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martedì 10 maggio 2022

L’utopia - Gustave Thibon

«Ogni bene reale proietta del male. Solo il bene immaginario non ne proietta ». Questo pensiero di Simone Weil esprime una verità profonda. Il linguaggio comune traduce la medesima idea dicendo che «non c’è luce senza ombra».

La vita reale è sempre una commistione di bene e di male e anche la cosa migliore possiede il suo lato negativo. Chi parte in vacanza verso qualche paese del sud sogna un cielo che sia sempre privo di nuvole, un mare tranquillo dove fare il bagno sia una delizia, cibi nuovi e saporosi, ecc.
E senza dubbio troverà di tutto questo, ma farà conoscenza anche (e queste cose non erano previste nel suo programma di vacanze) con gli ingorghi stradali, coi giorni di cattivo tempo e forse pure con qualche indigestione dovuta alla cucina esotica…

Le fidanzate pensano al matrimonio come ad una infinita 

« luna di miele » e ai figli futuri come ad una gioiosa nidiata di piccoli esseri incantevoli e affettuosi. In realtà un poco di scuro si mescolerà fatalmente a queste visioni rosee. 
Non tutti i matrimoni sono felici e anche nei casi migliori vi è sempre una parte di delusione e di prove. E quanto ai figli, questi porteranno ai genitori, assieme alle gioie, una serie di difficoltà e di preoccupazioni.

Lo stesso vale per tutte le altre circostanze della vita. Perché questo scarto tra il desiderio e il fatto? Molto semplicemente perché le nostre aspirazioni sono illimitate e le nostre capacità di realizzazione assai ridotte.
Qualunque sia l’orientamento che diamo alla nostra vita, comporterà sempre un impasto di bene e di male. Anche la saggezza consiste nel saper scegliere non solo il maggior bene, ma anche il minore male. E sovente accade che la soluzione meno peggiore sia ancora la migliore. 

Schopenhauer diceva che i re che cominciano i propri proclami con queste parole: « Noi, per grazia di Dio » sarebbero più vicini alla verità se scrivessero: « Noi, il minore di due mali ». In effetti ogni autorità comporta degli abusi e delle ingiustizie, ma il governo più imperfetto è ancora preferibile all’anarchia.

La vita terrena è un cammino imperfetto verso la perfezione che ci attende nell’eternità. E questo cammino diviene presto impraticabile se esigiamo da lui la perfezione che si trova solamente al traguardo.
È in questo senso che Lord Acton diceva che « la società si tramuta in un inferno nella misura in cui vogliamo farne un paradiso ».
Se nello sposarvi sognate una sposa ideale e dei figli assolutamente privi di difetti val meglio che restiate celibi, perché sarete un cattivo marito e un cattivo padre.
E se nella vostra vita professionale non tollerate alcun insuccesso nelle vostre attività né alcun tipo di pecca presso i vostri collaboratori tutti i vostri sforzi rimarranno sterili.
L’esperienza prova che non vi è uomo più insopportabile di colui che nulla sopporta.

San Tommaso Moro ha descritto, in un’opera celebre, uno Stato in cui regnano la giustizia ideale e la felicità assoluta. Ma ha situato questo Stato nell’Isola di Utopia, che significa in greco: il paese che non si trova da nessuna parte. Finché il nostro viaggio terreno non si sarà compiuto dobbiamo dunque tendere alla perfezione, ma giammai la dovremo pretendere.

- Gustave Thibon -



«Pregherò per te». Ho mai udito parola umana che giunga da più lontano? Giunge dalla confluenza di Dio e dell'uomo. Tu rispondi di me davanti a Colui che è tutto e che è anche me stesso. La preghiera per il prossimo è come un aspetto inverso del martirio: la preghiera fa dell'uomo che prega un testimonio, la cauzione di un altro uomo davanti a Dio. 
Sei più vicino a me di quanto lo sia io stesso, perché sei tra Dio e me. 
Sei come un baluardo innalzato contro la sua giustizia e un varco aperto sul suo amore. 
Nel cuore della dolce e mortale lotta tra l'uomo e la sua fonte, tu combatti al mio posto. Il tuo amore temerario si è infiltrato nella scissura stessa che mi separa dal centro, nel vuoto scavato dalla mia ribellione e dalla mia viltà. Tra quali pietre hai posto la tua anima! 
Sembri volgermi il dorso e invece il tuo volto è esposto, per me, ai colpi diretti, ai richiami dell'ignoto; non mi parli, ma parli di me al silenzio. 
Pregare per qualcuno è come aderire, al tempo stesso, a Dio e all'uomo, è come realizzare il perfetto equilibrio ha questi due amori. 

- Gustave Thibon - 
da: "Il pane di ogni giorno, pp. 14-15"

Albrecht Durehr, 1504
The fall of man (Adam and Eve)
New York: The Metropolitan Museum of Art

Rinnovate la famiglia, rifate un'aristocrazia, rianimate il senso patriottico e religioso, altrimenti morrete.

- Gustave Thibon - 
da: "Ritorno al reale"



Che m'importa dunque il passato in quanto passato? Non vi accorgete che quando piango sulla rottura di una tradizione, è soprattutto all'avvenire che penso. Quando vedo marcire una radice, ho pietà dei fiori che seccheranno domani per mancanza di linfa. 

- Gustave Thibon - 
da: "L'uomo maschera di Dio", p. 258



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martedì 14 gennaio 2020

L’inferno è dentro di noi, non fuori

Un sant’uomo ebbe un giorno da conversare con Dio e gli chiese:
Signore, mi piacerebbe sapere come sono il Paradiso e l’Inferno“.
Dio condusse il sant’uomo verso due porte. Ne aprì una e gli permise di guardare all’interno. C’era una grandissima tavola rotonda. Al centro della tavola si trovava un grandissimo recipiente contenente cibo dal profumo delizioso. Il sant’uomo sentì l’acquolina in bocca.
Le persone sedute attorno al tavolo erano magre, dall’aspetto livido e malato. Avevano tutti l’aria affamata. Avevano dei cucchiai dai manici lunghissimi, attaccati alle loro braccia. Tutti potevano raggiungere il piatto di cibo e raccoglierne un po’, ma poiché il manico del cucchiaio era più lungo del loro braccio non potevano accostare il cibo alla bocca.
Il sant’uomo tremò alla vista della loro miseria e delle loro sofferenze.
Dio disse: “Hai appena visto l’Inferno“.
Dio e l’uomo si diressero verso la seconda porta. Dio l’aprì. La scena che l’uomo vide era identica alla precedente. C’era la grande tavola rotonda ed il recipiente che gli fece venire l’acquolina in bocca. Le persone intorno alla tavola avevano anch’esse i cucchiai dai lunghi manici. Questa volta però erano ben nutrite e conversavano felici tra di loro, sorridendo.
Il sant’uomo disse a Dio: “Non capisco!
È semplice” – rispose Dio – “essi hanno imparato a nutrirsi reciprocamente, gli uni con gli altri. I primi invece pensano solo a loro stessi.

Morale: Inferno e Paradiso sono uguali nella struttura. La differenza la portiamo dentro di noi.



Bisogna, quaggiù, che i fiori muoiano ed il loro profumo svanisca perché diventino frutto e nutrimento. Lassù, respireremo un fiore eterno. Ed il suo profumo ci nutrirà. Solo ciò che muore si riproduce. 
La fecondità è un perpetuo compromesso tra l'essere ed il nulla. 
L'eternità è sterile: dove i fiori non appassiscono, i semi sono inutili. L'inflessione unica della tua voce, la luce fuggitiva del tuo sguardo, la freschezza delle tue mani sulla mia fronte, l'ora eletta in cui la preghiera aveva il sapore del pane terreno spezzato dopo la rude fatica d'un giorno d'estate: questo, questo solo, ritroverò in Dio. Ma senza limiti, ed al di là del filtro avaro del momento e del luogo. 
Qui, ho vissuto solo di queste briciole, ho camminato solo alla luce rapida di questi lampi. Ma queste briciole saranno lassù un pane inesauribile, questi lampi un'alba senza tramonto. 
L'abitudine sarà scomparsa: tutto sarà stupefacente sorpresa. 
L'uniformità, la separazione — il triste destino dei granelli di sabbia tutti eguali e tutti solitari — non getteranno più la loro ombra: niente sarà simile a niente, e tutto sarà immerso nell'unità. 
La resurrezione sarà più vergine di una nascita; la certezza e l'imprevisto fioriranno insieme. «Amate quel che non potrà mai essere visto due volte». Tutto ciò che merita di essere contemplato non si lascia guardare impunemente due volte. 
Bisogna desiderare vederlo eternamente. 
L'inferno è ripetizione; il cielo, rinnovamento. 

- Gustave Thibon -


Buona giornata a tutti. :-)







lunedì 9 settembre 2019

Pregare, come si fa? - Alessandro Maggiolini

D'accordo: pregare si deve; lo dice il Vangelo. Un credente non può esimersi.
Ma come? E come fa, uno che non ha mai pregato, ad iniziare?

Potrei rispondere coi manuali di spiritualità. 
Suggeriscono tante tecniche anche utili. 
Ma alla fine son soltanto mezzi, e uno rimane solo davanti a se stesso. 
È un poco come quando si sa tutto sul nuoto, ma non ci si è mai buttati in acqua; come quando si è studiato a memoria il libretto di istruzioni della macchina: si sa dove sono i pistoni e il carburatore, come funziona la pompa dell'olio, come stringono i freni... ma non si ha ancora avuto il coraggio di girare la chiave d'avviamento del motore. 
Altro è parlar di preghiera - o sapere anche - e altro è pregare.
Come si fa?
Non lo so.
So benissimo, di contro, come si fa a non pregare e a trovar mille scuse.
Per pregare, invece, ci si butta, ecco: non riesco ad esprimermi diversamente. 
È un salto nel buio. Un'impressione paurosa di vuoto, mentre poi si scorge via via una chiarezza crescente e ci si sente sostenuti dalle braccia potenti di un Padre che rassicura...
È una decisione vertiginosa. 
Uno giocherella con se stesso: tesse trame complicate - una triste festa - di pensieri; opera escavazioni abissali nel proprio fondo, e trova anche dolce questo comportarsi: questo cullarsi in una ninna nanna un po' languida; questo farsi il funerale sentendosi impotente sotto la coltre nera e cantandosi le lamentazioni... 
O grida di dolore perché non riesce più a vivere, perché tutto è assurdo... 
O si compiace beatamente dei risultati raggiunti: fa e rifà i conti, come l'avaro di Molière, e si dà i voti più alti e si attribuisce le glorie più sussiegose: si organizza la claque, senza pensare al poi, al terribile poi che si incontra in capo alla strada...
Questa non è ancora preghiera. 
Perché è solitudine. 
Il pianto, l'esaltazione, l'urlo disperato si chiudono nell'uomo o si perdono nel nulla.
Si inizia a pregare quando si scopre un «Tu» che sta al di là delle cose, delle vicende e dei fratelli. 
Un «Tu» a cui si parla, non un Egli di cui si parla; fosse pure l'Infinito, il Trascendente o non so cosa. 
Ecco, qui scatta la preghiera, che è dialogo. E ci si ritrova di fronte ad una Presenza densa e concreta, incombente e dolcissima: una Presenza che ascolta e che c'è, che è qui, ora, in modo indubitabile, anche se ho l'impressione che le mie parole mi ritornino indietro come una eco lontana di cui ho paura... 
Sto rivolgendomi a ... sto conversando con ... Non sono più solo.
Forse questo cerchio della mia solitudine l'ho rotto perché avevo bisogno d'un senso ai miei giorni e alla delusione cattiva delle cose... 
Che importa? Diffido delle santità incontenibili e degli entusiasmi travolgenti.
Forse, spesso, ci si rivolge a Dio perché si sono tentati altri approcci e si sono trovati inconcludenti. 
Si prega perché non si sa esistere ed agire senza pregare. 
Non è vigliaccheria... Purché si senta questo ultimo «Tu» che non ci rifiuta e dà consistenza a tutto. 
E il coraggio di riprendere la fatica di esistere. 
E perfino il vigore di riconoscere qualche gioia che pure non manca...
Si parla a Dio. O forse lo si ascolta, meglio. 
Va sempre così quando ci si accosta a Dio: si ha l'impressione di trovarlo, mentre lui stesso ci stava aspettando; lo si copre di frasi, mentre poi ci si avvede che non ha bisogno delle nostre recite, e lo si lascia dire, e lo si ascolta. Come quando si ama: non c'è bisogno di lunghe spiegazioni: basta uno sguardo ed è tutto rivelato; un lasciarsi leggere dentro - anche negli angoli nascosti - e un sentirsi compresi, accolti e riaffidati alla vita: ma con altra speranza...

- Mons. Alessandro Maggiolini - 
15 luglio 1931 - 11 novembre 2008



“Pregherò per te”.
Ho mai udito parola umana che giunga da più lontano? 
Giunge dalla confluenza di Dio e dell'uomo. 
Tu rispondi di me davanti a Colui che è tutto e che è anche me stesso. 
La preghiera per il prossimo è come un aspetto inverso del martirio: 
la preghiera fa dell'uomo che prega un testimonio, la cauzione di un altro uomo davanti a Dio. 
Sei più vicino a me di quanto lo sia io stesso, perché sei tra Dio e me. 
Sei come un baluardo innalzato contro la sua giustizia e un varco aperto sul suo amore. 
Nel cuore della dolce e mortale lotta tra l'uomo e la sua fonte, tu combatti al mio posto. Il tuo amore temerario si è infiltrato nella scissura stessa che mi separa dal centro, nel vuoto scavato dalla mia ribellione e dalla mia viltà. 
Tra quali pietre hai posto la tua anima! Sembri volgermi il dorso e invece il tuo volto è esposto, per me, ai colpi diretti, ai richiami dell'ignoto; non mi parli, ma parli di me al silenzio. 
Pregare per qualcuno è come aderire, al tempo stesso, a Dio e all'uomo, è come realizzare il perfetto equilibrio tra questi due amori.

- Gustave Thibon -
 filosofo e scrittore francese 1903 - 2001 




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mercoledì 7 giugno 2017

La libertà - Gustave Thibon

La parola libertà corrisponde a uno dei bisogni più profondi della natura umana. Ed è forse per questo che essa dà luogo a così tanta confusione e a tanti abusi.
Che cos’è la libertà? 
Non è l’indipendenza assoluta, poiché noi tutti dipendiamo da qualcuno o qualcosa: dall’aria che respiriamo, dal mestiere che facciamo, dagli esseri che ci circondano e dalla società umana tutta intera con la quale scambiamo quotidianamente dei servizi.
L’uomo si sente libero nella misura in cui può amare le cose e gli esseri da cui dipende: per esempio quando vive in ambiente a lui consono, quando esercita un mestiere che risponde alla propria vocazione interiore, quando sposa la donna di cui è innamorato ecc. 
Viceversa, sperimenta una sensazione di coercizione e schiavitù quando è vincolato, per via delle necessità dell’esistenza. a funzioni o a persone che gli ripugnano. 
Colui che non possiede la vocazione militare si sente schiavo in caserma; allo stesso modo, per chi non ama più la propria sposa i vincoli del matrimonio diventano delle catene.
Così, quando rivendichiamo la nostra libertà non è l’indipendenza assoluta che domandiamo: è la facoltà di passare da una dipendenza che rifiutiamo a una dipendenza che ci attrae.
Gli esempi di questo stato d’animo sono innumerevoli. Il bambino pigro che a scuola si annoia prova un vivo sentimento di liberazione quando gli viene permesso di giocare o di gironzolare. Tuttavia egli è schiavo di quell’istinto che lo spinge verso il gioco e il bighellonare.
La giovane « emancipata » che si ribella all’autorità dei genitori o alle regole della morale non reclama la libertà che per obbedire in maniera più servile agli idoli di una certa gioventù: la danza, il cinema, i flirt ecc.
Il teppista che rifiuta di obbedire alle leggi della società per entrare in una banda di malfattori si sottomette facilmente alle « leggi della malavita ».
Allo stesso modo, l’uomo che desidera disfarsi della propria donna allo scopo di sposare l’amante non è libero nei confronti della passione per la quale distrugge il focolare domestico.
Questi pochi esempi sono sufficienti a mostrare le schiavitù che ci minacciano sotto il nome e la maschera della libertà.
Essere libero significa poter fare ciò che si desidera. Occorre dunque vigilare sulla qualità e sull’orientamento dei nostri desideri. La libertà non è altro che la capacità di scegliere tra due obbedienze: se, nel negarci agli appelli che ci vengono dall’alto, rifiutiamo di essere servitori del vero e del bene, cadiamo sotto l’imperio delle passioni inferiori che ci rendono schiavi dell’errore e del male.
La parola libero in greco si dice autonomos: colui che obbedisce alla propria legge. 
Ma la legge dell’uomo, creata a immagine di Dio, vuol dire obbedire alla legge di Dio, equivale cioè ad amare e a servire. 

Ed è in questo senso che Seneca diceva: parere Deo libertas est. 
La libertà è obbedire a Dio.

- Gustave Thibon -
4 febbraio 1977
(Articolo originale: La liberté, « Itinéraires », n. 214, giugno 1977; traduzione redazionale)

© Copyright Henri de Lovinfosse, Waasmunster (Belgique)


"Non esiste per l'uomo indipendenza assoluta (un essere finito che non dipenda da nulla, sarebbe un essere separato da tutto, eliminato cioè dall' esistenza). Ma esiste una dipendenza morta che lo opprime e una dipendenza viva che lo fa sbocciare. 
La prima di queste dipendenze è schiavitù, la seconda è libertà...
Il fanciullo studioso corre liberamente alla scuola, il vero soldato si adatta amorosamente alla disciplina, gli sposi che si amano fioriscono nei "legami" del matrimonio. 
Ma la scuola, la caserma e la famiglia sono orribili prigioni per lo scolaro, il soldato o gli sposi senza vocazione. 
L'uomo non è libero nella misura in cui non dipende da nulla o da nessuno: è libero nell'esatta misura in cui dipende da ciò che ama, ed è prigioniero nell'esatta misura in cui dipende da ciò che non può amare. 
Così il problema della libertà non si pone in termini di indipendenza, ma in termini di amore." 

- Gustave Thibon - 





Ave Maria,
Madre di ogni nostro desiderio di felicità.
Tu sei la terra che dice sì alla vita.
Tu sei l’umanità che da il suo consenso a Dio.
Tu sei la nuova Eva e la madre dei viventi.
Tu sei la fede che accoglie l’imprevedibile,
ascolta lo Spirito creatore e si meraviglia.
Tu sei la Madre delle oscurità della fede,
che custodisce tutti gli avvenimenti nel suo cuore, 
indaga e medita tutti i nostri “perché?”
e si fida dell’avvenire di Dio, suo Signore.
Ave Maria, 
Madre di tutte le nostre sofferenze.
Tu sei la donna ritta ai piedi dell’uomo crocifisso,
tu sei la madre di tutti quelli che piangono
l’innocente massacrato e il prigioniero torturato.
Ave Maria, 
Madre di tutte le nostre speranze.
Tu sei la stella radiosa di un popolo
in cammino verso Dio.
Tu sei l’annuncio dell’umanità trasfigurata,
tu sei la riuscita della creazione
che Dio ha fatto per la sua eternità.


- Michel Hubaut, ofm -





Buona giornata a tutti. :-)









mercoledì 22 marzo 2017

La viltà dei forti - Gustave Thibon

I deboli pregano, per vivere hanno bisogno di pregare. 
I forti che non pregano li accusano di vigliaccheria. Ma sono più vili coloro a cui Dio ha fatto credito e che approfittano della riserva loro affidata per isolarsi nel loro orgoglio e ingiuriare Dio. 
Chi, avendo ricevuto in anticipo i doni della forza e dell’equilibrio e non avendo bisogno di mendicare ogni giorno il pane dell’anima, abusa, senza vergogna, dei doni offerti senza pentimento, dei doni più nobili, ritorce questi doni contro il donatore e attinge alla sua stessa generosità la vile forza della ingratitudine e dell’oblio. 
L’orgoglio, superficialmente, può anche apparire grandezza e nobiltà; in verità non v’è peggior bassezza dell’orgoglio, perché non v’è peggior ingratitudine. L’uomo più vile è colui che trascura di ringraziare Dio, perché sente che Dio non si pentirà della sua bontà. 
L’anima nobile prega, e più Dio gli ha concesso la sicurezza e l’autonomia terrestre, tanto più la sua nobiltà si fa umile e sottomessa a Dio; meno la necessità la spinge a pregare, e più la sua fedeltà vuol pregare.

- Gustave Thibon - 
da: "Il pane di ogni giorno", Morcelliana, Brescia 1949, p. 52




Gesù rispose loro: " Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato."
"Nel Medioevo, non si conoscevano tutti i recessi della serratura umana e cosmica, ma si possedeva la chiave, che è Dio.
Da Cartesio in poi, è stata esplorata a fondo questa serratura, si è potuto descriverla più o meno dettagliatamente, ma, in questa ricerca, è stata smarrita la chiave!
Il mondo e l'uomo sono diventati serrature senza chiave.
Del resto, il pensiero moderno nel suo insieme non si preoccupa nemmeno più della natura o dell'esistenza di quella chiave.
Il solo problema che si pone davanti a una porta chiusa consiste nell'esaminarla molto seriamente, e non nell'aprirla".

- Gustave Thibon - 



“Questo lago paludoso mi ha detto: l’altitudine e il cielo mi abitano. 
Non scorgi tu in fondo alle mie acque, impresso sul mio limo, il riflesso dei monti e delle stelle? Che bisogno ho di salire?
L’amore mendico e debole, ha bisogno dell’illusione. 

L’amore che dona non teme la verità. Come potrebbe il sole esser deluso dalla miseria dei campi che illumina? Ama dapprima il sole. E potrai amare ogni cosa senza miraggi e senza delusioni.
Non dimenticare che l'uomo è uscito dal nulla e non dimenticare anche che è Dio che ve lo ha tratto. 
La prima di queste due verità ti salverà dall'utopia, la seconda dalla disperazione.”

- Gustave Thibon - 





Buona giornata a tutti. :-)





domenica 26 luglio 2015

da: "Ritorno al reale" - Gustave Thibon

"L'uomo non è libero nella misura in cui non dipende da nulla o da nessuno: è libero nell'esatta misura in cui dipende da ciò che ama, ed è prigioniero nell'esatta misura in cui dipende da ciò che non può amare."
"Definire la libertà come indipendenza nasconde un pericoloso equivoco. 
Non esiste per l'uomo indipendenza assoluta (un essere finito che non dipenda da nulla, sarebbe un essere separato da tutto, eliminato cioè dall'esistenza). Ma esiste una dipendenza morta che lo opprime e una dipendenza viva che lo fa sbocciare. 
La prima di queste dipendenze è schiavitù, la seconda è libertà. 
Un forzato dipende dalle sue catene, un agricoltore dipende dalla terra e dalle stagioni: queste due espressioni designano realtà ben diverse. 
Torniamo ai paragoni biologici che sono sempre i più illuminanti. In che consiste il "respirare liberamente"? Forse nel fatto di polmoni assolutamente "indipendenti"? Nient'affatto: i polmoni respirano tanto più liberamente quanto più solidamente, più intimamente sono legati agli altri organi del corpo. Se questo legame si allenta, la respirazione diventa sempre meno libera e, al limite, si arresta. 
La libertà è funzione della solidarietà vitale. 
Ma nel mondo delle anime questa solidarietà vitale porta un altro nome: si chiama amore. 
A seconda del nostro atteggiamento affettivo nei loro confronti, i medesimi legami possono essere accettati come vincoli vitali, o respinti come catene, gli stessi muri possono avere la durezza oppressiva della prigione o l'intima dolcezza del rifugio. 
Il fanciullo studioso corre liberamente alla scuola, il vero soldato si adatta amorosamente alla disciplina, gli sposi che si amano fioriscono nei "legami" del matrimonio. 
Ma la scuola, la caserma e la famiglia sono orribili prigioni per lo scolaro, il soldato o gli sposi senza vocazione. 
L'uomo non è libero nella misura in cui non dipende da nulla o da nessuno: è libero nell'esatta misura in cui dipende da ciò che ama, ed è prigioniero nell'esatta misura in cui dipende da ciò che non può amare. 
Così il problema della libertà non si pone in termini di indipendenza, ma in termini di amore. La potenza del nostro attaccamento determina la nostra capacità di libertà. 
Per terribile che sia il suo destino, colui che può amare tutto è sempre perfettamente libero, ed è in questo senso che si è parlato della libertà dei santi. 
All'estremo opposto, coloro che non amano nulla, hanno un bello spezzare catene e fare rivoluzioni: rimangono sempre prigionieri. 
Tutt'al più arrivano a cambiare schiavitù, come un malato incurabile che si rigira nel suo letto. "


- Gustave Thibon - 
da: "Ritorno al reale"



Il dono  – Padre  Alberto Maggi

L’ insegnamento che nasce dai vangeli, un insegnamento che tutti quanti possiamo vedere nella sua efficacia e nella sua realtà, può essere formulato con questa espressione: nella vita, si possiede soltanto quello che si dona. Quello che si trattiene per noi, non soltanto non si possiede, ma ci possiede. Quindi non siamo persone libere.
L’ unica nostra ricchezza è quello che diamo agli altri. Dare non è perdere, ma guadagnare. Più noi diamo e più permettiamo a Dio di prendersi cura della nostra esistenza.




Capolavoro della maldicenza

Le maldicenze che ci nuocciono maggiormente sono quelle in cui il denigratore dosa sapientemente il bene e il male e sembra constatare il male con dispiacere. La diffusione del male riveste così una tale apparenza d’oggettività dolorosa da conferire una maggior forza di persuasione, ciò che rappresenta il colmo dell’arte della maldicenza.

- Gustave Thibon - 

da: "Il pane di ogni giorno"







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mercoledì 15 aprile 2015

L’utopia - Gustave Thibon -

«Ogni bene reale proietta del male. Solo il bene immaginario non ne proietta ». Questo pensiero di Simone Weil esprime una verità profonda. Il linguaggio comune traduce la medesima idea dicendo che «non c’è luce senza ombra».

La vita reale è sempre una commistione di bene e di male e anche la cosa migliore possiede il suo lato negativo. Chi parte in vacanza verso qualche paese del sud sogna un cielo che sia sempre privo di nuvole, un mare tranquillo dove fare il bagno sia una delizia, cibi nuovi e saporosi, ecc.
E senza dubbio troverà di tutto questo, ma farà conoscenza anche (e queste cose non erano previste nel suo programma di vacanze) con gli ingorghi stradali, coi giorni di cattivo tempo e forse pure con qualche indigestione dovuta alla cucina esotica…

Le fidanzate pensano al matrimonio come ad una infinita 

« luna di miele » e ai figli futuri come ad una gioiosa nidiata di piccoli esseri incantevoli e affettuosi. In realtà un poco di scuro si mescolerà fatalmente a queste visioni rosee. 
Non tutti i matrimoni sono felici e anche nei casi migliori vi è sempre una parte di delusione e di prove. E quanto ai figli, questi porteranno ai genitori, assieme alle gioie, una serie di difficoltà e di preoccupazioni.

Lo stesso vale per tutte le altre circostanze della vita. Perché questo scarto tra il desiderio e il fatto? Molto semplicemente perché le nostre aspirazioni sono illimitate e le nostre capacità di realizzazione assai ridotte.
Qualunque sia l’orientamento che diamo alla nostra vita, comporterà sempre un impasto di bene e di male. Anche la saggezza consiste nel saper scegliere non solo il maggior bene, ma anche il minore male. E sovente accade che la soluzione meno peggiore sia ancora la migliore. 

Schopenhauer diceva che i re che cominciano i propri proclami con queste parole: « Noi, per grazia di Dio » sarebbero più vicini alla verità se scrivessero: « Noi, il minore di due mali ». In effetti ogni autorità comporta degli abusi e delle ingiustizie, ma il governo più imperfetto è ancora preferibile all’anarchia.

La vita terrena è un cammino imperfetto verso la perfezione che ci attende nell’eternità. E questo cammino diviene presto impraticabile se esigiamo da lui la perfezione che si trova solamente al traguardo.
È in questo senso che Lord Acton diceva che « la società si tramuta in un inferno nella misura in cui vogliamo farne un paradiso ».
Se nello sposarvi sognate una sposa ideale e dei figli assolutamente privi di difetti val meglio che restiate celibi, perché sarete un cattivo marito e un cattivo padre.
E se nella vostra vita professionale non tollerate alcun insuccesso nelle vostre attività né alcun tipo di pecca presso i vostri collaboratori tutti i vostri sforzi rimarranno sterili.
L’esperienza prova che non vi è uomo più insopportabile di colui che nulla sopporta.

San Tommaso Moro ha descritto, in un’opera celebre, uno Stato in cui regnano la giustizia ideale e la felicità assoluta. Ma ha situato questo Stato nell’Isola di Utopia, che significa in greco: il paese che non si trova da nessuna parte. Finché il nostro viaggio terreno non si sarà compiuto dobbiamo dunque tendere alla perfezione, ma giammai la dovremo pretendere.

- Gustave Thibon -




«Pregherò per te». Ho mai udito parola umana che giunga da più lontano? Giunge dalla confluenza di Dio e dell'uomo. Tu rispondi di me davanti a Colui che è tutto e che è anche me stesso. La preghiera per il prossimo è come un aspetto inverso del martirio: la preghiera fa dell'uomo che prega un testimonio, la cauzione di un altro uomo davanti a Dio. 
Sei più vicino a me di quanto lo sia io stesso, perché sei tra Dio e me. 
Sei come un baluardo innalzato contro la sua giustizia e un varco aperto sul suo amore. 
Nel cuore della dolce e mortale lotta tra l'uomo e la sua fonte, tu combatti al mio posto. Il tuo amore temerario si è infiltrato nella scissura stessa che mi separa dal centro, nel vuoto scavato dalla mia ribellione e dalla mia viltà. Tra quali pietre hai posto la tua anima! 
Sembri volgermi il dorso e invece il tuo volto è esposto, per me, ai colpi diretti, ai richiami dell'ignoto; non mi parli, ma parli di me al silenzio. 
Pregare per qualcuno è come aderire, al tempo stesso, a Dio e all'uomo, è come realizzare il perfetto equilibrio ha questi due amori. 

- Gustave Thibon - 
da: "Il pane di ogni giorno, pp. 14-15"


Albrecht Durehr, 1504
The fall of man (Adam and Eve)

New York: The Metropolitan Museum of Art

Rinnovate la famiglia, rifate un'aristocrazia, rianimate il senso patriottico e religioso, altrimenti morrete.

- Gustave Thibon - 
da: "Ritorno al reale"



Che m'importa dunque il passato in quanto passato? Non vi accorgete che quando piango sulla rottura di una tradizione, è soprattutto all'avvenire che penso. Quando vedo marcire una radice, ho pietà dei fiori che seccheranno domani per mancanza di linfa. 

- Gustave Thibon - 
da: "L'uomo maschera di Dio", p. 258





Buona giornata a tutti. :-)