volontà del Sinedrio e lo lasciano solo anche dopo la carognata di Caifa cioè durante la Via Crucis.

- Oriana Fallaci - 
da: La forza della Ragione


Buona giornata a tutti :-)



venerdì 28 maggio 2021

È in atto una strage di innocenti (2005)– Oriana Fallaci

 "There are moments in Life when keeping silent becomes a fault, and speaking an obligation. A civic duty, a moral challenge, a categorical imperative from which we cannot escape." Oriana Fallaci


No, non mi piace questo referendum al quale i mecenati dei dottor Frankenstein voteranno per semplice partigianeria politica o miopia morale. Ossia senza ragionare con la propria testa, senza ascoltare la propria coscienza, magari senza conoscere il significato delle parole staminale, ovocita, blastocita, eterologo, clonazione, e certo senza chiedersi o senza capire che cosa v' è dietro l' offensiva per la libertà illimitata della ricerca scientifica.
Infatti il 12 giugno non userò la scheda elettorale, e con tutto il cuore mi auguro che l' offensiva fallisca penosamente.
Auspicio rafforzatosi quando al Liceo Mamiani di Roma il più autorevole promotore dei quattro quesiti referendari ha scandito una battuta che sembra una facezia da capocomico del vecchio theatre varieté: « Se l' embrione è vita, masturbarsi è suicidio » .
(Signor mio, anziché di masturbazione a quei liceali io avrei parlato di Libertà. Gli avrei ricordato quel che dice Platone quando nel Libro VIII de La Repubblica scrive che dalla libertà degenerata in licenza nasce e si sviluppa una malapianta: la malapianta della tirannia. Infatti qui non si tratta di masturbarsi. Si tratta di spiegare alla gente che la libertà illimitata cioè privata d' ogni freno e d' ogni senso morale non è più Libertà ma licenza. Incoscienza, arbitrio.  Si tratta di chiarire che per mantenere la Libertà, proteggere la Libertà, alla libertà bisogna porre limiti col raziocinio e il buon senso. Con l' etica. Si tratta di riconoscere la differenza che passa tra lecito e illecito).  
Non mi piace, questo referendum, perché a parte l' astuto ricatto con cui la cosiddetta clonazione terapeutica giustifica le sue nequizie cioè promette di guarire le malattie, a parte l' ovvio tornaconto di chi con quel ricatto si riempie le tasche (ad esempio l' industria farmaceutica il cui cinismo supera il cinismo dei mercanti d' armi), dietro questo referendum v' è un progetto anzi un proposito inaccettabile e terrificante.
Il progetto di reinventare l' Uomo in laboratorio, trasformarlo in un prodotto da vendere come una bistecca o una bomba.
Il proposito di sostituirsi alla Natura, manipolare la Natura, cambiare anzi sfigurare le radici della Vita, disumanizzarla massacrando le creature più inermi e indifese.
Cioè i nostri figli mai nati, i nostri futuri noi stessi, gli embrioni umani che dormono nei congelatori delle banche o degli Istituti di Ricerca.
Massacrarli riducendoli a farmaci da iniettare o da trangugiare, oppure facendoli crescere quel tanto che basta per macellarli come si macella un bove o un agnello, poi ricavarne tessuti e organi da vendere come si vendono i pezzi di ricambio per un' automobile.
Tutto ciò mi ricorda il Mondo Nuovo di Huxley, sì, l' abominevole mondo degli uomini Alfa e Beta e Gamma, ma soprattutto mi ricorda le oscenità dell' eugenetica con cui Hitler sognava di creare una società costituita soltanto da biondi con gli occhi azzurri.
Mi ricorda i campi di Auschwitz e di Mauthausen, di Dachau e di Birkenau dove, per affrettare la produzione della razza ariana ossia intensificare i parti gemellari delle bionde con gli occhi azzurri, il dottor Mengele conduceva gli esperimenti sui bambini gemelli. Grazie all'illimitata libertà di ricerca concessagli da Hitler li martirizzava, li assassinava, a volte li vivisezionava.
Dunque bando alle chiacchiere e alle ipocrisie: se al posto di Birkenau e Dachau eccetera ci metti gli Istituti di Ricerca gestiti dalla democrazia, se al posto dei gemelli vivisezionati da Mengele ci metti gli embrioni umani che dormono nei congelatori, il discorso non cambia.
Non a caso, quando otto anni fa gli inglesi crearono la pecora Dolly, invece di esaltarmi ebbi un brivido d' orrore e dissi: « Siamo fritti. Qui ci ritroviamo con una società fatta di cloni. Qui si torna al nazismo » . Frankenstein e i loro mecenati ( giuristi, giornalisti, editorialisti, attrici, filosofi, grilli canterini, membri dell' Accademia dei Lincei, politici in cerca di voti, medici in cerca di gloria) non vogliono sentirselo dire quel « Siamo fritti, qui ci ritroviamo con una società fatta di cloni, qui si torna al nazismo » .
Quando porti il discorso su Hitler e sul nazismo, su Mengele, fanno gli offesi anzi gli scandalizzati.
Cianciano di pregiudizi, protestano che il paragone è illegittimo. Poi nel più tipico stile bolscevico ti mettono alla gogna.


(Fallaci Oriana)
da: Noi I cannibali e figli di Medea (2005)




Con ogni uomo viene al mondo qualcosa di nuovo che non è mai esistito, qualcosa di primo e unico.

- Martin Buber -






Molte donne si chiedono: metter al mondo un figlio, perché? Perché abbia fame, perché abbia freddo, perché venga tradito ed offeso, perché muoia ammazzato alla guerra o da una malattia? 
E negano la speranza che la sua fame sia saziata, che il suo freddo sia scaldato, che la fedeltà e il rispetto gli siano amici, che viva a lungo per tentar di cancellare le malattie e la guerra.




Maria, Madre dei bimbi non nati


Madre di bimbi non nati,

accogli nel tuo grembo verginale 
tutti i piccoli uccisi dall'umana crudeltà.

Il Tuo Cuore Immacolato e Addolorato 
ottenga Divina Misericordia per i piccoli martiri innocenti 
e grazia di contrizione per quelli che hanno praticato 
e collaborato alla loro uccisione.

Prega per tutti, Santa Madre di Dio 
e perdonaci perchè abbiamo peccato 
contro Dio e contro di Te.
Amen.




Buona giornata a tutti. :-)




sabato 9 novembre 2019

Oriana e "quel fallito Club Finanziario che chiamano Unione Europea" - Oriana Fallaci

"Care cicale inglesi, francesi, tedesche, spagnole, olandesi, ungheresi, scandinave, eccetera eccetera amen: non gongolate troppo per i miei vituperi contro l'Italia che non è la mia Italia.
I vostri paesi non sono mica migliori del mio. Nove casi su dieci ne sono, ahimè, sgomentevoli copie.
Quasi tutto ciò che ho detto sugli italiani vale anche per voi che siete fatte, siete fatti, della medesima pasta.
In quel senso apparteniamo davvero a una grande famiglia...
Uguali le colpe, le codardie, le ipocrisie. Uguali le cecità, le meschinità, le miserie. Uguali i leader di destra e di sinistra, uguale l'arroganza dei loro seguaci. Uguale la presunzione e il voltagabbanismo e il terrorismo intellettuale. Uguale la demagogia.
Per rendercene conto basta dare un'occhiata a quel fallito Club Finanziario che chiamano Unione Europea e che non si capisce a cosa serva fuorché ad imporci la stupidaggine detta Moneta Unica e a rubarci il parmigiano e il gorgonzola. A impedirci di bere il nostro latte e mangiare la nostra cioccolata. Ad abolire settanta razze canine, (tutti-i-cani-sono-uguali), a uniformare i sedili degli aerei, nonché a pagare stipendi favolosi ed esenti da tasse ai suoi parlamentari. 
Quella deludente Unione Europea che parla inglese e francese, mai che parli l'italiano o il fiammingo o che so io, e dove comanda la solita cioè centenaria troika Francia-Inghilterra-Germania. 
Quell'ambigua Unione Europea che masochisticamente ospita dieci milioni di mussulmani, che ama fornicare coi paesi arabi, intascare i loro petrodollari.
Quella stupida Europa che parla di «identità-culturale» col Medio Oriente. (Cosa significa identità-culturale col Medio Oriente, perdio?!?
Dov'è l'identità-culturale col Medio Oriente,accidenti?!?Alla Mecca? A Betlemme, a Damasco, a Beirut? Al Cairo, a Teheran, a Bagdad, a Kabul?!?). Quella infuriante menzogna alla quale insieme coi parmigiano e il gorgonzola l'Italia sta sacrificando la propria lingua, la propria identità nazionale, la stessa speranza di non essere più considerata un paese di seconda o di terza categoria."

- Oriana Fallaci -
Fonte: La Rabbia e L’Orgoglio


Soffre perché l'umanità è una razza antipaticissima, un'assemblea di ignoranti che a un giovane non insegnano nemmeno un po' di educazione sentimentale. Gli insegnano che due più due fa quattro, che Parigi si trova in Francia, che Cleopatra stava in Egitto, e non che cos'è l'amore. 
Tutt'al più gli parlan del sesso: manco un rapporto si misurasse col sesso, o si esprimesse col sesso e basta. Perdirindina! 
Lo aveva dovuto capire da sé che con una donna ci devi anche ragionare, che incontrare l'anima gemella significa trovare qualcuno che va per la tua strada, che insomma un bel culino non basta.

- Oriana Fallaci -



"Il declino dell'intelligenza è declino della Ragione. E tutto ciò che oggi accade in Europa, in Eurabia, ma soprattutto in Italia è declino della Ragione. Prima d'essere eticamente sbagliato è intellettualmente sbagliato. 
Contro Ragione. 
Illudersi che esista un Islam buono e un Islam cattivo ossia non capire che esiste un Islam e basta, che tutto l'Islam è uno stagno e che di questo passo finiamo con l'affogar dentro lo stagno, è contro Ragione. 
Non difendere il proprio territorio, la propria casa, i propri figli, la propria dignità, la propria essenza, è contro Ragione. 
Accettare passivamente le sciocche o ciniche menzogne che ci vengono somministrate come l'arsenico nella minestra è contro Ragione. 
Assuefarsi, rassegnarsi, arrendersi per viltà o per pigrizia è contro Ragione. Morire di sete e di solitudine in un deserto sul quale il Sole di Allah brilla al posto del Sol dell'Avvenir è contro Ragione. 
E contro Ragione anche sperare che l'incendio si spenga da sé grazie a un temporale o a un miracolo della Madonna."


- Oriana Fallaci -




Buona giornata a tutti. :-)

www.leggoerifletto.it

Iscriviti al mio canale YouTube:
https://www.youtube.com/channel/UCyruO4BCbxhVZp59h8WGwNg