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mercoledì 9 maggio 2018

Le Beatitudini - papa Benedetto XVI

Le Beatitudini vengono non di rado presentate come l'antitesi neotestamentaria al Decalogo, come, per così dire, l'etica più elevata dei cristiani nei confronti dei comandamenti dell' Antico Testamento. 
Questa interpretazione fraintende completamente il senso delle parole di Gesù. 
Gesù ha sempre dato per scontata la validità del Decalogo (cfr. per es., Mc 10,19; Lc 16,17); il Discorso della montagna riprende i comandamenti della Seconda tavola e li approfondisce, non li abolisce (cfr. Mt 5,21-48); ciò si opporrebbe diametralmente al principio fondamentale premesso a questo discorso sul Decalogo: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà dalla Legge neppure un iota o un segno, senza che tutto sia compiuto» (Mt 5,17s). 
Su questa frase, che solo in apparenza è in contraddizione con il messaggio paolino, dovremo tornare dopo il dialogo tra Gesù e il rabbino. Intanto è sufficiente notare che Gesù non pensa di abolire il Decalogo, al contrario: lo rafforza.
Ma allora che cosa sono le Beatitudini? Anzitutto, esse si inseriscono in una lunga tradizione di messaggi veterotestamentari, quali troviamo, per esempio, nel Salmo 1 e nel testo parallelo di Geremia 17,7 s: «Benedetto l'uomo che confida nel Signore...». Sono parole di promessa, che nello stesso tempo contribuiscono al discernimento degli spiriti e diventano così parole guida. 
La cornice data da Luca al Discorso della montagna chiarisce la destinazione particolare delle Beatitudini di Gesù: «Alzati gli occhi verso i suoi discepoli...». 
Le singole affermazioni delle Beatitudini nascono dallo sguardo verso i discepoli; descrivono per così dire lo stato effettivo dei discepoli di Gesù: sono poveri, affamati, piangenti, odiati e perseguitati (cfr. Le 6,20ss).
Sono da intendere come qualificazioni pratiche, ma anche teologiche, dei discepoli - di coloro che hanno seguito Gesù e sono diventati la sua famiglia.
Tuttavia la situazione empirica di minaccia incombente in cui Gesù vede i suoi si fa promessa, quando lo sguardo su di essa si illumina a partire dal Padre. 
Riferite alla comunità dei discepoli di Gesù, le Beatitudini rappresentano dei paradossi: i criteri mondani vengono capovolti non appena la realtà è guardata nella giusta prospettiva, ovvero dal punto di vista della scala dei valori di Dio, che è diversa dalla scala dei valori del mondo. Proprio coloro che secondo criteri mondani vengono considerati poveri e perduti sono i veri fortunati, i benedetti, e possono rallegrarsi e giubilare nonostante tutte le loro sofferenze. 
Le Beatitudini sono promesse nelle quali risplende la nuova immagine del mondo e dell'uomo che Gesù inaugura, il «rovesciamento dei valori».
Sono promesse escatologiche; questa espressione tuttavia non deve essere intesa nel senso che la gioia che annunciano sia spostata in un futuro infinitamente lontano o esclusivamente nell' aldilà. Se l'uomo comincia a guardare e a vivere a partire da Dio, se cammina in compagnia di Gesù, allora vive secondo nuovi criteri e allora un po' di éschaton, di ciò che deve venire, è già presente adesso. A partire da Gesù entra gioia nella tribolazione.
I paradossi presentati da Gesù nelle Beatitudini esprimono la vera situazione del credente nel mondo, quale è stata ripetutamente descritta da Paolo alla luce della sua esperienza di vita e di sofferenza da apostolo: «Siamo ritenuti impostori, eppure siamo veritieri; sconosciuti, eppure siamo notissimi; moribondi, ed ecco viviamo; puniti, ma non messi a morte; afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!» (2 Cor 6,8-10). «Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi...»(2 Cor 4,8-10). 
Quello che nelle Beatitudini del Vangelo di Luca è parola di conforto e di promessa, in Paolo è l'esperienza vissuta dell'apostolo. Paolo si sente «messo all'ultimo posto» come un condannato a morte, che è diventato spettacolo per il mondo, senza patria, insultato, calunniato (cfr. 1 Cor 4,9-13). E nonostante ciò egli fa l'esperienza di una gioia infinita; proprio come colui che si è consegnato, che ha dato via se stesso per portare Cristo agli uomini, egli fa esperienza dell'intima connessione di croce e risurrezione: noi siamo messi a morte «perché anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale» (2 Cor 4,11). 
Nei suoi inviati Cristo continua a soffrire, il suo posto è sempre la croce. Ma tuttavia Egli è irrevocabilmente il Risorto. E anche se l'inviato di Gesù in questo mondo è ancora immerso nella passione di Gesù, vi è tuttavia percepibile lo splendore della risurrezione che procura una gioia, una «beatitudine» più grande della felicità che egli poteva aver provato prima su vie mondane. 
Solo adesso egli sa che cos'è la vera «felicità», la vera «beatitudine», e, allo stesso tempo, riconosce quanto fosse misero ciò che, secondo i criteri comuni, deve essere considerato come soddisfazione e felicità.
Nei paradossi dell' esperienza di vita di san Paolo, che corrispondono ai paradossi delle Beatitudini, si manifesta la stessa realtà che Giovanni aveva espresso in modo ancora diverso, qualificando la croce del Signore come «elevazione», intronizzazione nelle altezze di Dio. 
Giovanni riunisce in una sola parola croce e risurrezione, croce ed elevazione, perché per lui in realtà l'una è inseparabile dall' altra. La croce è l'atto dell' «esodo», l'atto di quell' amore che si prende sul serio fino all' estremo e va sino «alla fine» (Gv 13,1), e per questo essa è il luogo della gloria, il luogo del vero contatto e della vera unione con Dio, che è Amore (cfr. 1 Gv 4,7.16). In questa visione giovannea è quindi ultimamente condensato e reso accessibile alla nostra comprensione ciò che significano i paradossi del Discorso della montagna.
[…]

Ma ora si pone la questione fondamentale: è giusta la direzione che ci indica il Signore nelle Beatitudini e nei moniti a esse contrapposti? 
È davvero male essere ricchi, sazi, ridere, essere apprezzati? Per la sua rabbiosa critica del cristianesimo Friedrich Nietzsche ha fatto leva proprio su questo punto. Non sarebbe la dottrina cristiana che si dovrebbe criticare: sarebbe la morale del cristianesimo che bisognerebbe attaccare come «crimine capitale contro la vita». E con «morale del cristianesimo» egli intende esattamente la direzione che ci indica il Discorso della montagna.
«Quale è stato fino ad oggi sulla terra il più grande peccato? Non forse la parola di colui che disse: "Guai a coloro che ridono!"?». E contro le promesse di Cristo dice: noi non vogliamo assolutamente il regno dei cieli. «Siamo diventati uomini - vogliamo il regno della terra».
La visione del Discorso della montagna appare come una religione del risentimento, come l'invidia dei codardi e degli incapaci, che non sono all' altezza della vita e allora vogliono vendicarsi esaltando il loro fallimento e oltraggiando i forti, coloro che hanno successo, che sono fortunati. All'ampia prospettiva di Gesù viene contrapposta un'angusta concentrazione sulle realtà di quaggiù: la volontà di sfruttare adesso il mondo e tutte le offerte della vita, di cercare il cielo quaggiù e in tutto ciò non farsi inibire da nessun tipo di scrupolo.
Molto di tutto questo è passato nella coscienza moderna e determina in gran parte il modo in cui oggi si percepisce la vita. 
Così il Discorso della montagna pone la questione dell' opzione fondamentale del cristianesimo e, da figli del nostro tempo, avvertiamo la resistenza interiore contro quest'opzione - anche se non siamo insensibili di fronte all' elogio dei miti, dei misericordiosi, degli operatori di pace, degli uomini sinceri. Dopo le esperienze dei regimi totalitari, dopo il modo brutale con cui essi hanno calpestato gli uomini, schernito, asservito, picchiato i deboli, comprendiamo pure di nuovo coloro che hanno fame e sete di giustizia; riscopriamo l'anima degli afflitti e il loro diritto a essere consolati. 
Di fronte all' abuso del potere economico, di fronte alla crudeltà del capitalismo che degrada l'uomo a merce, abbiamo cominciato a vedere più chiaramente i pericoli della ricchezza e comprendiamo in modo nuovo che cosa Gesù intendeva nel metterci in guardia dalla ricchezza, dal dio Mammona che distrugge l'uomo prendendo alla gola con la sua mano spietata gran parte del mondo. 
Sì, le Beatitudini si contrappongono al nostro gusto spontaneo per la vita, alla nostra fame e sete di vita. 
Esigono «conversione» - un'inversione di marcia interiore rispetto alla direzione che prenderemmo spontaneamente. Ma questa conversione fa venire alla luce ciò che è puro, ciò che è più elevato, la nostra esistenza si dispone nel modo giusto.
 
Il mondo greco, la cui gioia di vivere si rivela in modo meraviglioso nell' epopea omerica, era tuttavia profondamente consapevole del fatto che il vero peccato dell'uomo, la sua minaccia più intima è la hybris: l'autosufficienza presuntuosa, in cui l'uomo eleva se stesso a divinità, vuole essere lui stesso il suo dio, per essere completamente padrone della propria vita e sfruttare fino in fondo tutto ciò che essa ha da offrire. 
Questa consapevolezza che la vera minaccia per l'uomo consiste nell'autosufficienza ostentata, a prima vista così convincente, viene sviluppata nel Discorso della montagna in tutta la sua profondità a partire dalla figura di Cristo.
Abbiamo visto che il Discorso della montagna è una cristologia nascosta. Dietro di essa c'è la figura di Cristo, di quell'uomo che è Dio, ma che proprio per questo discende, si spoglia, fino alla morte sulla croce. 
I santi, da Paolo a Francesco d'Assisi fino a madre Teresa, hanno vissuto questa opzione mostrandoci così la giusta immagine dell'uomo e della sua felicità. In una parola: la vera «morale» del cristianesimo è l'amore. 
E questo, ovviamente, si oppone all' egoismo - è un esodo da se stessi, ma è proprio in questo modo che l'uomo trova se stesso. 
Nei confronti dell'allettante splendore dell'uomo di Nietzsche, questa via, a prima vista, sembra misera, addirittura improponibile. Ma è il vero «sentiero di alta montagna» della vita; solo sulla via dell' amore, i cui percorsi sono descritti nel Discorso della montagna, si dischiude la ricchezza della vita, la grandezza della vocazione dell'uomo.

- papa Benedetto XVI -
dal Gesù di Nazaret di Joseph Ratzinger, ed. Rizzoli 2007


Buona giornata a tutti. :-)






martedì 8 maggio 2018

L'IO - Padre Anthony de Mello


IL MISTERO DELL'IO 

Un anziano signore gestiva una bottega d'antiquariato in una grande città. 
Un giorno entrò un turista, il quale si mise a discorrere con il vecchio dei vari oggetti accatastati nel negozio. 
Il turista domandò: "Qual è secondo lei la cosa più strana, più misteriosa che ci sia qui dentro?" Il vecchio passò in rassegna le centinaia di oggetti rari, pezzi d'antiquariato, animali impagliati, pesci e uccelli imbalsamati, reperti archeologici, trofei di caccia... poi si voltò verso il turista e disse: "La cosa più strana in questo negozio è senza dubbio il sottoscritto".

- Padre Anthony de Mello -

Da: “La preghiera della rana, saggezza popolare dell’Oriente”– Edizione Paoline 1988





 LA PIÙ GRANDE INVENZIONE MODERNA 

Un'insegnante stava facendo lezione sulle invenzioni moderne. 
"Chi di voi mi saprebbe citare qualche cosa di importante che non esisteva cinquant'anni fa?", chiese. 
Un ragazzino dall'aria intelligente della prima fila alzò la mano tutto eccitato ed esclamò: "Io!"


- Padre Anthony de Mello -


Da: “La preghiera della rana, saggezza popolare dell’Oriente”– Edizione Paoline 1988




IL MONACO E IL SUO IO 

Si racconta una storia molto significativa su di un monaco che viveva nel deserto egiziano ed era così ossessionato dalle tentazioni da non farcela più. Decise di lasciare la sua cella e andarsene altrove. 
Mentre si stava infilando i sandali per attuare la sua decisione, vide un altro monaco non lontano da lui, il quale si stava mettendo i sandali anche lui. "Chi sei?", chiese all'estraneo. "Sono il tuo io", quello rispose. "Se è per colpa mia che te ne vai, sappi che verrò con te dovunque andrai".


- Padre Anthony de Mello -


Da: “La preghiera della rana, saggezza popolare dell’Oriente”– Edizione Paoline 1988


Disse un cliente disperato allo psichiatra: "Dovunque vado, devo portarmi dietro me stesso, e questo rovina tutto". 
Ciò che aborrisci e ciò a cui aneli sono entrambi dentro di te.


Buona giornata a tutti. :-)




lunedì 7 maggio 2018

Adesso ci sono computer e ancora più computer - Charles Bukowski

Adesso ci sono computer e ancora più computer
e presto tutti ne avranno uno,
i bambini di tre anni avranno i computer
e tutti sapranno tutto
di tutti gli altri
molto prima di incontrarli
e così non vorranno più incontrarli.
Nessuno vorrà incontrare più nessun
altro mai più
e saranno tutti
dei reclusi
come me adesso…


- Charles Bukowski -
(Andernach, 16 agosto 1920-San Pedro, 9 marzo 1994)






E in qualche modo riuscirai a superare i giorni vuoti e i giorni pieni e i giorni noiosi e i giorni detestabili e i giorni straordinari, tutti così piacevoli e così deludenti perché noi siamo tutti così simili e così diversi.

- Charles Bukowski -




A volte mi sento come fossimo tutti prigionieri di un film. 
Sappiamo le battute, sappiamo dove metterci, come recitare, manca solo la macchina da presa. 
Però non possiamo uscire dal film. 
Ed è un brutto film.

- Charles Bukowski - 



Quella strana convinzione che le vicende che mi capitano abbiano un senso ulteriore, significhino qualcosa; che la vita con le sue vicende racconti qualcosa di sé, ci sveli gradatamente qualche suo segreto, stia davanti a noi come un rebus il cui senso è necessario decifrare, e le vicende che viviamo siano la mitologia della nostra vita e in questa mitologia stia la chiave della verità, e del mistero. 
Si tratta forse di un inganno? 
È possibile, è addirittura probabile, ma non riesco a sbarazzarmi del bisogno di decifrare continuamente la mia vita.

- Milan Kundera -


domenica 6 maggio 2018

Le delusioni - Jean Vanier

Seguendo Gesù, Pietro è stato deluso tre volte.
Immagino che sia stato deluso quando Gesù l'ha chiamato; una parte di lui doveva rimpiangere la sua vita di pescatore e la sua vita familiare. Ma il suo amore per Gesù e la sua speranza gli hanno permesso di superare questa prima delusione.

Poi è stato deluso perché Gesù non era esattamente come lui avrebbe voluto che fosse. Avrebbe preferito un Gesù profetico e messianico, che non gli lavasse i piedi e non parlasse di morire.

Infine, la sua più grande delusione è stata che Gesù accettasse di diventare debole e di morire, e allora l'ha rinnegato.

Sono le tre delusioni della vita comunitaria.

La prima delusione, che è sicuramente la meno difficile, è quando vi si entra. 
Ci sono sempre in noi delle parti che restano attaccate ai valori che si sono lasciati.

La seconda delusione è quella di scoprire che la comunità non è così perfetta come si era creduto, che ha delle debolezze e dei difetti. 
L'ideale e le illusioni cadono, si è davanti alla realtà.

La terza delusione è la più dolorosa, quando ci si sente mal compresi e perfino respinti dalla comunità, quando per esempio non si è rieletti responsabili, o non ci vengono date le funzioni che avevamo sperato. 
E questa terza delusione ne porta un'altra, quando si sentono sorgere in noi la collera e le frustrazioni.

Per arrivare all'integrazione totale in una comunità, occorre saper passare attraverso le diverse delusioni che sono tutte dei nuovi approfondimenti, dei passaggi verso la liberazione interiore.

- Jean Vanier -
Fonte: “La comunità luogo del perdono e della festa” di Jean Vanier, Ed.JakaBook, 1991





Chi non ha patria all’est come all’Ovest è colui che riconosce la presenza di Cristo...nella propria vita, nella trama dei propri rapporti dentro la società in cui vive; e La riconosce fino al punto che è tale presenza a determinare la sua modalità di percezione, di vedute , di giudizio su tutta la realtà.

- don Luigi Giussani -




Io amo il mio prossimo quando voglio appassionatamente che egli viva, di quella vera vita, unica per lui, che egli riceve da Dio, il solo Padre. 
Io mi impegno a servire il suo camminare in quella vita, a non avere progetto alcuno su di lui, alcuna volontà se non che viva quella vita che gli appartiene. 

- Jean-Pierre Brice Olivier - 




Buona giornata a tutti. :-)




sabato 5 maggio 2018

Sulla Morte da: "Il Profeta" di Khalil Gibran

Allora Almitra parlò dicendo: Ora vorremmo chiederti della Morte.
E lui disse:

Voi vorreste conoscere il segreto della morte.
Ma come potrete scoprirlo se non cercandolo nel cuore della vita ?
Il gufo, i cui occhi notturni sono ciechi al giorno, non può svelare il mistero della luce.
Se davvero volete conoscere lo spirito della morte, spalancate il vostro cuore al corpo della vita, poiché la vita e la morte sono una cosa sola, come una sola cosa sono il fiume e il mare.

Nella profondità dei vostri desideri e speranze, sta la vostra muta conoscenza di ciò che è oltre la vita;
E come i semi sognano sotto la neve, il vostro cuore sogna la primavera.
Confidate nei sogni, poiché in essi si cela la porta dell'eternità.
La vostra paura della morte non è che il tremito del pastore davanti al re che posa la mano su di lui in segno di onore.
In questo suo fremere, il pastore non è forse pieno di gioia poiché porterà l'impronta regale ? E tuttavia non è forse maggiormente assillato dal suo tremito ?

Che cos'è morire, se non stare nudi nel vento e disciogliersi al sole ?
E che cos'è emettere l'estremo respiro se non liberarlo dal suo incessante fluire, così che possa risorgere e spaziare libero alla ricerca di Dio ?

Solo se berrete al fiume del silenzio, potrete davvero cantare.
E quando avrete raggiunto la vetta del monte, allora incomincerete a salire.
E quando la terra esigerà il vostro corpo, allora danzerete realmente.

- Khalil Gibran -
 da: "Il Profeta" 


Vita e morte non sono due estremi lontani l’uno dall’altro. 
Sono come due gambe che camminano insieme, ed entrambe ti appartengono. In questo stesso istante stai vivendo e morendo allo stesso tempo. 
Qualcosa in te muore a ogni istante. 
Nell’arco di settant’anni la morte arriverà a compimento. 
In ogni istante continui a morire, e alla fine morirai davvero.

- Osho -


Sin dal giorno della mia nascita, la mia morte ha iniziato il suo cammino. 
Sta camminando verso di me, senza fretta.

- Jean Cocteau -


La statistica ci segnala che possiamo contare in tutto su un venticinquemila giorni; qualche migliaio in più per qualcuno. Ma dopo non ce ne saranno altri. Per nessuno. Sì: anche per me che scrivo, anche per te che leggi sarà subito sera.

- Vittorio Messori -



Buona giornata a tutti. :-)






martedì 24 aprile 2018

Io non prego perché Dio intervenga - Padre David Maria Turoldo

Io non prego perché Dio intervenga. 
Chiedo la forza di capire, di accettare, di sperare. 
Io prego perché Dio mi dia la forza di sopportare il dolore e di far fronte anche alla morte con la stessa forza di Cristo. 
Io non prego perché cambi Dio, io prego per caricarmi di Dio e possibilmente cambiare io stesso, cioè noi, tutti insieme, le cose. 
Infatti se, diversamente, Dio dovesse intervenire, perché dovrebbe intervenire solo per me, guarire solo me, e non guarire il bambino handicappato, il fratello che magari è in uno stato di sofferenza e di disperazione peggiore del mio? Perché Dio dovrebbe fare queste preferenze? 
Perché dire: Dio mi ha voluto bene, il cancro non ha colpito me ma il mio vicino! E allora: era un Dio che non voleva bene al mio vicino? 
E se Dio intervenisse per tutti e sempre, non sarebbe un por fine al libero gioco delle forze e dell'ordine della creazione? 
Per questo per me Dio non è mai colpevole. Egli non può e non deve intervenire. 
Diversamente, se potendo non intervenisse, sarebbe un Dio che si diverte davanti a troppe sofferenze incredibili e inammissibili. 
Ecco perché, come dicevo prima, il dramma della malattia, della sofferenza e della morte è anche il dramma di Dio.

- Padre David Maria Turoldo -
Intervista a Roberto Vinco, Il Gazzettino, 1° novembre 1991



La vita ci è data per cercare Dio, la morte per trovarlo, l'eternità per possederlo.

- Jacques Nouet -
Vita, morte ed eternità 


Io non ho mani

Io non ho mani
che mi accarezzino il volto,
(duro è l'ufficio
di queste parole
che non conoscono amori)
non so le dolcezze
dei vostri abbandoni:
ho dovuto essere
custode
della vostra solitudine:
sono
salvatore
di ore perdute.

- Padre David Maria Turoldo -
1916 - 1992


Buona giornata a tutti. :-)



lunedì 23 aprile 2018

Davanti al cielo stellato - Antonietta Milella

Quando ti senti solo, quando ti senti abbandonato, quando ti senti messo da parte, quando pensi che nessuno si ricordi di te, affacciati alla finestra, alza gli occhi e guarda il cielo stellato. 
Quante luci riesci a vedere? Quante ne immagini nello spazio ristretto del tuo limitato orizzonte?

Pensa... ciò che vedi ha una profondità infinita, le luci che distingui sono nulla, gocce d'acqua nell'oceano del cielo profondo e sconfinato.
Pensa... ogni stella si muove secondo una legge per lei fissata dalla notte dei tempi, intorno a lei girano i pianeti, intorno ai pianeti i satelliti, ognuno con una precisione millimetrica, secondo un tempo che è stato dato ad ogni più piccolo essere come sua misura.
Moltiplica quelle luci, moltiplica quei movimenti, moltiplica il tuo piccolo quadro di cielo all'infinito, e... sei infinitamente distante dalla verità.
Pensa... dietro ad ognuna di quelle luci, dietro ad ogni impercettibile movimento, dietro ad ogni realtà percepita dall'uomo con i suoi strumenti imperfetti c'è qualcuno che quella realtà, quel movimento, la legge che lo regola li ha creati. Tanta perfezione, per cosa?
Guarda te ora... guarda i tuoi occhi capaci di comprendere e abbracciare ciò che è così tanto più grande di loro, guarda il tuo cuore, quel cuore che ora senti piagato e pensa...
Il tuo cuore ha in sé un'ansia infinita di amore, un desiderio infinito di assoluto, di Dio... ha un'ansia infinita di infinito. 
Eppure il cuore per quanto grande è piccolo rispetto al corpo che lo contiene! Eppure il cuore soffre più di qualsiasi altro organo, più di qualsiasi altra parte del corpo!
Pensa... le cose piccole capaci di cose grandi! Gli occhi, il cuore capaci di accogliere la più grande pena, ma anche la più grande manifestazione di amore, quella di Dio!
"Chi è l'uomo perché te ne curi, chi è l'uomo perché te ne ricordi? Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e onore lo hai coronato. Tutto hai messo ai suoi piedi".

Così recita un salmo.

Di fronte a quel cielo stellato ci sei tu, di fronte alla più grande meraviglia del Creato ci sei tu, piccolo, fragile, smarrito, turbato, ma ci sei.
Tu sei prezioso di più della più luminosa stella che riesci a vedere ad occhio nudo dalla tua finestra, sei prezioso perché Dio ha fatto tutto quello che ti sta davanti per te, perché potessi percepire un frammento della sua potenza, della sua grandezza, un frammento del suo amore.
Se ad ogni stella, ad ogni pianeta, ad ogni molecola, ad ogni atomo che sono inerti e senza vita ha dato il compito così grande di celebrare la sua gloria, quanto più grande è il progetto su di te, sull'uomo che si eleva su tutte le cose create e le domina con il suo pensiero!

Guarda lontano, guarda in alto; guarda ora dentro di te.

Scoprirai che quell'universo che ti sembra così irraggiungibile, così perfetto e misterioso, davanti ai tuoi occhi è dentro di te. E' un universo da esplorare, è un universo in cui troverai le risposte che cerchi, è l'universo delle emozioni e dei sentimenti che arricchiscono e illuminano il cielo sconfinato della tua anima.
Guarda, ma ad occhi chiusi: E vedrai dentro di te accendersi tante stelle luminose. Vedrai che nel buio più profondo, proprio come in quel cielo da cui tu ora hai distolto lo sguardo, spuntano fiori stupendi, che tu non ti eri accorto di avere piantato.
Fratello, nel tuo cuore Dio ha seminato ciò che vuole tu impari a guardare: vuole che tu nel tuo cuore riscopra l'amore con cui lui ti guarda, vuole che tu almeno una volta ti fidi di lui.
E' ansioso di manifestarti il suo progetto meraviglioso che ha in serbo per te, desidera che almeno una volta tu gli permetta di entrare per farsi conoscere più da vicino.
Vuole incontrarti non nel cielo infinito, ma nella tua pena, nella tua sofferenza, nella tua difficoltà di ogni giorno, nel tuo bisogno di amore non soddisfatto, per trasformarli in canto di gioia, in inno di lode a lui, che non ha smesso neanche un momento di occuparsi di te.

- Antonietta Milella -
Meditazione sul Salmo 8



Tu che esistevi prima dei monti

Tu che esistevi prima dei monti e delle nubi,
prima del mare e dei venti.
Tu il cui inizio è prima dell'inizio di ogni cosa
e la cui gioia e dolore sono più antichi delle stelle.
Tu che eternamente giovane vagasti sopra le vie
lattee e attraverso le grandi tenebre fra di esse.
Tu che eri solo prima della solitudine
e il cui cuore era colmo di angoscia molto prima
del cuore degli uomini -
non mi dimenticare.
Ma come potresti tu ricordarmi.
Come potrebbe il mare ricordare la conchiglia
nella quale una volta mormorava.

Pär Lagerkvist


Buona giornata a tutti. :-)