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sabato 4 novembre 2023

San Carlo Borromeo, il primo miracolo dopo due giorni dalla sua morte!!!

 San Carlo Borromeo fu canonizzato da papa Paolo V con una solenne – forse sarebbe meglio scrivere: grandiosa – celebrazione in San Pietro il 1° novembre 1610.

Era morto appena ventisei anni prima, all’alba del  3 novembre 1584, a quarantasei anni d’età, e – come scrive la Lettera Remissoria per la sua canonizzazione –

“udita la notizia della sua morte, il lutto della città di Milano fu simile a quello che vi è solitamente in occasione della grandi calamità. Tutti, infatti, si disperarono, soprattutto quelli che ricevevano benefici da lui, e, in primo luogo, i poveri.”

Due giorni dopo la sua morte si ebbe notizia del primo miracolo attribuito alla sua intercessione: una donna, Costanza Rabbia, recatasi a venerare la salma ancora esposta nel palazzo Arcivescovile, toccò con il braccio paralizzato il corpo di san Carlo e immediatamente guarì. 
Si contarono almeno cento miracoli da allora al 1601 (27 novembre), quando il Consiglio Generale di Milano a nome dell’intera cittadinanza – sollecitato dalla Congregazione degli Oblati – indirizzò al Papa la supplica per la canonizzazione dell’arcivescovo.
Va precisato che in quel tempo non esisteva il passaggio della “beatificazione”, che si andò affermando successivamente o, per lo meno, negli stessi anni della canonizzazione di san Carlo.  
La beatificazione appariva come la concessione di poter venerare un “candidato” alla canonizzazione, del quale era certa la canonizzazione stessa, ma non si era ancora completato il lungo e severissimo iter canonico. 
Non a caso si considera come “prima beatificazione” quella di sant’Ignazio di Loyola, beatificato il 27 luglio 1609 e canonizzato il 12 marzo 1622. 
Accade la stessa cosa per san Carlo: gli Oblati, dovendo pubblicare la biografia di san Carlo ad opera del Bescapè chiesero il permesso di poterla indicare come “vita del Beato Carlo Borromeo”, essendo ormai imminente la canonizzazione ed essendo anche ormai pronta quella biografia, scritta in vista della canonizzazione stessa.
Un tempo brevissimo, dunque, quello trascorso tra la morte di san Carlo e la sua canonizzazione, segno della convinzione sicura della sua santità, che scuoteva e provocava alla devozione e all’imitazione.
Mi sovvengono al riguardo le parole che papa Giovanni Paolo II usò nella sua Lettera per il sedicesimo centenario della morte di sant’Ambrogio, Operosam diem (1° dicembre 1996):

“E’ proprio dei Santi restare  misteriosamente contemporanei  di ogni generazione: è la conseguenza del loro profondo radicarsi nell’eterno presente di Dio” (n.3).

           Mi piace “aggiornare” questa citazione con le parole dell’omelia di Benedetto XVI nella solennità di Tutti i Santi 2006:

“Guardando al luminoso esempio dei santi (possiamo) risvegliare in noi il grande desiderio di essere come i santi: felici di vivere vicini a Dio, nella sua luce, nella grande famiglia dei amici di Dio. […] L’esempio dei santi è per noi un incoraggiamento a seguire le loro stesse orme, a sperimentare la gioia di chi si fida di Dio, perché l’unica vera causa di tristezza e di infelicità per  l’uomo è vivere lontano da Lui”.

Mi è piaciuto immaginare che San Carlo mi parlasse in modo diretto, confidenziale.
E’ una mia riflessione; è quello che direbbe a me e che condivido con chi mi legge. Non mi pongo, dunque, come maestro, ma come confratello che desidera aprire il suo cuore a dei confratelli, condividere con loro – con voi – quello che sento in questo tempo importante per il mio e nostro cammino di sequela, di servizio a Dio e ai fratelli.

- Mons. Ennio Apeciti -
Fonte: Ritiro spirituale – Oblati Missionari – Rho – 23 marzo 2010
“Quaderni degli oblati diocesani 35”-pagg.9-10-11

“Miracolo della gamba incancrenita”, anonimo (XVII secolo)
Duomo di Milano. ". Lato destro della navata centrale, campata 9
(Foto di Giovanni dall’Orto, 6 dic. 2007)

Ciò che mi attira verso di Voi, Signore,
siete Voi!
Voi solo, inchiodato alla Croce,
con il corpo straziato tra agonie di morte.
E il Vostro amore
si è talmente impadronito del mio cuore
che, quand’anche non ci fosse il Paradiso,
io Vi amerei lo stesso.
Nulla avete da darmi
per provocare il mio amore
perché quand’anche non sperassi ciò che spero,
pure Vi amerei come Vi amo.
Amen.

San Carlo Borromeo
Arona, 2 ottobre 1538 - Milano, 3 novembre 1584

O Gloriosissimo San Carlo,
modello per tutti di fede, di umiltà,
di purità, di costanza nel patire,
di ogni più eletta virtù, voi che arricchito
dall'Altissimo dei doni più eccelsi,
tutti li impiegaste nel promuovere
la gloria di Dio e la salvezza delle anime
fino a restar vittima del vostro zelo,
impetrateci dal Signore, vi supplichiamo,
la grazia di essere vostri imitatori,
come voi lo foste di Gesù Cristo.

Otteneteci ancora, vi preghiamo,
lo spirito di sacrificio, lo zelo indefesso
per il bene dei nostri fratelli, la fedeltà a Dio,
l'amore alla Chiesa, la rassegnazione
nelle avversità e la perseveranza nel bene.

E voi, Dio delle misericordie,
e Padre di ogni consolazione,
che vedete i mali onde è afflitta
la cristiana famiglia, deh !
muovetevi a pietà di noi,
soccorreteci e salvateci.

Non guardate, no, ai nostri meriti,
ma a quelli del vostro servo e nostro
protettore San Carlo.

Esaudite le sue preghiere a favor nostro,
ora che trionfa nei Cieli, come esaudite
quelle che vi innalzava pel suo popolo
quaggiù sulla terra. Così sia!


Buona giornata a tutti. :-)




venerdì 4 novembre 2022

La preghiera di san Carlo - Carlo Maria Martini

È noto a tutti che san Carlo Borromeo è stato un uomo di grande preghiera. Carlo Bascapè, il suo biografo più famoso, che fu anche testimone oculare della sua vita, scrisse in Vita e opere di Carlo, Arcivescovo di Milano e cardinale di S. Parassede (1592): «Fu molto assiduo nella preghiera e nella contemplazione delle cose celesti. Quando meditava, soleva concentrarsi con la mente e il cuore e, se ne aveva il tempo, tanto s’immergeva nel profondo delle verità spirituali che, pur così incredibilmente occupato, si mostrava del tutto astratto da ogni cosa». Presso i contemporanei il raccoglimento di quest’uomo lasciò dunque una profonda impressione.

E il Bascapè continua: «Poiché di giorno era occupato dagli affari, pregava durante la notte; e quando erano in corso questioni di particolare importanza, trascorreva in orazione notti intere. Per questo esercizio di pietà si era preparato un luogo vicino alla sua camera, e non così isolato che qualcuno dei famigliari non sentisse spesso i gemiti delle sue preghiere».

Questo luogo isolato, un piccolo oratorio, esiste ancora nel Palazzo arcivescovile di Milano, e non lo si può visitare senza provare una grande emozione, pensando alle lunghe preghiere diurne e notturne di San Carlo in quel luogo.

Altri uomini e donne famosi dell’epoca di San Carlo furono di grande orazione, e ci hanno lasciato memorie autobiografiche della loro vita interiore, talora di livello altissimo. Basta pensare, per esempio, alla autobiografia di santa Teresa d’Avila.

Il Libro della sua vita terminato nel 1565 – lo stesso anno in cui san Carlo entrava in Milano – è il racconto ancora oggi vivissimo, scritto in prima persona in uno stile davvero inimitabile, delle grazie di orazione di santa Teresa. La prima edizione a stampa di questo libro è del 1588, quattro anni dopo la morte di san Carlo, tuttavia nel Cinquecento era pienamente affermato l’uso di scrivere un proprio diario spirituale autobiografico, nella linea già iniziata dal grande sant’Agostino con le Confessioni.

Insieme all’illustre esempio di santa Teresa se ne potrebbero citare altri.

Ne ricordo uno che non poteva non essere in qualche modo noto anche al Borromeo. È la breve autobiografia di sant’Ignazio di Loyola, detta anche Il racconto del pellegrino. Sant’Ignazio lo scrisse o, meglio, dettò al proprio segretario tra il 1553 e il 1555. Vi è compreso un breve racconto della sua vita, dall’episodio famoso di Pamplona (1521) all’anno del suo arrivo a Roma (1538). La prima edizione a stampa di quest’opera anche stavolta è di molto posteriore, ma fin dalle origini ne circolavano numerose copie manoscritte, e san Carlo – che fin dal primo soggiorno a Roma fu molto intimo dei Gesuiti – certamente potè conoscere questo scritto.

Un altro diario, un vero e proprio giornale spirituale, tenuto da Ignazio di Loyola tra il 2 febbraio 1544 e il 27 febbraio 1545, è conservato in due quadernetti, dove il Santo annotava ogni giorno l’argomento delle proprie meditazioni, le grazie ricevute nella meditazione o nella messa, le emozioni interiori, le difficoltà dell’orazione, le lacrime, e qua e là anche episodi della vita quotidiana (come una volta che qualcuno correndo per le scale lo aveva disturbato). È un diario interessantissimo, uno specchio giorno per giorno di questo Santo di poco anteriore al Borromeo. E, anzi, questi due quadernetti probabilmente rappresentano quanto resta di un diario molto più ampio, durato lunghi anni.

- Carlo Maria Martini -


Anche allora, dunque, c’era l’uso di tenere un diario spirituale. E io mi sono chiesto spesso in questi anni: possibile che non esista un diario spirituale di san Carlo Borromeo, dove egli annotò giorno dopo giorno le sue meditazioni, le sue preghiere, l’oggetto dei suoi desideri, ciò che nell’intimo lo commuoveva? Possibile che non esista una specie di itinerario spirituale, scritto di suo pugno o almeno dettato a qualche contemporaneo?

A prima vista sembrerebbe impossibile che tra l’immensa quantità di manoscritti risalenti a san Carlo Borromeo, o direttamente, e cioè autografi, oppure dettati o scritti da segretari, o copie di cose da lui firmate – quantità ancora oggi inesplorata (si parla di circa 60.000 lettere soltanto per la corrispondenza) –, non sia ancora emerso qualche frammento di diario spirituale o di note di orazioni.

Non è escluso che tra i fondi esistenti , magari proprio in questi anni, salti fuori qualcosa. Però la lettura delle prime pagine della citata biografia del Bascapè, suo intimo collaboratore, non lascia molte speranze al proposito, perché vi leggiamo: «Da quando infatti mi sono posto alla scuola di Carlo, come di un ottimo padre, osservando con animo quasi presago ciò che egli faceva di giorno in giorno, ho diligentemente conservato quanto, presto o tardi, mi sarebbe stato utile per un incarico di tal genere, dovuto alla mia dimestichezza con lui». Per nostra fortuna, dunque, il biografo contemporaneo aveva già raccolto note giorno per giorno. Il Bascapè afferma poi di aver consultato, per stendere la biografia, più di 30.000 lettere. E aggiunge: «Se accanto a questi documenti esterni, potessimo conoscere ciò che, volendo nascondere la propria virtù, probabilmente Carlo non rese noto ad alcuno, avremmo senza dubbio un materiale più abbondante perché le anime pie lodino la divina bontà».

Queste frasi si leggono nelle prime pagine della Vita di Carlo e provano con certezza che l’autore della biografia non conosceva alcun diario spirituale o appunti di orazione di San Carlo Borromeo, e anche che egli riteneva verosimile che il Santo non avesse appositamente voluto lasciare niente di simile.

Si fa avanti allora un’altra domanda: dobbiamo dunque rassegnarci a una ignoranza assoluta su questo punto? Dobbiamo rassegnarci a ritenere che le lunghissime ore di preghiera di san Carlo, le lunghe adorazioni al Crocifisso, le notti passate a venerare la memoria della Passione nella chiesa del Santo Sepolcro a Milano, le giornate dei suoi esercizi spirituali a Varallo e altrove siano e rimangano un segreto che conosceremo solo nella vita eterna?

Dopo lunghe riflessioni io penso che esista una via mediante la quale ci è giunto qualcosa di tale segreto, e che san Carlo ci inviti a ripercorrere questa via proprio nel suo quarto centenario. Vorrei perciò invitarvi a percorrere con me almeno un tratto di questo cammino, per cercare se è possibile una metodologia che ci serva a ricostruire alcuni frammenti di una autobiografia spirituale di Carlo Borromeo.


Il segreto di san Carlo

Vi propongo un itinerario, la cui prima tappa prende in considerazione la scuola di orazione, di preghiera e di meditazione, a cui san Carlo si è assoggettato a partire dal 1563 – quando venne ordinato sacerdote, il 17 luglio, nella chiesa di san Pietro in Montorio a Roma. Celebrò la sua prima messa il 15 agosto di quell’anno. Già da tre anni era arcivescovo di Milano, o meglio suo amministratore apostolico, senza essere né diacono né prete. Difatti, a Milano, si diede la notizia il 15 agosto 1563 dicendo: «Il nostro arcivescovo ha detto la prima messa», e fu una grande gioia per il popolo.

San Carlo decise di passare il periodo tra il 17 luglio e il 15 agosto in esercizi spirituali. Già prima aveva avuto forti desideri di conversione, ma si può datare ad allora l’inizio della sua scuola di preghiera, di quella profonda disciplina interiore che lo rese capace di pregare intensamente e a lungo.

Fece dunque un intero mese di esercizi per prepararsi alla prima messa; lo fece sotto la direzione di un gesuita, il padre Ribera, seguendo il libretto degli Esercizi di sant’Ignazio, che era ormai pubblico dal 1548, quando un Breve di Paolo III ne aveva raccomandato l’utilità per il popolo cristiano. Possiamo quindi pensare che in quel mese di preghiera egli abbia avuto possibilità di assimilare il metodo e i contenuti di questo modo di pregare.

Come si sa, anche in seguito Carlo Borromeo rimase fedelissimo a questa pratica e a questo metodo. I biografi riferiscono che soleva fare gli esercizi spirituali due volte l’anno, per parecchi giorni di seguito. Gli ultimi esercizi della sua vita, per esempio, li fece al Sacro Monte di Varallo (e per questo il papa ha compreso Varallo nelle tappe del suo pellegrinaggio). Li cominciò il 15 ottobre, e – a quanto risulta – li aveva preventivati di quindici giorni. Due esercizi spirituali all’anno, per molti giorni di seguito.

Conosciamo alcuni luoghi dei suoi esercizi spirituali, come qualche eremo camaldolese, il Sacro Monte di Varallo, a Milano san Barnaba (andava volentieri dai preti fondati da sant’Antonio Maria Zaccaria) e altri luoghi ancora, ad esempio il noviziato dei Gesuiti di Arona, un’altra casa di religiosi. In queste case si ritirava volentieri per i due esercizi annuali, ma qualche volta invece, li faceva in barca, perché gli piaceva molto viaggiare così e, in quella calma, poteva anche fare gli esercizi. Oppure alternava barca e lettiga, proprio per poter pregare con tranquillità.

Conosciamo anche i nomi di alcuni dei suoi direttori, che dopo padre Rivera furono ordinariamente dei Padri Gesuiti. Tra le lettere conservate, alcune sono appunto dirette ai Padri provinciali della Compagnia per chiedere che l’uno o l’altro venisse a dirigere i suoi esercizi spirituali. Fra i più famosi il padre Venturini e il padre Adorno, di nobile famiglia genovese, che gli fu molto vicino e lo assistette anche negli ultimi esercizi di Varallo fino alla morte. Nella minuta di una lettera al Padre provinciale dei Gesuiti di Venezia, ad esempio, scrive: «Avrei qualche inclinazione di portare con me il padre Antonio di Nuvolara nel viaggio che sto per fare a Roma, in barca ovvero in lettiga per valermi dell’opera sua in alcuni esercizi spirituali».

Citiamo ancora qualche fonte dell’epoca. Il Lancitius, uno scrittore spirituale dell’inizio del secolo XVII, raccogliendo le tradizioni dei Gesuiti del suo tempo afferma: «Faciebat Sanctus Carolus exercitia spiritualia Societatis Jesu quolibet anno» (faceva gli esercizi spirituali nel modo usato nella Compagnia di Gesù ogni anno). «Per questo mezzo cresceva sempre di più nel fervore dello spirito e si perfezionava molto nelle sante virtù. E poi li fece due volte all’anno, e in questa abitudine persistette fino alla morte».

Aggiungo una curiosità. I Gesuiti per statuto facevano gli esercizi spirituali due volte nel noviziato e poi nei grandi momenti dei voti. La pratica annuale di essi derivò ai Gesuiti dall’abitudine di san Carlo di farli due volte l’anno, perché il suo esempio si impresse nell’animo di coloro che, avendoglieli insegnati per la prima volta, si sentirono poi spronati a farli essi stessi. Questo ci mostra quanto egli conoscesse e vivesse, nella sua preghiera personale questo mondo di preghiera.

E non soltanto li faceva personalmente, ma li raccomandava agli altri. Nel quarto Concilio provinciale di Milano e di tutta la Lombardia – che come provincia ecclesiastica era allora in parte più ampia di quella attuale – egli impose a tutto il clero gli esercizi di un mese, sia a chi, in età avanzata, non li aveva ancora fatti sia a coloro che dovevano ricevere suddiaconato, diaconato, sacerdozio. E insisté perché si facesse un mese intero di esercizi prima delle grandi tappe della ordinazione, e poi ancora una volta nella vita.

Una minuta di lettera al cardinale Paleotti, del settembre 1582, ci dice qual era la prassi, che in realtà, come succede, era un po’ meno rigida della teoria. Vi si legge: «Quanto agli esercizi spirituali che fanno gli ordinandi ai Sacri Ordini, il tempo determinato dal Visitatore Apostolico e dal Concilio nostro provinciale IV era di un mese circa, mentre la pratica è di quindici giorni circa, ad arbitrio del padre spirituale e confessore che guida quelli che fanno questi Esercizi. Intorno poi al modo, si cerca di imitare i Padri Gesuiti e pigliar lume dalle Regole loro, i quali hanno anco una certa forma dal padre Ignazio stampata in quel libretto che dev’esser notissimo a Vostra Signoria Illustrissima».

Ma c’è ancora di più. Non soltanto era prescritto che tutti i preti facessero per un mese, e poi di fatto almeno per quindici giorni, parecchie volte in vita questi esercizi, ma nel V Concilio provinciale del 1579 gli esaminatori del clero dovevano interrogare ogni ecclesiastico, tra le altre cose, anche sulla sua maniera di meditare: se avesse pratica costante della preghiera, quali meditazioni facesse, quale fosse il suo modo nella preghiera, quale il suo frutto, quale l’utilità che egli ne conseguiva, quali le parti della sua preghiera, quali le regole della preparazione, ecc. San Carlo voleva che l’esaminando fosse in grado di descrivere la sua preghiera, ne avesse dunque una pratica approfondita.

Carlo Maria Martini, La preghiera di san Carlo


Buona giornata a tutti :-)






lunedì 4 novembre 2019

Preghiera a San Carlo Borromeo

Signore Gesù,
ti contempliamo sulla croce,
nel gesto supremo del tuo amore per noi.
Donaci il tuo Santo Spirito
perché, sull’esempio di san Carlo,
possiamo soffrire e gioire con te.
Infondi nel nostro cuore uno spirito di preghiera,
un sentimento di pietà e di misericordia
e uno sguardo di amore su di noi e sul mondo.
Signore Gesù,
ti ringraziamo per la tua Chiesa,
vigna feconda che cresce nella storia,
luogo di santità e di speranza.
Insegnaci ad amarla,
donaci compassione per curare le sue ferite,
rendici umili per capire la sua grandezza,
infondi in noi il desiderio della santità
per lavorare in essa con amore.
Signore Gesù,
sorgente di ogni vocazione,
dona ai tuoi figli la gioia
di conoscerti e la grazia di seguirti.
I giovani sentano la tua chiamata,
gli adulti siano perseveranti e fedeli.
San Carlo guidi nostri passi,
e tu, Maestro buono, per sua intercessione
rinnova nella fede la tua santa Chiesa. Amen.

Dopo una pausa di silenzio tutti si alzano in piedi. 

Il sacerdote (il diacono o il laico) 
introducono la preghiera composta dal Cardinal Martini:

Ringraziamo il Padre per la santità del vescovo Carlo e chiediamo di poterne seguire le orme.

Tutti Dio, Padre di misericordia,
noi ti adoriamo e ti lodiamo
nel ricordo del nostro santo vescovo Carlo
e ti ringraziamo
perché gli hai dato di contemplare intensamente
l’amore del Figlio tuo crocifisso.
Tu hai sostenuto in lui la preghiera e il digiuno
con la consolazione dello Spirito
e gli hai acceso nel cuore
il fuoco di una carità immensa.
Lo hai fatto amico dei poveri e dei malati,
gli hai dato coraggio contro ogni ingiustizia,
lo hai reso forte nelle lacrime e nelle prove.
Ti preghiamo, o Padre,
per l’intercessione di questo nostro santo Vescovo:
accendi anche nel nostro cuore
la fiamma che illumina e riscalda
la notte del mondo e sorreggi il nostro desiderio
di contemplare il volto del tuo Figlio
insieme con Maria, nostra Madre
e con tutti gli amici, i santi del cielo e della terra. Amen.



Ascolta ciò che ti dico. Se già qualche scintilla del divino amore è stata accesa in te, non cacciarla via, non esporla al vento.
Tieni chiuso il focolare del tuo cuore, perché non si raffreddi e non perda calore.
Fuggi, cioè le distrazioni per quanto puoi.
Rimani raccolto con Dio, evita le chiacchiere inutili.


- san Carlo Borromeo -



Prèdica prima di tutto con la vita e la santità, perché non succeda che essendo la tua condotta in contraddizione con la tua prèdica tu perda ogni credibilità!

- San Carlo Borromeo -
in Uff. d. Lett. 4 Novembre, T.O. 


Buona giornata a tutti. :)







domenica 4 novembre 2018

San Carlo Borromeo, il primo miracolo dopo due giorni dalla sua morte -

San Carlo Borromeo fu canonizzato da papa Paolo V con una solenne – forse sarebbe meglio scrivere: grandiosa – celebrazione in San Pietro il 1° novembre 1610.
Era morto appena ventisei anni prima, all’alba del  3 novembre 1584, a quarantasei anni d’età, e – come scrive la Lettera Remissoria per la sua canonizzazione –

“udita la notizia della sua morte, il lutto della città di Milano fu simile a quello che vi è solitamente in occasione della grandi calamità. Tutti, infatti, si disperarono, soprattutto quelli che ricevevano benefici da lui, e, in primo luogo, i poveri.”

Due giorni dopo la sua morte si ebbe notizia del primo miracolo attribuito alla sua intercessione: una donna, Costanza Rabbia, recatasi a venerare la salma ancora esposta nel palazzo Arcivescovile, toccò con il braccio paralizzato il corpo di san Carlo e immediatamente guarì. 
Si contarono almeno cento miracoli da allora al 1601 (27 novembre), quando il Consiglio Generale di Milano a nome dell’intera cittadinanza – sollecitato dalla Congregazione degli Oblati – indirizzò al Papa la supplica per la canonizzazione dell’arcivescovo.
Va precisato che in quel tempo non esisteva il passaggio della “beatificazione”, che si andò affermando successivamente o, per lo meno, negli stessi anni della canonizzazione di san Carlo.  
La beatificazione appariva come la concessione di poter venerare un “candidato” alla canonizzazione, del quale era certa la canonizzazione stessa, ma non si era ancora completato il lungo e severissimo iter canonico. 
Non a caso si considera come “prima beatificazione” quella di sant’Ignazio di Loyola, beatificato il 27 luglio 1609 e canonizzato il 12 marzo 1622. 
Accade la stessa cosa per san Carlo: gli Oblati, dovendo pubblicare la biografia di san Carlo ad opera del Bescapè chiesero il permesso di poterla indicare come “vita del Beato Carlo Borromeo”, essendo ormai imminente la canonizzazione ed essendo anche ormai pronta quella biografia, scritta in vista della canonizzazione stessa.
Un tempo brevissimo, dunque, quello trascorso tra la morte di san Carlo e la sua canonizzazione, segno della convinzione sicura della sua santità, che scuoteva e provocava alla devozione e all’imitazione.
Mi sovvengono al riguardo le parole che papa Giovanni Paolo II usò nella sua Lettera per il sedicesimo centenario della morte di sant’Ambrogio, Operosam diem (1° dicembre 1996):

“E’ proprio dei Santi restare  misteriosamente contemporanei  di ogni generazione: è la conseguenza del loro profondo radicarsi nell’eterno presente di Dio” (n.3).

           Mi piace “aggiornare” questa citazione con le parole dell’omelia di Benedetto XVI nella solennità di Tutti i Santi 2006:

“Guardando al luminoso esempio dei santi (possiamo) risvegliare in noi il grande desiderio di essere come i santi: felici di vivere vicini a Dio, nella sua luce, nella grande famiglia dei amici di Dio. […] L’esempio dei santi è per noi un incoraggiamento a seguire le loro stesse orme, a sperimentare la gioia di chi si fida di Dio, perché l’unica vera causa di tristezza e di infelicità per  l’uomo è vivere lontano da Lui”.

Mi è piaciuto immaginare che San Carlo mi parlasse in modo diretto, confidenziale.
E’ una mia riflessione; è quello che direbbe a me e che condivido con chi mi legge. Non mi pongo, dunque, come maestro, ma come confratello che desidera aprire il suo cuore a dei confratelli, condividere con loro – con voi – quello che sento in questo tempo importante per il mio e nostro cammino di sequela, di servizio a Dio e ai fratelli.

- Mons. Ennio Apeciti -
Fonte: Ritiro spirituale – Oblati Missionari – Rho – 23 marzo 2010
“Quaderni degli oblati diocesani 35”-pagg.9-10-11

“Miracolo della gamba incancrenita”, anonimo (XVII secolo)
Duomo di Milano. ". Lato destro della navata centrale, campata 9
(Foto di Giovanni dall’Orto, 6 dic. 2007)

Ciò che mi attira verso di Voi, Signore,
siete Voi!
Voi solo, inchiodato alla Croce,
con il corpo straziato tra agonie di morte.
E il Vostro amore
si è talmente impadronito del mio cuore
che, quand’anche non ci fosse il Paradiso,
io Vi amerei lo stesso.
Nulla avete da darmi
per provocare il mio amore
perché quand’anche non sperassi ciò che spero,
pure Vi amerei come Vi amo.
Amen.

San Carlo Borromeo
Arona, 2 ottobre 1538 - Milano, 3 novembre 1584

O Gloriosissimo San Carlo,
modello per tutti di fede, di umiltà,
di purità, di costanza nel patire,
di ogni più eletta virtù, voi che arricchito
dall'Altissimo dei doni più eccelsi,
tutti li impiegaste nel promuovere
la gloria di Dio e la salvezza delle anime
fino a restar vittima del vostro zelo,
impetrateci dal Signore, vi supplichiamo,
la grazia di essere vostri imitatori,
come voi lo foste di Gesù Cristo.

Otteneteci ancora, vi preghiamo,
lo spirito di sacrificio, lo zelo indefesso
per il bene dei nostri fratelli, la fedeltà a Dio,
l'amore alla Chiesa, la rassegnazione
nelle avversità e la perseveranza nel bene.

E voi, Dio delle misericordie,
e Padre di ogni consolazione,
che vedete i mali onde è afflitta
la cristiana famiglia, deh !
muovetevi a pietà di noi,
soccorreteci e salvateci.

Non guardate, no, ai nostri meriti,
ma a quelli del vostro servo e nostro
protettore San Carlo.

Esaudite le sue preghiere a favor nostro,
ora che trionfa nei Cieli, come esaudite
quelle che vi innalzava pel suo popolo
quaggiù sulla terra. Così sia!


Buona giornata a tutti. :-)



sabato 4 novembre 2017

Cardinale Carlo Maria Martini, La preghiera di san Carlo -

È noto a tutti che san Carlo Borromeo è stato un uomo di grande preghiera. Carlo Bascapè, il suo biografo più famoso, che fu anche testimone oculare della sua vita, scrisse in Vita e opere di Carlo, Arcivescovo di Milano e cardinale di S. Parassede (1592): «Fu molto assiduo nella preghiera e nella contemplazione delle cose celesti. 
Quando meditava, soleva concentrarsi con la mente e il cuore e, se ne aveva il tempo, tanto s’immergeva nel profondo delle verità spirituali che, pur così incredibilmente occupato, si mostrava del tutto astratto da ogni cosa». 
Presso i contemporanei il raccoglimento di quest’uomo lasciò dunque una profonda impressione.
E il Bascapè continua: «Poiché di giorno era occupato dagli affari, pregava durante la notte; e quando erano in corso questioni di particolare importanza, trascorreva in orazione notti intere. 
Per questo esercizio di pietà si era preparato un luogo vicino alla sua camera, e non così isolato che qualcuno dei famigliari non sentisse spesso i gemiti delle sue preghiere».

Questo luogo isolato, un piccolo oratorio, esiste ancora nel Palazzo arcivescovile di Milano, e non lo si può visitare senza provare una grande emozione, pensando alle lunghe preghiere diurne e notturne di San Carlo in quel luogo.

Altri uomini e donne famosi dell’epoca di San Carlo furono di grande orazione, e ci hanno lasciato memorie autobiografiche della loro vita interiore, talora di livello altissimo. Basta pensare, per esempio, alla autobiografia di santa Teresa d’Avila. 


Il Libro della sua vita terminato nel 1565 – lo stesso anno in cui san Carlo entrava in Milano – è il racconto ancora oggi vivissimo, scritto in prima persona in uno stile davvero inimitabile, delle grazie di orazione di santa Teresa. La prima edizione a stampa di questo libro è del 1588, quattro anni dopo la morte di san Carlo, tuttavia nel Cinquecento era pienamente affermato l’uso di scrivere un proprio diario spirituale autobiografico, nella linea già iniziata dal grande sant’Agostino con le Confessioni.

Insieme all’illustre esempio di santa Teresa se ne potrebbero citare altri.

Ne ricordo uno che non poteva non essere in qualche modo noto anche al Borromeo. È la breve autobiografia di sant’Ignazio di Loyola, detta anche Il racconto del pellegrino. Sant’Ignazio lo scrisse o, meglio, dettò al proprio segretario tra il 1553 e il 1555. Vi è compreso un breve racconto della sua vita, dall’episodio famoso di Pamplona (1521) all’anno del suo arrivo a Roma (1538). 
La prima edizione a stampa di quest’opera anche stavolta è di molto posteriore, ma fin dalle origini ne circolavano numerose copie manoscritte, e san Carlo – che fin dal primo soggiorno a Roma fu molto intimo dei Gesuiti – certamente potè conoscere questo scritto.

Un altro diario, un vero e proprio giornale spirituale, tenuto da Ignazio di Loyola tra il 2 febbraio 1544 e il 27 febbraio 1545, è conservato in due quadernetti, dove il Santo annotava ogni giorno l’argomento delle proprie meditazioni, le grazie ricevute nella meditazione o nella messa, le emozioni interiori, le difficoltà dell’orazione, le lacrime, e qua e là anche episodi della vita quotidiana (come una volta che qualcuno correndo per le scale lo aveva disturbato). È un diario interessantissimo, uno specchio giorno per giorno di questo Santo di poco anteriore al Borromeo. E, anzi, questi due quadernetti probabilmente rappresentano quanto resta di un diario molto più ampio, durato lunghi anni.
Anche allora, dunque, c’era l’uso di tenere un diario spirituale. E io mi sono chiesto spesso in questi anni: possibile che non esista un diario spirituale di san Carlo Borromeo, dove egli annotò giorno dopo giorno le sue meditazioni, le sue preghiere, l’oggetto dei suoi desideri, ciò che nell’intimo lo commuoveva? 
Possibile che non esista una specie di itinerario spirituale, scritto di suo pugno o almeno dettato a qualche contemporaneo?
A prima vista sembrerebbe impossibile che tra l’immensa quantità di manoscritti risalenti a san Carlo Borromeo, o direttamente, e cioè autografi, oppure dettati o scritti da segretari, o copie di cose da lui firmate – quantità ancora oggi inesplorata (si parla di circa 60.000 lettere soltanto per la corrispondenza) –, non sia ancora emerso qualche frammento di diario spirituale o di note di orazioni.

Non è escluso che tra i fondi esistenti , magari proprio in questi anni, salti fuori qualcosa. 
Però la lettura delle prime pagine della citata biografia del Bascapè, suo intimo collaboratore, non lascia molte speranze al proposito, perché vi leggiamo: «Da quando infatti mi sono posto alla scuola di Carlo, come di un ottimo padre, osservando con animo quasi presago ciò che egli faceva di giorno in giorno, ho diligentemente conservato quanto, presto o tardi, mi sarebbe stato utile per un incarico di tal genere, dovuto alla mia dimestichezza con lui». 
Per nostra fortuna, dunque, il biografo contemporaneo aveva già raccolto note giorno per giorno. Il Bascapè afferma poi di aver consultato, per stendere la biografia, più di 30.000 lettere. E aggiunge: «Se accanto a questi documenti esterni, potessimo conoscere ciò che, volendo nascondere la propria virtù, probabilmente Carlo non rese noto ad alcuno, avremmo senza dubbio un materiale più abbondante perché le anime pie lodino la divina bontà».

Queste frasi si leggono nelle prime pagine della Vita di Carlo e provano con certezza che l’autore della biografia non conosceva alcun diario spirituale o appunti di orazione di San Carlo Borromeo, e anche che egli riteneva verosimile che il Santo non avesse appositamente voluto lasciare niente di simile.
Si fa avanti allora un’altra domanda: dobbiamo dunque rassegnarci a una ignoranza assoluta su questo punto? Dobbiamo rassegnarci a ritenere che le lunghissime ore di preghiera di san Carlo, le lunghe adorazioni al Crocifisso, le notti passate a venerare la memoria della Passione nella chiesa del Santo Sepolcro a Milano, le giornate dei suoi esercizi spirituali a Varallo e altrove siano e rimangano un segreto che conosceremo solo nella vita eterna?
Dopo lunghe riflessioni io penso che esista una via mediante la quale ci è giunto qualcosa di tale segreto, e che san Carlo ci inviti a ripercorrere questa via proprio nel suo quarto centenario. Vorrei perciò invitarvi a percorrere con me almeno un tratto di questo cammino, per cercare se è possibile una metodologia che ci serva a ricostruire alcuni frammenti di una autobiografia spirituale di Carlo Borromeo.


card. Carlo Maria Martini, La preghiera di san Carlo






Il segreto di san Carlo
Vi propongo un itinerario, la cui prima tappa prende in considerazione la scuola di orazione, di preghiera e di meditazione, a cui san Carlo si è assoggettato a partire dal 1563 – quando venne ordinato sacerdote, il 17 luglio, nella chiesa di san Pietro in Montorio a Roma. 
Celebrò la sua prima messa il 15 agosto di quell’anno. Già da tre anni era arcivescovo di Milano, o meglio suo amministratore apostolico, senza essere né diacono né prete. Difatti, a Milano, si diede la notizia il 15 agosto 1563 dicendo: «Il nostro arcivescovo ha detto la prima messa», e fu una grande gioia per il popolo.
San Carlo decise di passare il periodo tra il 17 luglio e il 15 agosto in esercizi spirituali. Già prima aveva avuto forti desideri di conversione, ma si può datare ad allora l’inizio della sua scuola di preghiera, di quella profonda disciplina interiore che lo rese capace di pregare intensamente e a lungo.
Fece dunque un intero mese di esercizi per prepararsi alla prima messa; lo fece sotto la direzione di un gesuita, il padre Ribera, seguendo il libretto degli Esercizi di sant’Ignazio, che era ormai pubblico dal 1548, quando un Breve di Paolo III ne aveva raccomandato l’utilità per il popolo cristiano. Possiamo quindi pensare che in quel mese di preghiera egli abbia avuto possibilità di assimilare il metodo e i contenuti di questo modo di pregare.
Come si sa, anche in seguito Carlo Borromeo rimase fedelissimo a questa pratica e a questo metodo. I biografi riferiscono che soleva fare gli esercizi spirituali due volte l’anno, per parecchi giorni di seguito. Gli ultimi esercizi della sua vita, per esempio, li fece al Sacro Monte di Varallo (e per questo il papa ha compreso Varallo nelle tappe del suo pellegrinaggio). Li cominciò il 15 ottobre, e – a quanto risulta – li aveva preventivati di quindici giorni. Due esercizi spirituali all’anno, per molti giorni di seguito.
Conosciamo alcuni luoghi dei suoi esercizi spirituali, come qualche eremo camaldolese, il Sacro Monte di Varallo, a Milano san Barnaba (andava volentieri dai preti fondati da sant’Antonio Maria Zaccaria) e altri luoghi ancora, ad esempio il noviziato dei Gesuiti di Arona, un’altra casa di religiosi. In queste case si ritirava volentieri per i due esercizi annuali, ma qualche volta invece, li faceva in barca, perché gli piaceva molto viaggiare così e, in quella calma, poteva anche fare gli esercizi. Oppure alternava barca e lettiga, proprio per poter pregare con tranquillità.
Conosciamo anche i nomi di alcuni dei suoi direttori, che dopo padre Rivera furono ordinariamente dei Padri Gesuiti. Tra le lettere conservate, alcune sono appunto dirette ai Padri provinciali della Compagnia per chiedere che l’uno o l’altro venisse a dirigere i suoi esercizi spirituali. Fra i più famosi il padre Venturini e il padre Adorno, di nobile famiglia genovese, che gli fu molto vicino e lo assistette anche negli ultimi esercizi di Varallo fino alla morte. Nella minuta di una lettera al Padre provinciale dei Gesuiti di Venezia, ad esempio, scrive: «Avrei qualche inclinazione di portare con me il padre Antonio di Nuvolara nel viaggio che sto per fare a Roma, in barca ovvero in lettiga per valermi dell’opera sua in alcuni esercizi spirituali».
Citiamo ancora qualche fonte dell’epoca. Il Lancitius, uno scrittore spirituale dell’inizio del secolo XVII, raccogliendo le tradizioni dei Gesuiti del suo tempo afferma: «Faciebat Sanctus Carolus exercitia spiritualia Societatis Jesu quolibet anno» (faceva gli esercizi spirituali nel modo usato nella Compagnia di Gesù ogni anno). «Per questo mezzo cresceva sempre di più nel fervore dello spirito e si perfezionava molto nelle sante virtù. E poi li fece due volte all’anno, e in questa abitudine persistette fino alla morte».
Aggiungo una curiosità. I Gesuiti per statuto facevano gli esercizi spirituali due volte nel noviziato e poi nei grandi momenti dei voti. La pratica annuale di essi derivò ai Gesuiti dall’abitudine di san Carlo di farli due volte l’anno, perché il suo esempio si impresse nell’animo di coloro che, avendoglieli insegnati per la prima volta, si sentirono poi spronati a farli essi stessi. Questo ci mostra quanto egli conoscesse e vivesse, nella sua preghiera personale questo mondo di preghiera.
E non soltanto li faceva personalmente, ma li raccomandava agli altri. Nel quarto Concilio provinciale di Milano e di tutta la Lombardia – che come provincia ecclesiastica era allora in parte più ampia di quella attuale – egli impose a tutto il clero gli esercizi di un mese, sia a chi, in età avanzata, non li aveva ancora fatti sia a coloro che dovevano ricevere suddiaconato, diaconato, sacerdozio. E insisté perché si facesse un mese intero di esercizi prima delle grandi tappe della ordinazione, e poi ancora una volta nella vita.
Una minuta di lettera al cardinale Paleotti, del settembre 1582, ci dice qual era la prassi, che in realtà, come succede, era un po’ meno rigida della teoria. 
Vi si legge: «Quanto agli esercizi spirituali che fanno gli ordinandi ai Sacri Ordini, il tempo determinato dal Visitatore Apostolico e dal Concilio nostro provinciale IV era di un mese circa, mentre la pratica è di quindici giorni circa, ad arbitrio del padre spirituale e confessore che guida quelli che fanno questi Esercizi. Intorno poi al modo, si cerca di imitare i Padri Gesuiti e pigliar lume dalle Regole loro, i quali hanno anco una certa forma dal padre Ignazio stampata in quel libretto che dev’esser notissimo a Vostra Signoria Illustrissima».
Ma c’è ancora di più. Non soltanto era prescritto che tutti i preti facessero per un mese, e poi di fatto almeno per quindici giorni, parecchie volte in vita questi esercizi, ma nel V Concilio provinciale del 1579 gli esaminatori del clero dovevano interrogare ogni ecclesiastico, tra le altre cose, anche sulla sua maniera di meditare: se avesse pratica costante della preghiera, quali meditazioni facesse, quale fosse il suo modo nella preghiera, quale il suo frutto, quale l’utilità che egli ne conseguiva, quali le parti della sua preghiera, quali le regole della preparazione, ecc. San Carlo voleva che l’esaminando fosse in grado di descrivere la sua preghiera, ne avesse dunque una pratica approfondita.

card. Carlo Maria Martini, La preghiera di san Carlo





Lettera Lumen caritatis di Benedetto XVI

Quella di san Carlo Borromeo fu anzitutto la carità del Buon Pastore, che è disposto a donare totalmente la propria vita per il gregge affidato alle sue cure, anteponendo le esigenze e i doveri del ministero a ogni forma di interesse personale, comodità o tornaconto. 
Così l’Arcivescovo di Milano, fedele alle indicazioni tridentine, visitò più volte l’immensa Diocesi fin nei luoghi più remoti, si prese cura del suo popolo nutrendolo continuamente con i Sacramenti e con la Parola di Dio, mediante una ricca ed efficace predicazione; non ebbe mai timore di affrontare avversità e pericoli per difendere la fede dei semplici e i diritti dei poveri. San Carlo fu riconosciuto, poi, come vero padre amorevole dei poveri. 
La carità lo spinse a spogliare la sua stessa casa e a donare i suoi stessi beni per provvedere agli indigenti, per sostenere gli affamati, per vestire e dare sollievo ai malati. Fondò istituzioni finalizzate all’assistenza e al recupero delle persone bisognose; ma la sua carità verso i poveri e i sofferenti rifulse in modo straordinario durante la peste del 1576, quando il santo Arcivescovo volle rimanere in mezzo al suo popolo, per incoraggiarlo, per servirlo e per difenderlo con le armi della preghiera, della penitenza e dell’amore. 
La carità, inoltre, spinse il Borromeo a farsi autentico e intraprendente educatore. 
Lo fu per il suo popolo con le scuole della dottrina cristiana. 
Lo fu per il clero con l’istituzione dei seminari. 
Lo fu per i bambini e i giovani con particolari iniziative loro rivolte e con l’incoraggiamento a fondare congregazioni religiose e confraternite laicali dedite alla formazione dell’infanzia e della gioventù… In tutta la sua esistenza possiamo dunque contemplare la luce della carità evangelica, la carità longanime, paziente e forte che «tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1Cor 13, 7).




"Con quanto studio allevate i buoi, le pecore, i cavalli! E dei vostri figli non vi date pensiero? Non è forse dalla loro buona educazione che dipende la felicità delle vostre famiglie, del vostro paese, di tutta questa valle?"

- San Carlo Borromeo - 



Buona giornata a tutti. :-)


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