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giovedì 28 marzo 2024

Le sette parole di Gesù in Croce – Madre Anna Maria Cànopi

 «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno»

Dopo aver detto, con lacrime e sudore di sangue, il suo sì filiale al Padre, Gesù acquista forza ed è pronto ad affrontare la Passione tacendo davanti alla menzogna e all’umiliazione, deciso a portare a compimento la sua missione salvifica. 
Condannato a morte senza un regolare processo, si avvia, portando la croce, verso il Calvario. 
Durante la faticosa salita, egli è il buon Pastore che porta sulle sue spalle non tanto una croce di legno quanto l’umanità, ossia la pecorella smarrita che è venuto a cercare per riportarla nell’ovile del Padre sulle proprie spalle. Siamo dunque noi la sua vera croce. 
Il Calvario, luogo della più ingiusta esecuzione capitale, in forza di questo «più grande» amore, spinto fino all’estremo dono di sé, si trasforma nel monte del sacrificio redentore, nel monte dell’intercessione e del perdono. 
Colui che durante il processo «non aprì la sua bocca» e, spogliato delle sue vesti, si rivestì di sacro silenzio – «Jesus autem tacebat», dice l’evangelista Matteo usando qui l’imperfetto a sottolinearne la profondità e la durata – ora che è reso del tutto impotente ed è là sospeso tra cielo e terra, inchiodato e senza alcuna difesa, in una disfatta che sembra totale, ora egli parla. 
E la prima parola che udiamo da lui sulla croce è perdono, vale a dire «per-dono», dono al superlativo, dono di quell’amore che l’ha spinto lì: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». 
Commenta l’abate Elredo di Rievaulx: «'Padre', dice, 'perdonali'. Che cosa si poteva aggiungere di dolcezza, di carità a una siffatta preghiera? Tuttavia egli aggiunse qualcosa. Gli sembrò poco pregare, volle anche scusare. 'Padre, disse, perdona loro perché non sanno quello che fanno'. E invero sono grandi peccatori, ma poveri conoscitori. Perciò: 'Padre, perdonali'.
Crocifiggono, ma non sanno chi crocifiggono, perché 'se l’avessero conosciuto, giammai avrebbero crocifisso il Signore della gloria' (cfr.1Cor 2,8); perciò: 'Padre, perdonali'. 
Lo ritengono un trasgressore della legge, un presuntuoso che si fa Dio, lo stimano un seduttore del popolo. 'Ma io ho nascosto loro il mio volto, non riconobbero la mia maestà'. Perciò: 'Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno'» 
( Specchio della carità III,5).


«Oggi sarai con me nel Paradiso» 

Sull’alto monte del Calvario, quasi alberi nudi contro il cielo primaverile, si stagliano tre croci.
La tradizione artistica, con giusta intuizione, ha sempre voluto che quella posta al centro fosse più alta; su di essa si impone all’attenzione una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Gesù è là, inchiodato alla croce tra due malfattori, provocato e deriso dai capi e dai soldati, abbandonato dai discepoli, guardato da lontano dalla folla che prima l’aveva seguito, ascoltato e osannato per le sue parole e i suoi miracoli: ecco ora il più inconcepibile scandalo dell’impotenza.

Un «re da burla» che non si difende e che non è difeso da nessuno, nemmeno con una parola… 
È una condizione estremamente umiliante, ma è la vera via regale scelta da Cristo per sé e da lui proposta ai suoi discepoli: «Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore» ( Gv 12,26). E ancora: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» ( Mt 11,29).
Soltanto la fede ci fa intuire che in tale stato di povertà e di umiliazione, di spogliazione e di morte è nascosto un grande mistero di grazia, una realtà bella e desiderabile. 
Fu questa la fede del «buon ladrone» che, solo, riconobbe nel suo compagno di sventura un vero re, un re paziente, che pativa ingiustamente misconoscimento e ingratitudine da parte di coloro – noi tutti – che egli non si vergognava di chiamare fratelli. 
E per quella sua fede il ladro ebbe il coraggio, in mezzo alle bestemmie e alle parole irrisorie, di chiamarlo per nome, di riconoscerlo «salvatore» e di rivolgergli un’umile preghiera di supplica: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno», rubando così all’ultimo istante il passaporto per entrare nel più bello di tutti i regni e ricevere in eredità una ricchezza incalcolabile. 
Ebbe, infatti, la grazia di sentirsi dire: «Oggi con me sarai nel paradiso» ( Lc 23,43). Il ladrone entra con il Re nel regno della gloria! Così il Cristo esercita la sua regale autorità. Nell’umiltà del suo amore egli arriva all’estremo sacrificio per dare all’uomo la libertà, la salvezza, la vita nel suo regno glorioso.
Un inno della Liturgia delle Ore così ci fa cantare: «Egli non con stragi, con violenza e terrore ha soggiogato i regni: sollevato sull’alto della croce, tutto ha tratto a sé con forza d’amore».


«Donna, ecco tuo figlio!... Ecco tua madre!»

Tutto il tumulto della più tragica giornata della storia sembra ora placarsi. Sulla vetta del Golgota verso sera spiccano soltanto tre persone, tre esili figure: Gesù agonizzante, la Madre e Giovanni, il discepolo dal cuore vergine, capace di amare con totalità di dedizione, senza paura di morirne. 
Come Maria. 
E si distinguono ormai soltanto alcune brevi parole: brevi ma intense, essenziali, cariche di potenza creatrice, perché cariche d’amore: «Donna, ecco tuo figlio!… Ecco tua madre!». La consegna della Madre al discepolo è il supremo testamento d’amore lasciatoci da Gesù. 
Nelle tenebre del Venerdì Santo una luce rifulge; in un raccapricciante scenario di morte avviene un mirabile atto creativo. Maria rappresenta qui la nuova Eva dalla quale nasce una prole nuova: la stirpe dei figli di Dio. 
Donna, ecco tuo figlio!
Mentre sta presso la croce e consuma nel cuore l’immenso dolore della Passione del Figlio, dal Figlio stesso Maria è investita di una maternità spirituale e universale che la rende davvero grande più di ogni altra creatura. Diventa madre di tutta l’umanità, perché – come dice sant’Agostino – Gesù, in forza del suo amore, essendo unico presso il Padre non ha voluto rimanere solo (cfr. Discorsi, 194,3). 
Ecco tua madre! Quale pegno e quale responsabilità! 
Giovanni la prende con sé per riceverne le cure quale figlio, ma anche per averne cura come di una madre cui è dovuto immenso amore, profonda riverenza e devozione. Da questo momento Maria è la Madre della Chiesa; è la nostra Madre nella misura in cui noi instauriamo con Gesù una relazione vitale, prendendo parte al suo mistero di redenzione come membra del suo stesso corpo. La nostra vita ha quindi le sue radici nella croce di Gesù, nella stabilità di Maria, nella fedeltà di Giovanni. Siamo nati là, in quell’ora, dal cuore trafitto di Cristo e siamo stati affidati da lui al cuore della Madre. 
Così siamo nati quali figli di Dio e siamo nati anche come Chiesa; perciò siamo nati anche come madri, perché Maria è Madre e Figlia della Chiesa, com’è Madre e Figlia del suo Figlio.
Affidati a lei, riceviamo a nostra volta in lei e da lei la santa Chiesa; la riceviamo come Madre da amare, da onorare; la riceviamo per darle ascolto, per obbedire ai suoi suggerimenti, per camminare con la sua guida nella via della luce quali veri figli di Dio.


«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»

Dopo aver pronunziato il suo «testamento spirituale» e aver consegnato la Madre al discepolo amato, Gesù è ora totalmente spoglio di ogni divina e umana ricchezza; il Figlio di Dio, ridotto all’estrema povertà, grida tutta la sua desolazione e l’angoscia di uomo che sperimenta la dolorosa assenza di ogni sostegno vissuta come assenza di Dio stesso, come stato di abbandono totale: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». 
Il grido lacerante dell’Uomo-Dio attraversa le nostre tenebre; è l’ora culminante dell’agonia in cui il Cristo assume veramente tutta la desolazione, l’angoscia, la paura, il terrore della morte che abitano nel cuore dell’uomo. Con forti grida e lacrime – dice la Lettera agli Ebrei (cfr. 5,7) – Gesù pregò colui che poteva liberarlo da morte. 
Il pianto di tutto il dolore delle generazioni umane passa attraverso il cuore di Cristo, sale dalla terra, penetra nei cieli e ferisce il cuore del Padre: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». «Dio non può averlo abbandonato – spiega sant’Agostino – perché lui stesso è Dio». Eppure il Cristo prova questo abbandono, vive questa estrema desolazione, cade in questo abisso dove le tenebre sono assolute. 
È un mistero. Al grido straziante del Figlio, dell’uomo, Dio non si fa sentire, non interviene. E tuttavia non è un Dio assente; è un Padre che, per folle amore, immola il Figlio della sua compiacenza per i « figli dell’ira»; nel Figlio del suo amore egli immola il proprio cuore, che, tutto donato, diventa puro silenzio. Ma in quel silenzio c’è la più alta risposta, la più sofferta «com-passione». È un’ora buia; è l’ora più buia della storia, ma è anche il grembo del nuovo giorno, per la nascita di un mondo nuovo, per il sorgere di una nuova luce. 
Il lamento di Cristo, infatti, è l’inizio del Salmo 22, che, apertosi con tale lancinante grido di angoscia, si conclude poi – come la stessa Passione – con una consegna fiduciosa, con una parola piena di speranza: «E io vivrò per lui (per Dio), lo servirà la mia discendenza» (vv. 30-31). 
Proprio quest’Uomo che muore avrà una lunga discendenza. L’ora in cui Colui che è la Vita si consegna alla morte è dunque l’ora della massima fecondità: generazione a prezzo della morte. 
Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio si fece buio sulla terra… 
Questo è uno spazio di tempo nella giornata, in ogni giornata, che noi dovremmo sempre trascorrere sotto la croce, poiché quell’ora non si è chiusa, ma perdura e abbraccia tutta la nostra esistenza. 
Noi siamo ancora contemporanei all’agonia di Gesù, sempre presenti all’ora della sua suprema offerta. 



«Ho sete» 

Dopo il grido di dolore rivolto al Padre e dopo aver affidato la Madre al discepolo Giovanni, Gesù esprime con un soffio di voce un’umile domanda da mendicante, una domanda che tante volte affiora sulle labbra riarse dei morenti: «Ho sete». 
Il gesto di chi, imbevuta una spugna di aceto, gliela porge è, in mezzo a tante atrocità, un segno di umana compassione, compiuto per alleviare le sofferenze dell’agonizzante. Ma la sete di Gesù non può trovare sollievo soltanto in questo, perché è una sete soprattutto spirituale che lo ha accompagnato lungo tutta la sua esistenza terrena. 
È sete di amore. Già all’inizio della sua missione pubblica, sedutosi, affaticato, presso il pozzo di Sicar, aveva chiesto alla donna samaritana: «Dammi da bere!»; e l’aveva poi lui stesso dissetata rivelandosi come Colui che doveva venire a salvarci. 
Di che cosa, infatti, ha sete Gesù se non di noi, della nostra salvezza, della nostra fede, del nostro amore? La beata Teresa di Calcutta commentava queste ultime parole di Gesù, dicendo: «Ho sete: queste parole di Gesù non riguardano solo il passato, ma sono vive qui e ora, dette a noi... Finché non comprendiamo nel profondo del nostro essere che Gesù ha sete di noi, non potremo cominciare a conoscere quello che egli vuole essere per noi, e ciò che egli vuole che noi siamo per lui». 
La sete di Gesù è dunque una sete divina; ma è pure un bisogno della sua umanità che si mette nella nostra situazione di desolata povertà, di estrema debolezza per condividerla. Scopriamo questa «sete» di Gesù anche prima, nell’orto del Getsemani, quando, quasi come bambino impaurito, egli si rivolge ai tre discepoli prescelti con parole di toccante umanità: «La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate» ( Mc 14,34); sente il bisogno di non essere lasciato solo. Ed è sempre nel Getsemani che, rivolgendosi al Padre, dice ancora: «Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!» ( Mt 26,39). 
La sete di Gesù è sete di compiere la volontà del Padre, è desiderio della nostra salvezza… Egli ci ama e ha sete dell’amore di ognuno di noi, perché ciascuno di noi conta per lui più di tutto il mondo. 
Perciò, se noi non ricambiamo il suo amore, egli rimane assetato e continua a cercarci. Ma come possiamo ricambiare l’amore se, a causa del peccato, siamo incapaci di amare? 
Gesù stesso, morendo riarso dalla sete, diventa la sorgente inesauribile dell’acqua viva, poiché dal suo cuore trafitto sgorgano sangue e acqua. Da questa sorgente possiamo attingere l’amore e la sovrabbondanza della Vita. 
L’ora della crocifissione e della morte di Cristo è quindi l’ora del trionfo dell’Amore e della sua massima fecondità. 
Nella misura in cui beviamo a questa sorgente, veniamo dissetati e anche dal nostro cuore zampilla una sorgente d’acqua viva offerta a tutti gli assetati di Dio, del Dio che è inesauribile Amore.


«Tutto è compiuto!» 

Le braccia distese sul legno, le mani inchiodate, Gesù è fisicamente del tutto impotente, agli occhi di tutti appare uno sconfitto. Ma le vie di Dio non sono le nostre vie, i suoi pensieri non sono i nostri pensieri… 
In realtà, questa è proprio l’ora che egli ha ardentemente desiderato, e alla quale si è preparato come all’ora culmine, all’ora della pienezza, in cui – superate tutte le tentazioni e le insidie – poter dire al Padre: «Consummatum est, tutto è compiuto, la missione affidatami è stata portata a compimento secondo il tuo volere». 
La preghiera di Gesù per noi ha raggiunto il suo culmine nell’offerta che egli ha fatto di se stesso al Padre nell’ora della croce, nel grido: «Tutto è compiuto» ( Gv 19,30). «Tutte le angosce dell’umanità di ogni tempo, schiava del peccato e della morte, tutte le implorazioni e le intercessioni della storia della salvezza confluiscono in questo grido del Verbo incarnato.
Ed ecco che il Padre le accoglie e, al di là di ogni speranza, le esaudisce risuscitando il Figlio suo.
Così si compie e si consuma l’evento della preghiera nell’Economia della creazione e della salvezza...» 
(Catechismo della Chiesa cattolica, n. 26069
Tutto è compiuto. Tutto è avvenuto secondo le profezie, tutto è avvenuto secondo il disegno del Padre. L’ora dell’offerta iniziata con la nascita di Gesù a Betlemme si compie sul Calvario: là era nato nella estrema povertà, qui muore nell’estrema spogliazione e umiliazione. 
È la scelta di Dio, è la scelta dell’Amore che, volendo ricuperare i miseri, si fa Misericordia, si abbassa, si svuota di se stesso per riversarsi in noi come sorgente di vita. 
Tutto è compiuto: è questo «l’istante immobile»; il tempo si ferma, l’ora batte sul cuore di Gesù e si riparte da zero. 
È l’ora zero della storia, l’ora in cui comincia il Giorno nuovo, il tempo nuovo, tempo della salvezza e della grazia. Tutto il dolore della Passione sembra ora acquietarsi, come la terra che, dopo aver accolto il seme nel solco, attende nella pace che esso germogli. È l’ora del «grande silenzio». 
È l’ora in cui, come discepoli di Cristo, più nulla possiamo fare, nulla dire, ma solo «rimanere nel suo amore», rimanere in preghiera presso di lui, inchiodati alla croce insieme con Maria, la Madre, formando un’unica grande supplica che, passando attraverso il cuore trafitto del Cristo, si versa nel seno del «Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione» ( 2Cor 1,3). 
A quest’ora della Passione di Gesù si può riferire quanto diceva il poeta Claudel: il dolore è come una mandorla amara che si getta sul ciglio della strada; ripassando per la medesima via, vi troviamo un mandorlo in fiore.


«Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito»

Quando tutto è compiuto, quando il sacrificio di amore è pienamente consumato, quando non c’è più un «oltre» nell’offerta e nel dolore, ecco l’ultimissima parola di Gesù: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Grido di fiducia erompente dal cuore di un Povero che, percosso, disprezzato, senza via di salvezza umana, si rifugia in Dio, getta in lui ogni suo affanno. 
E in questa totale consegna di sé trova la pienezza della pace, si ritrova figlio. La Passione di Gesù non si conclude con un «perché» rivolto a un Dio sentito lontano, assente, ma con un atto di abbandono filiale: «Nelle tue mani consegno il mio spirito». 
Gesù spira riconsegnandosi alle mani del Padre, a cui aveva sempre obbedito, la cui volontà era stata tutto il suo desiderio, la sua unica gioia. 
Per questo la sua agonia è come una notte che sfocia nell’alba della risurrezione. 
Dalla cattedra della Croce, il Giusto, che si è caricato di tutte le nostre sofferenze perché ha preso su di sé tutte le nostre colpe, ci insegna a sperare contro ogni speranza, a sentire che le mani di Dio sono più forti di qualsiasi mano potente degli uomini, più forti di ogni tentazione che possa sopraggiungere e abbattersi su di noi. 
Perciò anche quando la prova è dura, terribile e angosciosa, noi dobbiamo gridare: nelle tue mani, Signore, sono al sicuro. Tuttavia, il grido di Gesù esprime pure lo sgomento di un figlio che sa di dover ancora compiere un viaggio nell’oscurità per poter ritornare a casa. 
Dopo la sua consegna, infatti, il Verbo della vita, Colui che il Padre ha mandato a parlare direttamente all’umanità per rivelarle il suo amore, si immerge nel silenzio della morte. E con il calar della sera, dopo gli ultimi atti compiuti dall’umana pietà, un profondo silenzio avvolge anche il monte delle croci e penetra nei cuori. 
Noi, che siamo entrati con Gesù in quest’ora, crediamo davvero che solo apparentemente le tenebre stanno prevalendo, poiché in esse già si fa strada la luce? 
Noi, che conosciamo la morsa dell’angoscia, crediamo che nel grido di Gesù morente si fa strada la speranza della Vita? 
Noi, che pure facciamo l’esperienza del turbamento per tanti sconvolgimenti che avvengono nel mondo, ne sappiamo trarre motivo di pentimento per convertirci a una più grande fede e soprattutto a un più grande amore? 
Mentre il velo del tempio dell’antica Legge si squarcia, che cosa avviene in noi? Se viviamo davvero il mistero della Croce, si può finalmente squarciare il nostro vecchio mondo, il nostro vecchio uomo, il velo della nostra sufficienza; si può spaccare la roccia del nostro cuore per lasciar scaturire da essa una sorgente d’acqua viva. Presi da santo timore, allora gridiamo con il centurione: «Costui è veramente il Figlio di Dio!»; poi, insieme con le pie donne, continuiamo a sostare presso la croce e presso il sepolcro, sicuri che Gesù, caduto nel silenzio della morte, non è perduto per noi, perché l’Amore è il più forte e ha vinto.

- Madre Anna Maria Cànopi -
da: "Le sette parole di Gesù in croce. Meditazione e preghiera" ed. Paoline

un po di biografia: http://leggoerifletto.blogspot.it/2010/08/madre-anna-maria-canopi-biografia.html






Buona giornata a tutti. :-)

mercoledì 27 dicembre 2023

Dove finirono l'oro, l'incenso e la mirra? - don Bruno Ferrero

 Anche se non lo davano a vedere, i più eccitati erano l'asino e il bue. Non riuscivano ad addormentarsi. Quella notte e quella giornata erano state meravigliosamente caotiche: la nascita del bambino, gli angeli, i pastori, la stella e poi l'arrivo dei tre re con i manti di stoffe ricamate e le pellicce e i loro strani quadrupedi con la gobba. E soprattutto il luccichio degli scrigni che racchiudevano i doni portati dai tre re. Li avevano ammirati tutti e ora stavano là, abbandonati sulla paglia, mentre la donna cullava dolcemente il bambino e l'uomo dalle mani grandi e forti attizzava il fuoco e porgeva un po' di fieno alle due bestie.
Tra le fessure sconnesse della baracca, altri due occhi fissavano eccitati i doni dei re. Erano occhi pieni di ingenua astuzia. Non avevano perso un solo attimo della giornata e ora osservavano con interesse il primo sbadiglio di stanchezza fiorito sulla bocca dell'uomo. Erano gli occhi di Disma, il più bravo dei ladruncoli di Betlemme, agile e svelto come un furetto.
Il bambino si addormentò per primo, poi la madre si assopì sul mucchio di paglia che l'uomo aveva preparato e rassettato. L'uomo aspettò che il fuoco si spegnesse, poi si abbandonò anche lui sulla paglia con un sospiro di stanchezza e si addormentò. L'asino e il bue lo imitarono. Un silenzio profondo avvolse la baracca.
Un fagotto tintinnante.
Disma scivolò nell'ombra e si avvicinò alla porta. Era sbarrata da un robusto paletto. Non poteva scardinarla: avrebbe svegliato tutti. Esaminò le pareti, sfiorandole con la mano. Un' assicella si mosse. Disma intuì che poteva allargare la fessura quel tanto che bastava per permettergli di infilarsi dentro la vecchia stalla. Con consumata abilità, il ragazzo spostò l'asse cercando di non farlo cigolare e si infilò nel varco con le movenze sinuose di un gatto.
Si mosse leggero, cercando di abituare gli occhi all'oscurità. I tre scrigni erano sotto la culla improvvisata del bambino, illuminati dall'ultimo bagliore delle braci del fuoco.
Il bue sbuffò nel sonno e l'asino scalciò nella paglia. Sognavano anche loro. Disma trattenne il fiato, immobile. Nella stalla i respiri ripresero regolari.
Il ragazzo si mosse rapidamente. 
Afferrò i tre scrigni e li infilò nella bisaccia di tela che portava a tracolla. Diede un'occhiata al bambino e gli parve di vedere sul suo piccolo viso un sorriso, scosse le spalle e uscì dalla fessura che aveva aperto. 
Quando fu fuori della stalla, sorridendo rimise a posto l'assicella che aveva spostato per entrare, poi si allontanò di corsa. Faceva grandi balzi di gioia, tenendo con le due mani il fagotto tintinnante della refurtiva. 
Ripassava a memoria il contenuto e pensava eccitato alla bella somma che ne avrebbe ricavato. 
Il più grosso degli scrigni conteneva monili, bracciali e monete d'oro, il secondo era pieno di purissimo incenso e il terzo conteneva una fiala di preziosissima mirra. 
Un colpo di fortuna incredibile. Doveva solo essere prudente e nascondere tutto bene. Il mondo era pieno di ladri.

- don Bruno Ferrero - 
da: "Storie di Natale"


La sorpresa

Entrò in casa dal tetto, come faceva di solito. Non aveva né padre né madre e il vecchio parente che lo teneva in casa non si curava di lui.
Nella sua stanzetta, sotto il pavimento ricoperto di paglia, Disma aveva scavato una nicchia in cui nascondeva le sue cose preziose.
«Terrò nascosti per qualche mese l'oro, l'incenso e la mirra. Poi li venderò un poco alla volta, a Gerusalemme o anche a Damasco, dove non desterà sospetti...» pensava.
Accese una lampada ad olio finemente incisa che proveniva dall'atrio della casa del centurione romano, che la stava ancora cercando, ed esaminò il bottino. Aprì con cautela il primo scrigno e non riuscì a trattenere un'imprecazione stizzita: «Ma che diavolo è successo?». 
Spalancò con furia gli altri due astucci, guardò, annusò e poi imprecò ancora più rabbiosamente. Qualcuno gli aveva giocato uno scherzo terribile. Forse quell'uomo era molto più furbo di quanto desse a vedere. 
Invece dell'oro, lo scrigno conteneva un grosso martello, al posto dell'incenso c'erano tre grossi chiodi e la bottiglietta, invece della mirra raffinata, conteneva volgare aceto.
«Accidenti, accidenti! Che me ne faccio di questa robaccia? La rifilerò ai soldati romani per qualche moneta...».

- don Bruno Ferrero - 
da: "Storie di Natale"



Tre croci

Passarono gli anni. Disma era diventato il più ricco e sfrontato predone del deserto. I suoi uomini compivano razzie nelle più ricche città d'Oriente e l'esercito di Roma era stato costretto più volte a scendere a patti con lui. 
Ma un giorno, arrivò da Roma un governatore ambizioso di nome Ponzio Pilato che, per fare carriera e ingraziarsi i notabili di Gerusalemme, decise di catturare Disma. Ci riuscì con un tranello e Disma fu condannato alla pena più terribile ed infamante: la morte mediante crocifissione.
Erano in tre a salire sul Golgota, il luogo delle condanne, poco fuori Gerusalemme, dove erano state preparate tre croci. Disma conosceva il vecchio brigante legato con lui, ma non riusciva a spiegarsi il terzo condannato. Aveva il volto nobile e pieno di bontà, anche sotto i segni della tortura. Dicevano che era un profeta di Galilea di nome Gesù, che faceva miracoli, che era stato condannato perché si era proclamato Figlio di Dio e Messia.
Gli occhi gelidi e feroci di Disma si incontrarono con quelli del terzo condannato. Per il bandito tutto divenne stranamente diverso: la sua rabbia feroce svanì e si sentì stranamente in pace.
Il boia cominciò il suo miserabile compito con il profeta galileo: impugnò un grosso martello e tre grossi chiodi, mentre un soldato inzuppava una spugna di aceto. Improvvisamente Disma capì: eccoli i doni dei re che lui aveva rubato tanti anni prima in una stalla di Betlemme, dove c'erano un uomo e una madre e un bambino. Quel bambino era il Messia! Quindi anche lui aveva contribuito a crocifiggere il Figlio di Dio... 
Con le lacrime agli occhi, Disma sentì che Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno».
Con la solita insensibilità, i soldati si misero a litigare per dividersi le vesti dei condannati. 
Quando le tre croci furono innalzate con il loro carico di dolore, la gente cominciò a farsi beffe dei condannati. Si accanivano particolarmente contro Gesù. 
I capi del popolo lo schernivano: «Ha salvato tanti altri, ora salvi se stesso, se egli è veramente il Messia scelto da Dio». Anche i soldati lo schernivano: si avvicinavano a Gesù, gli davano da bere aceto e gli dicevano: «Se tu sei davvero il re dei Giudei salva te stesso!».
L'altro bandito crocifisso si era unito agli schernitori e insultava Gesù: «Non sei tu il Messia? Salva te stesso e noi!». Disma lo rimproverò con asprezza: «Tu che stai subendo la stessa condanna non hai proprio nessun timore di Dio? Per noi due è giusto scontare il castigo per ciò che abbiamo fatto, lui invece non ha fatto nulla di male».
Poi aggiunse: «Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo regno».
Gli occhi del Messia torturato e morente guardarono Disma con bontà infinita, poi il feroce bandito udì le parole più belle e amorevoli di tutta la sua vita disperata: «Ti assicuro che oggi sarai con me in paradiso».

- Don Bruno Ferrero - 
Da: "Storie di Natale" di don Bruno Ferrero, ed. Elledicì


Buona giornata a tutti. :-)

lunedì 1 marzo 2021

Una prova schiacciante – Padre Andrea Gasparino

                                            Gesù crocefisso! Come posso guardarti

con tranquillità, con indifferenza?
Gesù crocefisso! Ma esiste un’altra prova
più schiacciante del tuo amore?
Gesù crocefisso, parla,
scuoti il mio torpore, ma per sempre!
Povera la Madre tua,
crocefissa senza nemmeno una croce,
crocefissa con te
senza poter far nulla per te,
crocefissa accanto a te
mentre ti aiuta a sopportare.
Cristo, sei nato tra i poveri,
hai voluto il posto più povero per nascere,
hai voluto per primi intorno a te
i disprezzati;
ora vuoi morire tra i ladri.
Certo,non dai alcun valore
alle valutazioni umane;
sembra che per te debbano essere
tutte capovolte, tanto sono fallaci.
Penso a quando issarono la croce:
che tortura fu la tua!
Gesù, non riesco a pensare
alla tua posizione, al respiro spasimante,
al peso del tuo corpo,
a quelle mani inchiodate.
Ma perché hai scelto proprio
la morte più terribile?
Lo so perché:
volevi dare una prova che sfidasse i secoli,
per chiamare all’amore gli uomini.
Grazie per la scritta sul capo:
mi dici che sei venuto e sei morto
per essere re, mio re:
vuoi regnare nel mio cuore.

- Padre Andrea Gasparino -

Fonte: “Davanti al crocefisso. Preghiere, invocazioni, litanie” a cura di L. Guglielmoni, F. Negri, Ed. Paoline



Nascondetevi sotto le ali della misericordia di Dio; egli è più capace di perdonare di quanto voi lo siate di peccare.

- S. Caterina da Siena -




Fa piacere trovarsi in una barca come la Chiesa, squassata dalle tempeste, quando si è sicuri di non andare a fondo.

- Blaise Pascal -



Il cosmo
come calice
d'argilla
raccoglie
le lacrime
di un Dio
che si dissangua.
Domani
sul deserto
degli uomini
germoglierà la vita.

- Patrizio Righero - 




Buona giornata a tutti. :-)

http://www.leggoerifletto.it

venerdì 19 aprile 2019

Lo strazio di Maria - Charles Peguy

Da tre giorni piangeva. 
Piangeva, piangeva.
 
Come nessuna donna ha mai pianto.
 
Nessuna donna. 
Ecco cosa aveva reso a sua madre. 
Mai un ragazzo era costato tante lacrime a sua madre
Mai un ragazzo aveva fatto piangere tanto sua madre
Ecco cosa aveva reso a sua madre. 
Da quando aveva cominciato la sua missione. […]

Anche lei aveva salito il Calvario. 
Che è una montagna scoscesa. 
E non sentiva neanche i suoi piedi che la portavano. 
Non sentiva le gambe sotto di sé. 
Anche lei aveva salito il suo calvario. 
Anche lei era salita, salita. 
Nella ressa, un po' indietro. 
Salita al Golgotha. 
Sul Golgotha. 
Sulla cima. 
Fino alla cima. 

Dove egli era adesso crocifisso. 
Con le quattro membra inchiodate. 
Come un uccello notturno sulla porta d'un granaio. 
Lui, il Re di Luce. 
Nel luogo chiamato Golgotha. 
Cioè il posto del Cranio. 
Ecco cosa aveva fatto di sua madre. 
Materna. 
Una donna in lacrime. 
Una poveretta. 
Una poveretta di desolazione. 
Una poveretta nella desolazione. 
Una specie di mendicante di pietà. [...]

Quello che è strano è che tutti la rispettavano. 
La gente rispetta molto i genitori dei condannati. 
Dicevano addirittura: la povera donna. 
E intanto picchiavano suo figlio. 
Perché l'uomo è fatto così. 
L’uomo è cosiffatto. 
Gli uomini sono come sono e mai li si potrà cambiare. 
Lei non sapeva che al contrario 
lui era venuto a cambiare l'uomo. 

Che era venuto a cambiare il mondo. 
Seguiva, piangeva. 
Gli uomini sono così. 
Non li si cambierà. 
Non li si rifarà. 
Non li si rifarà mai. 
E lui era venuto per cambiarli. 
Per rifarli. 

Lei seguiva, piangeva. 
Tutti la rispettavano. 
Tutti la compiangevano. 
Si diceva la povera donna. 
Perché tutte quelle persone non erano forse cattive. 
Non erano cattive in fondo. 

Compivano le Scritture. 
Quello che è strano, è che tutti la rispettavano. 
Onoravano, rispettavano, ammiravano il suo dolore. 
Non l'allontanavano, non la respingevano che moderatamente. 
Con delle attenzioni particolari. 
Perché era la madre del condannato. 
Pensavano: è la famiglia del condannato. 
Lo dicevano anche a voce bassa. 
Se lo dicevano, tra di loro, 
Con una segreta ammirazione. 

E avevano ragione, era tutta la sua famiglia. 
La sua famiglia carnale e la sua famiglia eletta. 
La sua famiglia sulla terra e la sua famiglia nel cielo. 
Lei seguiva, piangeva. 
I suoi occhi erano così offuscati che la luce del giorno
non le sarebbe più parsa chiara. 
Mai più. [...]

Lei piangeva, piangeva, ne era diventata brutta. 
Lei, la più grande Beltà del mondo. 
La Rosa mistica. 
La Torre d'avorio. 
Turris ebumea. 
La Regina di beltà. 
In tre giorni era diventata spaventosa da vedere. 
La gente diceva che era invecchiata di dieci anni. 
Non se ne intendevano. Era invecchiata più di dieci anni. 

Lei sapeva, sentiva bene che era invecchiata più di dieci anni. 
Era invecchiata della sua vita. 
Che imbecilli. 
Di tutta la sua vita. 
Era invecchiata della sua vita intera 
e più che della sua vita, più di una vita. 
Perché era invecchiata di una eternità. 
Era invecchiata della sua eternità. 

Che è la prima eternità dopo l'eternità di Dio. 
Perché era invecchiata della sua eternità. 
Era diventata Regina. 
Era diventata la Regina dei Sette Dolori. [...]

Gli occhi le ardevano, le bruciavano. 
Mai si era pianto tanto. 
Eppure piangere le era di sollievo. 
La pelle le ardeva, le bruciava. 
E lui intanto sulla croce le Cinque Piaghe gli bruciavano. 
E lui aveva la febbre. 
E lei aveva la febbre. 
Ed era associata così alla sua Passione. [...]

Piangeva. Si scioglieva. Il suo cuore si scioglieva. 
Il suo corpo si scioglieva. 
Si scioglieva di bontà. 
Di carità. [...]
Non ce l'aveva più con nessuno. 
Si scioglieva in bontà. 
In carità. [...]
Era una disgrazia troppo grande. 
Il suo dolore era troppo grande. 
Era un dolore troppo grande. 
Non si può avercela col mondo per una disgrazia che oltrepassa il mondo. [...]

Fino a quel giorno era stata la Regina di Beltà. 
E non sarebbe più stata, non sarebbe più ridiventata 
La Regina di Bellezza che in cielo. 
Il giorno della sua morte e della sua assunzione. 
Dopo il giorno della sua morte e della sua assunzione. 
Eternamente. 
Ma oggi diveniva la Regina di Misericordia. 
Come sarà nei secoli dei secoli. […] 

Lei sapeva quanto soffriva. 
Lei sentiva bene quanto male aveva. 
Lei aveva male alla sua testa e al suo fianco e alle sue Quattro Piaghe. 
E lui in se stesso diceva: Ecco mia madre. 
Che cosa ne ho fatto. Ecco cosa ho fatto di mia madre. 
Quella povera vecchia. […] 

Le aveva fatto fare la sua via crucis, a sua madre. 
Da lontano, da vicino. 
Lei aveva seguito. 
Una via crucis molto più dolorosa della sua. 
Perché è molto più doloroso veder soffrire il proprio figlio. 
Che soffrire noi stessi. 
È molto più doloroso veder morire il proprio figlio. 
Che morire noi stessi. 

- Charles Péguy - 
da: I Misteri



La Madonna sviene dal Dolore dinanzi a quel corpo privo di luce e vita, mentre la disperazione percorre gli infiniti capelli della Maddalena. 

Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio una terribile eclissi, accompagnata da un violento sisma, portò il Buio ed il Silenzio su tutta la terra. 



Guido Mazzoni detto il Paganino - 'Il Compianto' - 1492
Napoli - Chiesa di Sant'Anna dei Lombardi


Temete il Signore e rendetegli onore.
Il Signore è degno di ricevere la lode e l'onore.
Voi tutti che temete il Signore, lodatelo.
Ave, Maria, piena di grazia, il Signore è con te.
Lodatelo, cielo e terra. Lodate il Signore, o fiumi tutti.

Benedite il Signore, o figli di Dio.
Questo è il giorno fatto dal Signore,
esultiamo e rallegriamoci in esso.
Alleluia, alleluia, alleluia! Il Re di Israele.
Ogni vivente dia lode al Signore.

Lodate il Signore, perché è buono;
tutti voi che leggete queste parole,
benedite il Signore.
Benedite il Signore, o creature tutte.
Voi tutti, uccelli del cielo, lodate il Signore.
Servi tutti del Signore, lodate il Signore.
Giovani e fanciulle lodate il Signore.

Degno è l'Agnello che è stato immolato
di ricevere la lode, la gloria e l'onore.
Sia benedetta la santa Trinità e l'indivisa Unità.
Il San Michele arcangelo, difendici nel combattimento.





Silenzio e digiuno