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giovedì 22 febbraio 2024

Non merito la punizione, ma Cure - Anthony de Mello

Chi fa il male non merita la punizione ma guarigione. 
Coinvolgere, trasformare e guarire più profondamente e a livelli più profondi, implica che è importante che il nostro intento sia puro e vero!
Non v'è modo migliore di promuovere quelle azioni che sentiamo renderci persone migliori.
Siamo in grado di dare amore, abbracci, carezze e aiutare coloro che ci circondano a vivere una vita migliore, così possiamo migliorare la nostra vita, i nostri vantaggi interni e naturalmente ri-collegarci e Risintonizzarci al cosmo.
Quindi stiamo sempre di più in armonia con la nostra natura essenziale.
L'energia di mano blu ci dà l'opportunità di sperimentare consapevolmente il processo di guarigione e miglioramento personale, che è il più importante per prendere decisioni che ci aiutano, nei ruoli che dobbiamo dare, "nell' annullare" le emozioni, gli atteggiamenti da cambiare, ecc;
Metti la tua intenzione in essa perché con risolutezza trasformeremo l'errore in apprendimento, la colpa in fiducia, il rimorso in gratitudine, il dramma in gioia, ecc.
La realizzazione agisce dalla conoscenza ed è nutrita dall'esperienza, imparando a fare errori e correggerli. In realtà puoi solo parlare di ciò che hai vissuto e fatto, dandoti l'opportunità di diventare consapevole e imparare, così funziona l'evoluzione.
Quindi oggi apriamo le nostre mani per ricevere tutta l'abbondanza che è disponibile, per eseguire un lavoro quotidiano di guarigione è importante se non vuoi che i tuoi passi si incagliano, è anche un buon modo per mantenere l'equilibrio interno e promuovere soluzioni.
La guarigione ci avvicina alla nostra anima.
Scelgo di guarire la mia vita e sperimentare la mia guarigione, io sono un altro te!

- Anthony De Mello -
 da: "La felicità è la nostra vera natura, basta smettere di cercarla al di fuori di noi stessi".
 
Perché tutti sono felici tranne me?
Il maestro rispose:
Perché tutti gli altri vedono la bellezza e la bontà ovunque.
Perché io non riesco a vedere la bellezza?
Non puoi vedere all'esterno quello che non riesci a vedere dentro di te.

- Anthony de Mello -

 


Se tu guardi un albero e vedi soltanto un albero non hai visto un albero.

Se guardi un albero e vedi un miracolo allora hai visto un albero.

- Anthony de Mello - 

Buona giornata a tutti :-)


www.leggoerifletto.it

domenica 12 febbraio 2023

L'accettazione consiste nel vedere le cose come sono davvero e non come vorremmo che fossero - Jeff Foster

 Non voglio sentire ciò che credi
Non sono interessato alle tue certezze
Non può fregarmene di meno della tua perfezione
Dividi con me i tuoi dubbi
Apri il tuo cuore tenero
Lasciami entrare nelle tue fatiche
Ti incontrerò in quel luogo
Dove le conclusioni spirituali
Si spezzeranno
Ecco dove la creatività giace
Ecco dove la novità risplende
Ecco dove possiamo davvero incontrarci:
oltre l’immagine.

Le tue imperfezioni
sono così perfette
in questa luce.

Non voglio che tu sia perfetto
voglio che tu sia vero.

Da: Jeff Foster, “Falling In Love With Where You Are“, Non-Duality Press, 2013

 
Accettazione non significa dover rinunciare ai nostri tentativi di evitare che le cose vadano male, come se, tra l’altro, questo fosse possibile. 
E non sto dicendo che in pratica dovremmo stare con le mani in mano e lasciare che accadano cose spiacevoli, se possiamo fare qualcosa al riguardo. 
Nessuno vuole che i propri cari si ammalino. 
Nessuno vuole perdere tutti i propri soldi o essere ferito in un incidente d’auto. 
Nessuno vuole essere lasciato dal partner all’improvviso. 
Nessuno vuole essere aggredito fisicamente. 
Ma queste cose accadono. 
La vita non va sempre secondo i nostri piani. 
Anche quando abbiamo le migliori intenzioni, quando facciamo i progetti più solidi, quando ricorriamo al pensiero positivo o alle preghiere e cerchiamo di manifestare il nostro destino, anche quando seguiamo il nostro cammino spirituale e promuoviamo la nostra evoluzione, accadono cose che, potendo scegliere, non avremmo fatto accadere, e ci mostrano di continuo, che in definitiva non abbiamo il controllo di questa cosa che chiamiamo vita. 
Perfino le cosiddette persone più illuminate sono finite in un letto d’ospedale a chiedere altra morfina per il tremendo dolore causato da un tumore.
Intendo dire che, se vogliamo essere davvero liberi, dobbiamo affrontare questa realtà a occhi aperti. 
Dobbiamo smettere di negare la realtà, lasciar perdere velleità e speranze, e dire la verità sulla vita così com’è. 
Nell’ammettere la verità di questo momento risiede una grande libertà, per quanto questa verità si scontri con le nostre speranze, i nostri sogni e i nostri progetti.

- Jeff Foster - 
da: "Il risveglio spirituale nella vita quotidiana"


Buona giornata a tutti :-)


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venerdì 27 settembre 2019

"L'uomo non è libero" - Georges Ivanovič Gurdjieff

"Ogni uomo viene al mondo simile a un foglio di carta bianca; ma le circostanze e le persone che gli stanno intorno fanno a gara per imbrattare questo foglio e per ricoprirlo di ogni genere di scritte. 
Ed ecco intervenire l'educazione, le lezioni di morale, il sapere che chiamiamo conoscenza, tutti i sentimenti di dovere, onore, coscienza ecc. [...] 
A poco a poco il foglio si macchia, e più è macchiato di pretese «conoscenze», più l'uomo è considerato intelligente. 
Più sono numerose le scritte nel posto chiamato «dovere», più il possessore è considerato onesto; e così via per ogni cosa. 
Il foglio così sporcato, accorgendosi che le macchie vengono scambiate per meriti, le considera preziose. 
Ecco un esempio di ciò che chiamiamo «uomo», cui aggiungiamo spesso delle parole come «talento» e «genio». Eppure il nostro «genio» vedrà il suo umore guastarsi per tutto il giorno se al mattino, svegliandosi, non trova le pantofole accanto al letto.
L'uomo non è libero, tanto nelle sue manifestazioni che nella vita. 
Non può essere ciò che vorrebbe essere, e nemmeno ciò che crede di essere. 
Non somiglia all'immagine che ha di se stesso [...].
«Uomo»: una parola altisonante, ma dobbiamo chiederci di che tipo di uomo si tratta. 

Non certo l'uomo che si irrita per delle sciocchezze, che presta attenzione a delle meschinità e si lascia coinvolgere da tutto ciò che gli succede intorno. Per avere il diritto di chiamarsi uomo, bisogna essere un uomo [...].
Qualcuno vi loda, e voi siete contenti; qualcuno vi rimprovera, e il vostro umore si guasta. 

Qualche novità vi attira, e immediatamente dimenticate ciò che tanto vi interessava un attimo prima [...]. 
È questo che ci lega e ci impedisce di essere liberi. E, quel che è peggio, questo fatto assorbe tutte le nostre forze e il nostro tempo, e ci toglie ogni possibilità di essere oggettivi e liberi [...].
Chiedetevi: «Sono libero?». [...]
Ognuno di voi non è che un banale esemplare di automa animato. Probabilmente pensate che, per fare ciò che fate e per vivere come vivete, siano necessari un'«anima» e persino uno «spirito». Ma forse basta una chiavetta per ricaricare la molla del vostro meccanismo [...] a rinnovare continuamente l'inutile sarabanda delle vostre associazioni. 

Da questo sfondo emergono dei pensieri slegati, che voi cercate di connettere insieme presentandoli come preziosi e personali. E, altrettanto, coi sentimenti e le sensazioni passeggere, con gli umori e le esperienze vissute, ci creiamo il miraggio di una vita interiore. 
Ci vantiamo di essere coscienti, capaci di ragionamento, parliamo di Dio, dell'eternità, della vita eterna, e di argomenti elevati; parliamo di tutto ciò che si può immaginare, discutiamo, definiamo e valutiamo, ma omettiamo di parlare di noi stessi e del nostro reale valore oggettivo. [...]
Ma mano che un uomo comincia a conoscersi, scopre continuamente dentro di sé nuove zone di meccanicità, che chiameremo automatismo: zone in cui la sua volontà, il suo «io voglio» non ha alcun potere, e dove tutto è così confuso e sfuggente." 

- Georges Ivanovič Gurdjieff -
Tratto da Vedute sul mondo reale, che raccoglie alcune conferenze che tenne Gurdjieff ai suoi allievi tra il 1917 e il 1931 (pp. 49-55).




Ci affidiamo a te, Signore

Guardiamo il cielo
e ci affidiamo a te, Signore.
Contempliamo l’eterno scorrere del tempo,
il sorgere del sole,
il nascere di ogni creatura,
e ci affidiamo a te,
Dio del cielo e della terra.
Sappiamo di essere nelle tue mani
come perla preziosa
che tu custodisci.
Siamo sul palmo della tua mano, Signore,
e nulla ci spaventa:
né il presente né il futuro
perché tu sei con noi e ci ami
Amen.

Suor Mariangela Tassielli, fsp




Buona giornata a tutti. :-)


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sabato 24 agosto 2019

Se smetti di tormentarti ritrovi la gioia di vivere - Dott. Raffaele Morelli

I grandi maestri mi hanno insegnato che purtroppo tutti noi tendiamo spesso a condurre una vita psichica che assomiglia a quella del bruco. 
Come lui, viviamo sulla terra, che diventa il nostro confine. Che cosa accade in natura? 
Un bel giorno il bruco, senza alcun programma e senza sapere perché, emette una sostanza che lo "imprigiona". Diventa un bozzolo e da un piccolo foro, da quella gabbia apparente esce la farfalla. 
Non correggere, contempla! 
Anni fa, alcuni ricercatori, vedendo la fatica con la quale la farfalla fuoriusciva da quel piccolo foro, pensarono di allargarlo per favorirne la nascita. 
Effettivamente, la creatura usciva più in fretta, ma poi non volava. 
Questo ci insegna che le nostre difficoltà, i disagi, i dolori sono analogicamente simili al parto della farfalla e come tali vanno viste. 
Hanno una funzione che va rispettata. 
Quando nasce, la farfalla vola di fiore in fiore, è un altro essere, del tutto differente dal bruco che l'ha generata. 
In ognuno di noi c'è un'altra persona, diversa da quella che mettiamo in campo abitualmente: occorre ricordarlo proprio nelle difficoltà, ogni volta che veniamo abbandonati, nelle crisi coi figli, nei problemi sul lavoro e così via. La vera scommessa è diventare chi sei destinato a essere. 
La partita decisiva di ognuno non ha a che vedere con l'essere una buona moglie o un buon marito, nell'avere rapporti sempre sereni con i figli o in ufficio. 
Non siamo nemmeno al mondo per essere buoni per forza, ma per far nascere la farfalla che siamo destinati a diventare. 
Dobbiamo vivere dimensioni e capacità che il bruco non può conoscere. 
Se una donna si sente distrutta, finita, disperata ma può ancora immaginare o sognare il volto di una vecchia o della mamma o della nonna, quella donna non è perduta, perché sa entrare in contatto con il lato sapiente dell'anima, rappresentato simbolicamente da quei volti. 
Quel lato sa "produrre" la farfalla, la farfalla che sei, unica e irripetibile. 
Dire addio ai tormenti è sempre possibile 
Ogni volta che ci tormentiamo per qualcosa che ci è accaduto, per un trauma subito o una delusione, dovremmo ribaltare il modo di pensare e vedere quel dolore come il segno di una metamorfosi in atto, un processo dove muoia il bruco delle identificazioni con l'esterno ("io sono così perché mi è capitato questo o quello") e nasca la farfalla, che vola solo dove deve andare davvero. 
Sarebbe un vero peccato che noi diventassimo farfalle ma ci imponessimo di non volare perché il bruco, il verme che striscia sulla terra ci sembra più tranquillo e al sicuro... 

- dott. Raffaele Morelli -
psichiatra, psicoterapeuta
da Riza psicosomatica Luglio 2019



La vita è un’enorme tela: rovescia su di essa tutti i colori che puoi. 

- Danny Kaye - 



Vivere è la cosa più rara al mondo. La maggior parte della gente esiste, ecco tutto. 

- Oscar Wilde -





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mercoledì 30 gennaio 2019

Puoi sempre scegliere .... - Danilo Rubello Balbinot

Puoi sempre scegliere se cavalcare l’onda
o lasciarti travolgere…
puoi sempre scegliere se reagire negativamente
o trasmettere energia positiva;
puoi sempre scegliere se criticare
o essere d’esempio;
puoi sempre scegliere se lamentarti
o impegnarti;
puoi sempre scegliere se ascoltare col cuore
o farti condizionare dalla mente;
puoi sempre scegliere se sorridere
o giudicare,
puoi sempre scegliere, se essere gentile
o avere ragione.
Puoi sempre scegliere
che profumo lasciare dietro di te.

- Danilo Rubello Balbinot -

  
«Amate la vostra solitudine, sopportatene la pena:
e che il lamento che ne scaturisce sia bello»

- Rainer Maria Rilke -



Conviene distinguere la solitudine come isolamento, dalla solitudine come ricerca interiore. 
La solitudine del disperato dalla solitudine del contemplativo. 
La «grande solitudine interiore», che Rilke evoca nei suoi scritti, è una solitudine benefica, perché è la solitudine dell'approfondimento di sé, nel senso che permette di divenire ciò che si è. 
La ricerca della propria verità passa sempre dagli effetti congiunti della solitudine e del silenzio. 
Il ritiro lontano dal mondo e dal rumore, le «ricariche» che vogliamo vivere come rotture dalla quotidianità, non hanno altro senso. 
Ci sono cose che niente e nessuno può darci che appartengono alla nostra intimità più profonda. E se i rapporti umani, che ci offrono questa immensa ricchezza di sentirci in relazione, possono in seguito aprirci ad altri orizzonti, è prima di tutto in una solitudine frequentata che possiamo sperare di trovare la chiave che apre le nostre porte chiuse.
E' nel profondo di questi deserti interiori che tutto si svela all'improvviso. Il vuoto che scaviamo in noi è destinato a essere riempito da questa pienezza alla quale aspiriamo ardentemente.



Buona giornata a tutti. .-)



mercoledì 7 marzo 2018

da: "Donna mia" - Dacia Maraini

E’ facile amare chi rinuncia alla sua vita
per noi, chi non ha sesso nè pensieri che non siano prevedibili,
terragni, virtuosi eppure, neanche questo basta. 

Una donna vecchia sa, 
da come viene guardata in tram o al mercato
quanto poco conta e quanto disgusto ispira agli altri.
La sua vecchiaia non fa pensare alla ricchezza,
alla saggezza, agli onori, all’esperienza.
La sua vecchiaia fa pensare solo alle rughe,
alla pancia ammuffita, all’alito cattivo,
agli occhi lagrimosi e per chi ha fantasia,
al suo bianco e rugoso sesso senza peli.
se ottiene rispetto e tenerezza è solo in
famiglia, dai figli e dai nipoti che la vedono
come una faccendiera disponibile e svagata.
Ma fuori, nella vita, è solo una vecchia,
una strega, una befana, un fagotto ridicolo
e fastidioso. Perchè non si decide a morire?
A meno che non abbia la fortuna di essere
la madre di un uomo famoso, di un gran politico.
Allora sarà riverita e servita, ma per lui
mai per sè, perchè ha avuto il grande privilegio
di essersi fatta mangiare le viscere da un genio
che è uscito da lei con grande dolore e sangue.
Una donna vecchia è una nullità, vale meno di
un soldo bucato. Una donna vecchia è solo un corpo
avvizzito che tarda a morire per egoismo e malignità.
Mentre l’uomo vecchio è carico della sua vita,
la donna vecchia è carica solo della sua morte.
Un uomo vecchio si ammette che abbia sete
di carni bambine e tocchi e sussulti e cerchi
di fare sue due gambe morbide e affusolate.
Una donna vecchia che abbia fame di carne
da baciare è considerata un’arpia,
una pervertita che va subito rinchiusa in un manicomio.
La sua esperienza, il suo passato, la sua sapienza,
i suoi pensieri contano quanto quelli di un cane.
La si butta in un angolo e buonanotte.
Ma se voi, donne vecchie, madri astute,
cominciate a pensare che anche voi avete un sesso,
e una testa che macina pensieri ardenti
e due occhi accesi e due mani capaci e
un cuore affamato, se voi penserete che
siete quello che siete per sopraffazione e
gloria dei peggiori istinti dell’uomo,
forse non avrete vergogna a dichiarare che
un bel ragazzo vi piace e potrete anche
carezzarlo senza sentirvi bruciare la mano di terrore.
Potrete baciarlo chiudendogli
gli occhi con due dita. Poichè l’estrema gioventù
e la vecchiaia sono portate all’amicizia.
E ai ragazzi piace essere amati dalle madri,
di un amore carnale lucidissimo e tenebroso.
Se penserete che la vecchiaia non è una colpa
di cui vergognarsi, se penserete che quello
che fa viva una donna non è soltanto la freschezza
della pelle e di un paio di labbra tornite,
se penserete questo vi sbarazzerete dei vostri lugubri
vestiti da fantasmi che puzzano
di cipolla e di varechina, allungherete le vostre mani
tremanti sui corpi degli adolescenti che hanno
bisogno di essere amati come in un sogno,
di tutto cuore e con terribile indulgenza.
Se saprete questo non sarete più vecchie,
e inutili ma forti e utili. Se imparerete
a non confondere la casa con il mondo,
a non contaminare del vostro nero di seppia
le cose luminose e dolorose che vi circondano,
se imparerete a pensare con la vostra testa,
a ridere con la vostra gola, a giudicare
con il vostro cuore maturato dal tempo,
sarete amate di un amore meno stupido e
mordente, meno assillante e nero. Perderete
in morbosità ma guadagnerete in ricchezza
di anima e di cervello e autonomia di cuore.
Ma tutto questo non sarà finchè la donna
non scoprirà che è diventata diversa
dall’uomo per ragioni storiche e non naturali.

Una storia mimetica da colonizzate ci
ha fatto come siamo, deformi, candide,
accanite, incerte, passive. E’ da questa
storia che dobbiamo tirare fuori i nastri
che ora sono lacci che ci legano le mani
e domani saranno bandiere sbattute al sole.
Donne mie amate predilette e disgraziate,
donne feroci nell’odio di voi stesse e
piene di zelo poliziesco per amore della proprietà,
dell’onore, della conservazione,
dell’artificio, della gerarchia, della gloria,
vi siete identificate con l’uomo per sfiducia
in voi stesse, avete seguito il modello maschile
del forte virile sicuro
e con questo avete tradito le vostre compagne
le donne di tutti i tempi perchè voi pensate che
la donna è fatta di fango e avete coperto
questo fango con uno strato di porcellana lucente.
Ma il fango lo sentite come una colpa, lo odiate,
e per non farlo mai apparire in superficie,
passate giornate intere a riparare le crepe
e i fori nella vostra bella porcellana bianca.
Ma ora basta, spacchiamo questa copertura dura,
che ci tiene mansuete, segrete e fatate.
Prendiamo il coraggio di frugare dentro quel fango
e scopriremo che è un fango prezioso
nella sua umiltà, che si è fatto robusto e bello
pronto per costruire case e giardini.
No c’è da vergognarsi del fango della storia,
del fango della servitù, perchè è il nostro onore,
del fango dell’oppressione perchè quello che
ci fa oggi innocenti e forti e coraggiose,
incontaminate dal potere, colombe da cortile.
Usiamo quel fango per costruire nuove donne
meno belle forse e levigate, ma più salate
del sale dell’orgoglio e dell’amore.

- Dacia Maraini -
da:  "Donna mia"


«Voglio essere libera. 
Più della libertà esteriore, la libertà di viaggiare, di lasciare questa casa, voglio essere libera interiormente, scegliere la mia strada, seguirla, senza accodarmi allo sciame. 
Odio questo spirito di gruppo con cui ci riempiono le orecchie. 
Tedeschi, francesi, gollisti concordano tutti su una cosa sola: bisogna vivere, pensare, amare insieme agli altri, in funzione di uno stato, di un paese, di un partito. 
Dio mio! Io non voglio questo! 
Sono una povera donna senza importanza; non so niente ma voglio essere libera.»

- Irène Némirovsky - 
Suite francese, 2004



Dentro ogni donna c'è una forza. E' la forza di farsi rispettare e valere. E di credere in se stessa.
La donna è fiera quando la sua dignità viene prima di tutto, perché lei sa che farsi rispettare significa credere nel proprio valore.
La donna è fiera quando ama senza rinnegare se stessa, perché il vero amore non può nascere se ci si offre all'altro per farsi calpestare.
La donna è fiera quando crede nelle proprie idee e ha il coraggio di esprimerle, perché è convinta di possedere delle risorse.
La donna è fiera quando esprime il suo parere in pubblico senza pensare che sia irrilevante o poco intelligente.
La donna è fiera quando non si presta a farsi colpevolizzare dagli altri per ogni cosa ma reagisce esponendo le proprie ragioni.
La donna è fiera quando smette solo di dire "si si" a chiunque perché sa che dire anche di "no"significa dire "si" a se stesse.
La donna è fiera quando non pensa di valere solo in base ai giudizi altrui ma soprattutto in base alle proprie valutazioni.
La donna è fiera quando non punta tutto solo sull'aspetto esteriore ma riconosce che la forza che viene da dentro è un potente catalizzatore.
La donna è fiera quando non è disposta ad assecondare troppo gli altri perché è consapevole che ciò che più conta è assecondare il proprio sentire interiore.
La donna è fiera quando vive con la sua anima e sente la forza della sua unicità.


- Simona Oberhammer -


Buona giornata a tutti. :-)









venerdì 16 settembre 2016

Da: “Il Libro Rosso" - Carl Gustav Jung

"Anima mia, dove sei? Mi senti? Io parlo, ti chiamo… Ci sei? Sono tornato, sono di nuovo qui.  Ho scosso dai miei calzari la polvere di ogni paese e sono venuto da te, sono a te vicino; dopo lunghi anni di lunghe peregrinazioni sono ritornato da te. Vuoi che ti racconti tutto ciò che ho visto, vissuto, assorbito in me? Oppure non vuoi sentire nulla di tutto il rumore della vita e del mondo? Ma una cosa devi sapere: una cosa ho imparato, ossia che questa vita va vissuta. Questa vita è la via, la via a lungo cercata verso ciò che è inconoscibile e che noi chiamiamo divino. Non c´è altra via. Ogni altra strada è sbagliata. Ho trovato la via giusta, mi ha condotto a te, anima mia. Ritorno temprato e purificato. Mi conosci ancora? Quanto a lungo è durata la separazione! Tutto è così mutato. E come ti ho trovata? Com´è stato bizzarro il mio viaggio! Che parole dovrei usare per descrivere per quali tortuosi sentieri una buona stella mi ha guidato fino a te? Dammi la mano, anima mia quasi dimenticata. Che immensa gioia rivederti, o anima per tanto tempo disconosciuta! La vita mi ha riportato a te. Diciamo grazie alla vita perché ho vissuto, per tutte le ore serene e per quelle tristi, per ogni gioia e ogni dolore. Anima mia, il mio viaggio deve proseguire insieme a te. Con te voglio andare ed elevarmi alla mia solitudine…"

- Carl Gustav Jung  -

Da: “Il Libro Rosso / Liber Novus “, Bollati Boringhieri, Milano, 2010 


"Pensavo e parlavo molto dell'anima, conoscevo tante parole dotte in proposito, l´avevo giudicata e resa oggetto della scienza. Credevo che la mia anima potesse essere l'oggetto del mio giudizio e del mio sapere; il mio giudizio e il mio sapere sono invece proprio loro gli oggetti della mia anima. Perciò lo spirito del profondo mi costrinse a parlare all´anima mia, a rivolgermi a lei come a una creatura vivente, dotata di esistenza propria. Dovevo acquistare consapevolezza di aver perduto la mia anima. Da ciò impariamo in che modo lo spirito del profondo consideri l´anima: la vede come una creatura vivente, dotata di una propria esistenza, e con ciò contraddice lo spirito di questo tempo, per il quale l´anima è una cosa dipendente dall´uomo, che si può giudicare e classificare e di cui possiamo afferrare i confini. Ho dovuto capire che ciò che prima consideravo la mia anima, non era affatto la mia anima, bensì un´inerte costruzione dottrinale. Ho dovuto quindi parlare all´anima come se fosse qualcosa di distante e ignoto, che non esisteva grazie a me, ma grazie alla quale io stesso esistevo..."

- Carl Gustav Jung  -

Da: “Il Libro Rosso / Liber Novus “, Bollati Boringhieri, Milano, 2010 



"Giunge al luogo dell´anima chi distoglie il proprio desiderio dalle cose esteriori. Se non la trova, viene sopraffatto dall´orrore del vuoto. E, agitando più volte il suo flagello, l´angoscia lo spronerà a una ricerca disperata e a una cieca brama delle cose vacue di questo mondo. Diverrà folle per la sua insaziabile cupidigia e si allontanerà dalla sua anima, per non ritrovarla mai più. Correrà dietro a ogni cosa, se ne impadronirà, ma non ritroverà la sua anima, perché solo dentro di sé la potrebbe trovare. Essa si trovava certo nelle cose e negli uomini, tuttavia colui che è cieco coglie le cose e gli uomini, ma non la sua anima nelle cose e negli uomini. Nulla sa dell´anima sua.."


- Carl Gustav Jung  -

Da: “Il Libro Rosso / Liber Novus “, Bollati Boringhieri ,Milano, 2010 


Buona giornata a tutti. :-)


martedì 29 settembre 2015

"Non abbiate mai paura di sbagliare, per i nostri figli siamo i migliori genitori possibili" - da: Franco Nembrini "Di padre in figlio - Conversazioni sul rischio di educare" -

"Ma se pensa ad una casa fondata sulla roccia, tuo figlio dice che è una roccia anche se sbagli, anche se non le indovini tutte. "

"...Tuo figlio, con quel tira e molla pazzesco per cui ti saltano i nervi e con il quale ti mette alla prova, vuol sapere se suo padre e sua madre stanno, restano, sono la roccia di cui lui ha bisogno. 
E su cosa è posta questa casa, se sulla roccia: lo vogliono sapere. 
E ti mettono alla prova, tirano, mollano per vedere se la corda si spezza, ma tu stai. 
Invece l’altro errore che facciamo per non lasciarli andare, cioè per non patir la ferita di questa libertà, l’altro ragionamento assolutamente sbagliato che facciamo, preoccupati come siamo della sorte dei nostri figli, è quello di chiudere la casa e di dire: «Vengo anch’io con te». 
Vengo anch’io così lo tengo d’occhio, così almeno è più vicino, è più sotto controllo. 
Ma pensate quel figliol prodigo se il giorno in cui si accorge di essere uno sciocco che si è ridotto a mangiare le carrube, che mangiano i porci, invece di un padre che lo aspetta dovesse avere il padre che è lì, poveraccio come lui, e la casa non c’è più. 
Che disperazione! Avere il desiderio di tornare a casa e tuo padre, per star con te, ha chiuso la casa e l’ha venduta, e non abbiamo più una casa. 
Non c’è più chi ci perdona! Come ne "I due orfani" di Pascoli, che Giussani ci ha insegnato a leggere. 
Non c’è più chi ci perdona; cioè non c’è più né un padre, né una madre, non siamo più di nessuno, siamo orfani appunto. 
I due errori: chiudere la casa per non farli uscire, oppure uscire con loro. 
Invece l’adulto è quello che sta. 
La mia povera mamma quando di dieci figli, uno lasciò la famiglia, il primo, per mesi, preparò un piatto in più e lo teneva in caldo. Dopo per dieci giorni noi dicevamo: «Mamma, è andato, è andato, piantala! È andato!» e lei serissima che ci diceva: «Potrebbe tornare questa sera. Potrebbe tornare stasera». e per mesi e mesi ha voluto preparare il posto per mio fratello, il primo, il posto tra quello del mio papà e quello del secondo figlio. Apparecchiava il posto perché sarebbe potuto tornare stasera. 
Questa è la statura dei nostri genitori! Ed è la statura che chiedono a noi i nostri figli. Gente che sta, che resta per la felicità che gode lui, per il bene che intravede lui, per la speranza che vive lui. 
Questa è l’unica cosa di cui hanno bisogno i nostri figli, e se è così scattano due o tre conseguenze che vi accenno soltanto. 
Per esempio, primo: non abbiate mai paura di sbagliare, per i nostri figli siamo i migliori genitori possibili. Se l’educazione è quel che ho detto, non c’è il problema della coerenza, dell’incoerenza: i tuoi figli non sono stupidi, sanno che sei incoerente e far finta di vendergli l’idea di un padre particolarmente buono, bravo, coerente è una cosa che non li convincerà, non ce la farete mai a fregarli; lo sanno troppo bene di che incoerenza siamo capaci; cioè lo sanno che siamo straccioni come loro, non li convincerete mai del contrario. 
I nostri figli non hanno bisogno della nostra coerenza in senso moralistico, hanno bisogno della nostra coerenza ideale, quella che Giussani ne "Il rischio educativo" chiama «funzione di coerenza» 
L’adulto, l’autorità dell’adulto la chiama «funzione di coerenza»: è questo stare che vi dicevo prima. Non abbiate paura di sbagliare perché i figli sanno che sbaglierete e vi perdoneranno molto più di quello che siete disposti a perdonargli voi; perché i nostri figli ci perdonano questo. Non ci perdonano il non coraggio, la non responsabilità di fronte al reale, la non certezza ultima rispetto al destino: questo non ci perdonano. Quando in sessanta metri quadrati voi costringete a vivere i dieci figli, da zero a quindici anni, è un bel macello. 
D’inverno poi, quando non si può uscire e andare all’oratorio! 
Per cui mio padre arrivava a casa la sera stanco dal lavoro e, a volte, era una specie di giungla, erano saltati tutti i paletti, e non gli restavano molte risorse poveretto! Magari mia mamma non stava bene, era incinta o allattava. 
Allora sfilava la cinghia dei pantaloni e pata-pim e pata-pum, chi ciapa ciapa e chi la dura scapa; nel senso che trovato un vetro rotto, due feriti, la moglie in lacrime, il bambino più piccolo che piange, non è che avesse il tempo di fare le indagini preliminari su chi fosse quella volta lì che aveva cominciato. 
Allora mi ricordo di quella volta che arrivo a casa da scuola, non faccio a tempo a togliermi lo zaino e appoggiarlo per terra, che dietro arriva mio padre. Vede un macello pazzesco, io non sono stato sufficientemente svelto quella volta ed è toccato a me: me ne ha date un sacco e una sporta. 
La mia povera mamma, che aveva anche un debole per me, è corsa in mio soccorso e lo ha fermato, ma me ne aveva già date abbastanza! Lo ha fermato e gli ha detto: «Ma Dario, Franco è rientrato in casa non c’entra niente!». 
Mio padre, serissimo, mi ha messo una mano sulla spalla e mi ha detto: «Va bene, mettile vie per la prossima volta». 
Non gli è venuto il problema di dire: «O Dio! Adesso Franchino resterà traumatizzato dalle botte paterne immeritate!». 
Mi ha detto: «Mettile via per la prossima volta» e io vi assicuro che ho odiato fortemente i miei fratelli perché erano stati più veloci – solo per quello! – ma non mi ha attraversato neanche l’anticamera del cervello l’idea che mio padre non mi volesse bene. È un pensiero che nella vita non mi ha mai sfiorato, neanche in quel frangente dove aveva palesemente sbagliato; aveva peccato d’ingiustizia grave, almeno le botte a me erano sembrate gravi, nei miei confronti. 
È questo che intendo dire quando dico: «Non preoccupatevi». Anche tutta questa mania per cui dovremmo tutti avere lo psicologo fisso in casa! 
Nessuno è più capace di fare il padre, nessuna è più capace di fare la madre, al primo problema bisogna andare dall’esperto: l’ospedalizzazione del rapporto educativo a scuola e in famiglia. 
Bisogna avere tre lauree per tirar su un bambino! Basta con questa storia! Basta, perché siete i migliori genitori possibili e non preoccupatevi se sbagliate perché non è quello che traumatizza i bambini. 
Li traumatizza la sensazione di camminare sulle sabbie mobili, li traumatizza lo sguardo incerto di padri e madri quando si guardano, quando stanno a tavola, li traumatizza l’impressione che la loro casa sia costruita sulla sabbia e che basti un filo di vento per portar via tutto. 
Questo li spaventa la notte e non li fa dormire, anche se non urlano e non hanno gli incubi. Ma se pensa ad una casa fondata sulla roccia, tuo figlio dice che è una roccia anche se sbagli, anche se non le indovini tutte. 
Diversamente ci facciamo dei problemi pazzeschi: «Gli do una sberla o non gliela do? O Dio, ho letto che lo psicologo diceva che quel ragazzo si è buttato giù da un ponte perché ha preso quattro in matematica. Cosa devo fare? La Carla dice sempre il contrario di quello che dico io. Se gliele voglio dare, mia moglie dice di no; se non gliele voglio dare io lo vuole la moglie!». Dargliele e basta! Nell’incertezza io suggerisco di dargliele! Non è qui il problema! "

da: Franco Nembrini "Di padre in figlio. Conversazioni sul rischio di educare" Ed. Ares




"Ci si dimentica di chiedere l’obbedienza"

"...Anzi, datemi ancora due minuti perché volevo anche dire che secondo me moltissime difficoltà che oggi i genitori vivono nascono dal di dentro (le difficoltà hanno sempre un’origine, non cadono dal cielo e non sono casuali). Si tratta secondo me di una debolezza del genitore rispetto alla propria autorevolezza. 
Mi spiego: posso puntare il dito? Non lo punto mai una volta tanto lo faccio. Siete voi per primi che non credete alla vostra autorevolezza. 
Siete voi per primi che non date fiducia alle vostre certezze, al vostro compito. E questo se lo collegate al problema che dicevo prima, cioè che vi hanno proposto di essere solo curativi e capaci di rispondere ai bisogni, viene di conseguenza che un genitore non esprime più la propria autorevolezza. Moltissime difficoltà che ci sono oggi coi figli vengono da questa debolezza. 
I primi a dover riconoscere la vostra autorevolezza siete voi!
Essere genitori vi costituisce guida, faro di orientamento, capacità di decisione, capacità di rischiare, capacità di scegliere, di segnare il passo, di guidare nella realtà. Noi siamo lontani mille miglia dall’essere solo servizio ai figli. Una conseguenza di questa debolezza genitoriale è che ci si dimentica, dentro la famiglia, di educare all’obbedienza. L’atteggiamento di servizio al figlio non struttura l’obbedienza del figlio.
Ci si dimentica di chiedere l’obbedienza. 
E’ così difficile entrare in un legame che possa esaltare la crescita di un figlio e la propria. 
E’ così difficile entrare in un legame che dà la soddisfazione piena di essere dentro l’essere, dentro l’essere del figlio. Noi chiediamo di tutto ai nostri figli, ma non chiediamo la cosa fondamentale, cioè di essere figlio. E cosa fa un figlio? Obbedisce al genitore, ascolta il genitore, interiorizza il genitore. 
Se lo porta dentro. Io credo che molte difficoltà trovino nella debolezza dell’autorevolezza la loro radice, la loro origine."

(da una testimonianza della psicologa Vittoria Maioli Sanese)





"...Infine ci sono altre due lettere che mi hanno impressionato, Una dice:
" Ormai per me è tardi". Non potete dire così, nessuno di noi può dir così! 
Io conosco situazioni terribili, dolorosissime, che qualcuno vive con i figli; ma non possiamo dire " Ormai è tardi!". 
Noi siamo i tifosi di Nicodemo. il vecchio che va da Gesù di notte vergognandosi, e gli va a dire: " Ormai è tardi, sono vecchio"; e Gesù gli risponde che non è vero, è possibile ricominciare da capo ( come i nostri figli: " Papà, è possibile ricominciare da capo?" ).
" Gesù, è possibile rinascere di nuovo, può un vecchio come me ritornare nel ventre di sua madre? " Gesù gli ha risposto di sì, che è un dono che lo Spirito può dare, si può rinascere. Allora l'educatore è combattente sempre, è la madre trafitta dal male di suo figlio che però non demorde mai, non riesce a dire " Basta, non mi interessi" , qualunque cosa accada , fino all'ultimo respiro, suo figlio è suo figlio e ci crede e spera e prega perchè qualcosa possa accadere, qualcosa lo possa riprendere. 
L'insegnante è uguale. L' alunno che ti fa disperare, proprio il più duro di tutti, è quello cui dici:" Non ti mollo fino all'ultimo minuto dell'ultima ora di scuola del 12 giugno, tu sei mio e io sono qui per te e non cedo. Poi sarà quel che vorrai tu, quel che la tua libertà ti consentirà di essere, ma io sono qui, fino all'ultimo secondo dell'ultimo minuto dell'ultima ora di lezione": L'adulto, l'educatore non può mai dire." Per me ormai è tardi", non esiste!"

da: Franco Nembrini, "Di padre in figlio. Conversazioni sul rischio di educare", Ed. Ares




Buona giornata a tutti. :-)